Sans – Kulku (Cloud Valley, 2018)

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Sono trascorsi quarantaquattro anni da “A is for Andrew, Z is for zither”, l’esordio discografico di Andy Cronshaw, nativo del Lancashire, veterano del folk britannico più eclettico, con studi di psicologia all’Università di Edimburgo, da tempo firma autorevole del periodico “fRoots” (specializzato soprattutto sulla musica della Scandinavia, dei paesi baltici, della penisola iberica e dell’Europa centrale e orientale, luoghi che da sempre frequenta con assiduità), coinvolto in numerosi progetti musicali multilingue e interculturali, all’insegna di un ambient-folk che esalta la struttura modale di tanta musica di tradizione orale. Insomma, Cronshaw è un nomade musicale, dalla spiccata curiosità e – chi lo conosce, lo sa – dalla parlantina irrefrenabile; è come un fiume in piena quando si lascia andare a racconti, storie e aneddoti sui chilometri e chilometri macinati nel mondo delle musiche trad & world. Della sua erraticità sonora sono testimoni album quali “The Language Of Snakes” e “On The Shoulders Of The Great Bear”, quest’ultimo concepito interamente su musiche di area ugro-finnica. Invece in “Ochre”, uscito nel 2004, e trionfalmente accolto dalla critica, i temi folk inglesi incontravano il maqam di Abdullah Chhadeh, la voce di Natacha Atlas, la lyra di Matthiaos Tsahourides, l’arpa tripla gallese di Llio Rhydderch e i fiati di Ian Blake. Altrettanto sorprendente è stato l’album del 2011, “The Unbroken Surface of Snow”, nel quale per la prima volta appaiono i musicisti che hanno dato vita al nucleo base dei Sans. Cronshaw è un polistrumentista, suona un modello elettrificato della cetra zither a 74 corde e uno strumento di sua progettazione, il marovantele, dotato di 44 corde, costituito da una doppia cassa armonica munita di due set di corde collocate sui due lati opposti: è un incrocio tra la cetra trapezoidale kantele finlandese e la cetra marovany del sud del Madagascar, un paese con la cui musica Andy ha familiarizzato nel corso della sua collaborazione con la band Tarika. 
Suona anche numerosi strumenti a fiato, tra i quali il fujara, il lungo flauto pastorale slovacco. Come detto poc’anzi, la sua ultima creatura è la band multiculturale Sans, una parola semplice e diretta che può assumere significati plurimi, poiché significa “senza” in francese, “senso” in svedese e, ancora, “respiro” in hindi. Accanto al polistrumentista inglese, ci sono la finlandese Sanna Kurki-Suonio, cantante e suonatrice di kantele, il suonatore di duduk armeno Tigran Aleksanyan e il fiatista britannico-australiano Ian Blake, con cui Andy collabora da molti anni, già con Pyewackett, Mellostock Band e la band di June Tabor. Racconta Cronshaw: «Siamo quattro musicisti egualmente creativi. Però, nel corso delle registrazioni del nostro nuovo disco, si è inserita una seconda cantante e suonatrice di kantele: si tratta di Erika Hammarberg, la figlia di Sanna. È giovane, sulla ventina, timida e tranquilla, ma anche lei molto creativa e piena di idee. È diventata centrale nella band, cui ha dato un’altra dimensione». Se il primo album “Sans Live” è stato una fotografia di «come suonavamo sul palco, ora con il secondo lavoro, che ha avuto una lunga gestazione, non potevamo ripeterci. È stato un lungo processo compositivo ed anche molto costoso. Abbiamo registrato nel Suffolk, a Manor Farm Barn, in una condizione ideale. Nell’inverno 2017-2018, abbiamo affittato una struttura ricettiva che è molto tranquilla, ha una sala con un’acustica perfetta ed è un luogo dove puoi anche dormire e mangiare, del tutto diverso da ciò che sarebbe potuto essere uno studio londinese messo in un sottoscala. Non abbiamo bisogno di uno studio con attrezzature complicate. Invece, mixaggio e masterizzazione sono state fatte in uno studio in Scozia». Un musicista di grande esperienza, lo scozzese Jim Sutherland, con cui Andy ha suonato in passato, ha prodotto l’album. Sutherland è un compositore di colonne sonore e direttore de La Banda Europa, in cui ha suonato anche Tigran. 
