Anandi Bhattacharya – Joys Abound (Riverboat Records, 2018)

Profumi freschi e delicati caratterizzano il debutto discografico della giovanissima Anandi Bhattacharya nel disco “Joys Abound”. L’apertura all’occidente e a sapori a noi più familiari si mescola aggraziatamente col grande rispetto per gli umori dei raga e l’utilizzo di fioriture caratteristiche del linguaggio musicale indiano, in particolare glissandi e vocalizzi microtonali che anticipano la nota di riferimento. Il disco è una libera celebrazione della voce e delle gioie della musica, che trascende schemi e canoni tradizionali creando ponti tra mondi altrimenti non comunicanti. La trasmissione orale della musica classica indiana si contraddistingue per la sua natura familiare: in passato, composizioni, segreti tecnici e stilemi venivano tramandati ai soli membri della gharānā, nucleo socio-familiare che riunisce musicisti e ballerini solitamente specializzati in uno stile. Quest’usanza secolare si riflette, con un diversissimo grado di apertura, anche nella formazione del disco, che ospita come musicisti e compositori Pandit Debashish Bhattacharya e Subhasis Bhattacharjee, padre e zio della cantante. Debashish è un rinomato strumentista di musica Hindustani, la musica classica dell’India del Nord con radici antiche, risalenti al tredicesimo secolo. Subhasis è invece un virtuoso del tabla e accompagna il canto con gran gusto e maestria. Altro ospite d’eccellenza è la clarinettista catalana Carola Ortiz, autrice e coautrice di alcune composizioni del disco. L’album si apre con un coinvolgente passaggio di tabla che si incastra con la scanditura ritmica della voce di Anandi. “Jai Ganesh” è un’invocazione a Ganesh, divinità Induista raffigurata con quattro braccia e la testa di elefante, figlio di Shiva e Parvati. L’esposizione del tema, maggiore e festoso, è seguita da un’improvvisazione vocale sul raga con le sillabe del testo principale, simile alla sezione conclusiva del Dhrupad, antico genere della tradizione Hindustani, il Laykāri. L’improvvisazione sfocia in una frase ritmica in cinque che presta la sillabazione del Konnakol, alfabeto ritmico tipico della tradizione Carnatica del Sud del paese, per poi tornare al tema principale. Il secondo brano “Aurora” è introdotto da una lunga improvvisazione vocale, che esplora stavolta un raga minore. Il fraseggio canoro, replicato in rapida risposta da Debashish sulla chitarra slide industana, prosegue in una forte composizione esibita in unisono col clarinetto e col supporto dei Tabla. Lo strumento a percussione prende le redini in “In Between Us”, dove non solo si possono apprezzare abilissimi fraseggi sulle percussioni, ma anche l’esposizione vocale delle frasi ritmiche da parte del musicista. “Flor De Puja (Rain Song”, composizione della Ortiz, manifesta un chiarissimo legame con la tradizione Europea ed Americana: il fraseggio melodico e la chitarra perdono gli ornamenti caratteristici e la tessitura ritmica abbandona forme libere per cicli più scanditi in supporto alle voci. Grande sorpresa del disco è “Migration of Colours (Buleria meets Holi)” brano che fonde sapori flamenco a strutture indiane, generando un’interessante combinazione musicale con echi medio orientali. L’apertura alla contaminazione diventa un paradigma fondamentale nella realizzazione del disco. La famiglia di musicisti custodisce le proprie radici ma senza precludersi intensi momenti di scambio e arricchimento culturale e musicale, traendo ispirazione dal cantautorato americano, dalla tradizione Carnatica, dal flamenco e dal jazz. La maestosa padronanza vocale di Anandi, combinata con l’altrettanto grandiosa arte dei musicisti, concepisce un disco variegato nei sapori e nelle atmosfere, notevole tributo all’India con una coraggiosa ma erudita apertura sperimentale ad altre tradizioni.


Edoardo Marcarini

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