Mentre qualcuno disfaceva i bagagli dopo essere tornato dalle vacanze estive ed altri erano intenti ad acquistare materiale scolastico per i loro figli alla vigilia del un nuovo anno, ci sono stati quelli che hanno deciso di non rinunciare al piacere dell’ascolto di musica, magari ballando sui ritmi del mondo, in due prestigiose sedi nel centro della città. La world music non ha mai suscitato un grande interesse né a Belgrado né in tutta la Serbia: dalla fine degli anni '90 del secolo scorso il pubblico si è mostrato sempre interessato agli arrangiamenti piacevoli della musica tradizionale serba e balcanica, mentre le locali orchestre di ottoni, che hanno tenuto numerosi concerti in tutto il mondo, sono state considerate come qualcosa di pertinente quasi esclusivamente al "Guča Trumpet Festival" o ai fine settimana con abiti nuziali e battesimi di fronte alle chiese. L’unica febbre world, causata da "insetti" di origine straniera, è stata associata al Buena Vista Social Club e gli unici artisti che abbastanza spesso a riempire sale più grandi nella capitale della Serbia sono probabilmente i principali esponenti del fado o del flamenco. Diversamente, la settima edizione di "Todo Mundo" non aveva né fado né flamenco, ma è stata caratterizzato comunque da un'atmosfera eccellente. È ovvio che il festival, dal suo debutto nel 2012, sta lentamente formando il nucleo di fan dediti a buona, interessante, diversa e "strana" musica proveniente da tutto il mondo.
Il festival ha aperto i battenti al "Ilija M. Kolarac Endowment", più noto come Kolarac. Si tratta di un luogo di grande reputazione per gli abitanti di Belgrado, quasi simbolicamente collegato alla musica classica. Proprio in ragione del suo decennale apprezzamento, il Kolarac è frequentato da un pubblico fidelizzato, a quanto pare, indipendentemente dal tipo di concerto: il che è un fattore risultato sicuramente utile per "Todo Mundo". Il fatto è che la maggior parte degli appassionati che frequentano il Kolarac siano persone agée non è stato l'unico motivo per il quale il pubblico della prima sera era per lo più di mezza età o di età più avanzata. L'altra ragione risiede nella spina dorsale del repertorio degli headliner della serata. In particolare, il gruppo Divanhana, proveniente dalla bosniaca Sarajevo, profondamente dedito a proporre la sevdalinka o sevdah – un genere di canzone molto popolare nell'ex Jugoslavia, quando la sevdalinka faceva parte della scena locale e non rientrava nella categoria di world music, tra l'altro ancora inesistente. Non importa se Divanhana è composto dalle giovani generazioni di musicisti: il loro pubblico è, almeno a Belgrado, non propriamente giovane. In realtà, la serata del festival è stata aperta dalla band ungherese Csállólló, che ha presentato una combinazione di vecchio e nuovo, locale e globale, ungherese e balcanico: melodie tradizionali, citazioni musicali e composizioni proprie. Si è potuto apprezzare il potente intreccio di due sassofoni, fisarmonica e batteria, rivelatori della bellezza unica di un suono che non mira all'eccellenza.
Uno stile crudo e diretto, accresciuto dall'occasionale contributo vocale del percussionista Bősze Tamás. Il pubblico si è mostrato diviso tra gli entusiasti e coloro i quali era contrariati, perché impazienti di rilassare orecchie e anima con i suoni familiari bosniaci dei Divanhana, così come con il classici serbi e rom “Oj, Safete, Sajo, Sarajlijo”, “Ciganka sam mala” e “Kafu mi draga ispeci”. Il concerto dei Divanhana ha promosso il nuovo progetto e il nuovo album “Kardeş”, a cui partecipa la cantante turca Suzan Kardeş (e il suo clarinettista Yunus Emre Ellek). Cosicché il nostro ascolto si è arricchito per la presenza di alcuni brani tradizionali turchi, proposti in modo tipicamente fresco e colorato di Divanhana. Un arricchimento derivato anche dalla bella collaborazione tra Suzan e la cantante di Divanhana, molto più giovane, Naida Čatić, che ha mescolato sia la lingua bosniaca che quella turca. Alla fine dello spettacolo, pubblico in piedi a cantare le canzoni.
