Cowboy Junkies – All that Reckoning (Latent/Proper, 2018)

Erano ben undici anni e precisamente da quell’ottimo album che era “At the End of The Paths Taken” che i Cowboy Junkies non davano alle stampe un nuovo disco di brani inediti, sebbene i quattro volumi delle “Nomad Series” ed “Extras” ci abbiano svelato tante perle che entrano di diritto tra le cose migliori del loro repertorio. Il percorso artistico dei fratelli Timmins sembrava, infatti, languire in una certa ritrosia verso l’esplorazione di nuovi sentieri, preferendo riservare la ricerca unicamente ai progetti collaterali e ciò, probabilmente, per preservare una coerenza di fondo rispetto a “The Trinity Session e a quell’intreccio evocativo folk-blues che lo ha reso la pietra miliare del loro songbook. Diversamente da “Miles From Our Home” del 1998 e “One Soul Now” del 2004, il recente “All That Reckoning” beneficia delle sperimentazioni di questi anni e recupera in qualche modo quella capacità di osare degli esordi. Pur senza stravolgere la propria cifra stilistica, il gruppo ci regala undici brani in perfetto equilibrio tra ballate folk-blues e incursioni elettriche che rimandano direttamente al Neil Young di “Rust Never Sleeps”. Sin dalle prime battute di “All That Reckoning Part 1” ritroviamo l’inquietudine che permeava “Trinity Session” con la voce di Margo Timmins che ci accompagna verso la splendida “When We Arrive” in cui quando canta il verso “benvenuto nel mondo della dissoluzione” raccoglie tutta l’angoscia, l’ansia e il tormento del mondo che ci circonda. Così, si viene letteralmente travolti dalla poesia e dall’intensità del disco che prosegue con le atmosfere rumoristiche di “The Things We Do To Each Other”, per giungere alla psichedelia di “Wooden Stairs” attraversata dall’incedere della viola e al pop-rock elettrico di “Sing Me A Song”. Se “Mountain Stream” ci conduce nei sentieri del folk, la successiva “Missing Children” è una vera jam chitarristica dalla tumultuosa trama rock-blues che la pone tra i migliori episodi del disco. Il country di “Shining Teeth” schiude le porte verso il finale in cui brillano il riff ossessivo di “Nose Before Ear” uno dei brani più emblematici di tutto il songbook dei Cowboy Junkies, la seconda parte della title-track e la stravagante “The Possessed” per soli voce, ukulele e percussioni. Insomma, “All That Reckoning” è, senza dubbio, uno dei dischi migliori della produzione della band canadese e questo tanto per le tematiche politiche e sociali che caratterizzano i testi, quanto per la ricerca operata sulle architetture sonore. Da ascoltare con attenzione! 


Salvatore Esposito

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