Peppe Frana/Christos Barbas – Such A Moon, The Thief Pauses To Sing (Felmay, 2018)

Lodato sia Ross Daly per aver creato Labyrinth, che fin dal 1982 propone workshop e attività di formazione musicale e concertistiche internazionali itineranti, che favoriscono l’incontro tra musicisti e dai quali scaturiscono progetti originali come questo che mette l’uno accanto all’altro il salernitano Peppe Frana (oud e lavta) e il greco di Salonicco Christos Barbas (ney), conosciutisi circa una dozzina d’anni fa proprio all’interno dei laboratori seminariali di Labyrinth e coautori di “Such A Moon, The Thief Pauses To Sing”, realizzato per la label piemontese Felmay, Con studi di conservatorio e di musica barocca e illustri collaborazioni alle spalle, i due musicisti sono stati ammaliati dal fascino del sistema modale del maqâm, che è alla base di molte tradizioni musicali, dal Medio Oriente all’Asia Centrale. In un certo senso, è una tardiva scoperta dei loro rispettivi strumenti, imbracciati per la prima volta non proprio in tenera età. Il “furto” del titolo allude alle note che questi due “outsider” hanno “rubato” alla plurisecolare tradizione classica ottomana (la luna alla quale i due “ladri” si fermano a cantare la loro estasi), la quale è l’esito di un processo interculturale di interazioni tra compositori e musicisti di diversa estrazione e provenienza. Attingendo a quei modi musicali di incredibile ricchezza e fonte di ispirazione, Frana e Barbas presentano un programma interamente strumentale, comprendente tre tasselli improvvisativi, di cui la bella apertura è affidata alla coppia strumentale (“Ney & Oud Taksim”), e due libere divagazioni dei due strumenti solisti. Il resto del repertorio porta la firma dei due artisti (Frana contribuisce con quattro temi, Barbas con tre) che che danno ottima prova di interazione. È un bell’ascolto, forte dell’espressiva compenetrazione della coppia, che agisce perseguendo un equilibrio tra le procedure della prassi turco-ottomana e l’ariosa e personale sensibilità. Dal preludio della suite “Acem-Kürdi Peşrev” si procede verso i cicli ritmici semâî di “Zavil Saz Semai” e “Bestenigar Saz Semai”, passando per l’incedere sostenuto di “Uşşak Curcuna” – uno dei brani migliori del disco – e due altrettanto interessanti composizioni del fiatista greco (“Periklis” e “Empros”), in cui Frana suona il liuto a manico corto lavta. Si giunge, infine, all’intreccio avvincente di corde e fiati in “Bahar”, il lungo tema conclusivo, ancora firmato da Barbas. L’accoppiata italo-greca ci consegna davvero un buon disco: il loro non è un furto con destrezza ma un’appassionata e meditata ricerca che ha condotto a una debita appropriazione. 


Ciro De Rosa

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