Ha dato una direzione artistica, collaborato nella scrittura e suonato in questo secondo disco, “Kulku”, che in finlandese significa “traiettoria”, “flusso”, ma porta con sé anche il significato implicito di “movimento” e “progresso”. La magnifica copertina mostra in primissimo piano l’occhio di un’oca del Canada, che riflette il fotografo che lo riprende, il quale altri non è che lo stesso Cronshaw. «Non è stato intenzionale: è così che si funzionano le lenti convesse», spiega Andy, che sul processo elaborativo dei nove brani così commenta: «Sono emersi durante le sessioni, con il contributo dei singoli; il nostro suono è come una conversazione, una conversazione lenta, in cui ci si ascolta e ci si risponde, è un po’ ciò che accade nel jazz». Cinque personalità che interagiscono e che emozionano in un lavoro che privilegia un’inflessione introspettiva e meditativa; la musica di Sans respira, si sviluppa in un naturale, ma sicuramente studiato, intreccio di timbri e di diverse tradizioni (armena, finnica, inglese, scozzese e gallese), lasciando spazio anche all’improvvisazione. Alla fine, tempi e luoghi finiscono per annullarsi e perfino per confondersi. L’apertura, “Pursi”, è imperniata su una canzone gaelica scozzese (“Hó a, hù a, nighean dubh”), su cui sono state innestate nuove liriche: l’attacco di tre voci a cappella (Sanna, Erika e Ian), poi l’ingresso della cetra elettrica in dialogo con il kantele a dieci corde e con il timbro scuro del duduk a completamento: un inizio sublime! Di area finlandese le liriche del successivo “Tuuditelle Tuuli”, di cui Kurki-Suonio ha scritto la melodia; il brano è ancora incentrato sul duduk che si contrappunta al clarinetto basso di Blake. D’improvviso, “Rauta” ci trasporta in Castiglia: si tratta di un tema più mosso e danzante, concepito in origine per la dulzaina, su cui sono state innestate liriche finlandesi. Lo strumentale che segue, “The Edge of Autumn/Hayreniki Karot”, è un’intensa combinazione tra duduk e cordofoni. Ha un incedere potente “Kulkija”, quasi il tempo di una marcia, con la deliziosa melodica suonata da Blake e il duduk che ricama intorno alla melodia. Il canto delle due vocalist, come pure nel successivo tradizionale finnico, “Astele Oro”, può riportare alla mente le sonorità della storica band finno-svedese Hedningarna, in cui ha militato Sanna Kurki-Suonio. Il secondo strumentale, “The Recollection of that Day: O Chiadain An Lò/Lusabatz Ararati Vra” mette insieme umori gaelici e ambientazioni armene, mentre “Kazvatti”, cantata nel dialetto della Karelia (cuore dell’epos finnico). è un lamento dall’andamento quasi sacrale, con le voci cui fanno da contrappunto le argentee note dello zither. Il testo racconta la storia dei “quattro dolori” di una giovane, che deve lasciare il suo paese per andare in sposa “non consenziente” ad un marito alcolista. La delicata “Kaik Miä Ilot Unohin”, registrata dal vivo in Galles, porta la firma dei tre musicisti nella parte strumentale. L’atmosfera è sospesa, il duduk conduce nella prima parte, la cetra fa da collante per il sax soprano che interviene prendendo la guida del tema; la melodia del canto – su un testo tradizionale finlandese – è stata composta da Sanna, la cui voce accorata riluce solitaria, poi lascia di nuovo campo al timbro crepuscolare del duduk e ai tocchi di cetra, che ci accompagnano fino alla conclusione di questo numero di commiato, che lascia il segno. Per scelta di Cronshaw non troverete l’album su Spotify – Andy ha molto da dire su quanto poco un musicista, che è l’ultimo della catena del music business, possa guadagnare da quella piattaforma digitale – ma se volete ascoltare la loro musica, andate su andrewcronshaw.bandcamp.com oppure direttamente ad acquistare il disco su www.cloudvalley.com. “Kulku” ha raggiunto le più alte posizioni delle chart world music ed è uno dei dischi top in molte playlist 2018 della carta stampata, dalla Finlandia alla Gran Bretagna: pensate di potervi rinunciare? 



Ciro De Rosa

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