La notte dei legami tra jazz & world music
Venerdì, il festival si è spostato nell’altra location, il Centro Culturale Studentesco (SKC), per ascoltare il trio austriaco Golnar & Mahan e il quartetto belgradese Naked. Il percorso musicale è iniziato con l’espressione dolce, gentile e sofisticata di Golnar Shahyar, iraniano di nascita, e dei suoi partner dall’affine approccio artistico: Mahan Mirarab (chitarra) e Amir Wahba (batteria e percussioni).
Golnar, anche alla chitarra e al pianoforte, ci ha entusiasmato per la sua versatile voce che mescola varie tecniche in grado di catturare il campo del pop, dell’opera e del mondo sonoro orientale. Il trio ha prodotto un sound sostanzioso e irresistibile, che a volte porta a fraseggi che rompono la fusione, ma più spesso a composizioni accattivanti, progettate con cura, provenienti per lo più dall' ultimo album “Derakht”. Dal viaggio musicale molto piacevole con tre guide della scena viennese, si è passati al mood più energico prodotto dai Naked, ancora, però sulla traccia della combinazione jazz-world. Il loro è un suono urbano, forte e intenso, che sfrutta con intelligenza elementi della musica balcanica. Abbiamo avuto l'opportunità di conoscere l'attrattiva del nuovo album “Yes” dal vivo, basato sulla compattezza del basso e della batteria e sulla complessità della tessitura di violino e sassofono o clarinetto. I Naked sono stati potenti e ben coordinati sul palco, completando in modo convincente la seconda notte del festival.
Fonti sonore interessanti
Prima che gli Institute, veterani di Belgrado, iniziassero il loro concerto di sabato allo SKC, il musicista del gruppo, Veljko Nikolić aka Papa Nik, è stato insignito del premio dell’Associazione per la World Music serba, denominato "Povelja sa statuetom Vojin Mališa Draškoci", dal nome del famoso contrabbassista e compositore serbo.
Subito dopo, siamo stati lasciati nella mezz’ora di improvvisazione libera proposta da Papa Nik e dagli altri quattro membri di Institute. Il flusso del loro jazz ha avuto diverse oasi di sapore diverso, unendo strumenti africani e asiatici, con alcune escursioni canore, prossime alle sonorità cinesi. I suoni di questi strumenti e le espressioni vocali ci hanno portato con naturalezza al successivo concerto. Il fantastico trio Barmer Boys del distretto di Barmer, nello stato indiano del Rajasthan. Il gruppo ha presentato un eccitante mix di dholak, harmonium e di diversi strumenti di piccole dimensioni come il morchang e il khartaal. L'abilità artistica del polistrumentista Rais Khan, specialmente al khartaal, mi ha letteralmente travolta. Chi potrebbe credere che esiste una tale gamma di possibilità espressive? E ancor di più: chi potrebbe credere che il beatboxing di Rais Khan possa sembrare così coerente con un’antica tradizione?
Un festa riuscita
Per la chiusura dei quattro giorni di festival, gli organizzatori hanno offerto una super festa al SKC. Innanzitutto, siamo stati intrattenuti dai vivaci arrangiamenti, dalle composizioni e dai canti del trio cipriota Monsieur Doumani. Una band di musicisti allegri, dal nome divertente, la cui vivida combinazione di tsouras, chitarra e trombone o flauto, lascia l'impressione di una ricetta perfetta per costruire un grande successo sulla scena musicale world.
I ragazzi di Cipro hanno posto l'accento sull'ultimo CD “Angathin”, che quest’anno ha ricevuto lusinghiere recensioni. Pochi minuti dopo lo spettacolo offerto dai Monsieur Doumani, il pubblico entusiasta si è improvvisamente trasformato in una folla di ballerini saltanti. King Ayisoba è apparso sul palco, portando al punto più alto il livello di adrenalina. Rappresentante di spicco del kologo del Ghana, con i suoi quattro musicisti, seminudi o mascherati, Aysoba ha prodotto enorme energia con il canto potente, oltre a suonare il cordofono kologo, diversi tipi di percussioni e un tubo dal nome a me sconosciuto.
Un finale estatico e rituale della settima edizione di "Todo Mundo", il tutto all'insegna della diversità e della realtà del presente. alimentando la speranza di favore la missione di dare senso alla diffusione della cultura della world music tra i cittadini di Belgrado e della Serbia.
Marija Vitas
Traduzione di Ciro De Rosa
Foto el gvojos
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