
Dopo il successo di “Letters from Iraq: Oud and String Quartet”, rilasciato nel 2017, Rahim Alhaj torna a stupire con un nuovo capolavoro che mescola linguaggi per certi aspetti vicini ma allo stesso tempo lontani. Iraq, Iran e Palestina, tre culle di antiche culture e tradizioni che definire ricche e longeve risulta oltremodo riduttivo. “One Sky” è l’ultimo album di Alhaj composto per trio: il Maestro all'oud, Sourena Sefati al santur persiano e Issa Malluf alle percussioni (dombek, daf, riq e odu). Se Sefati è uno dei grandi virtuosi della cetra a tavola a corde percosse, Malluf è un eccelso esperto di percussioni e ritmi mediorientali. L’iracheeno-americano Rahim Alhaj non necessita introduzioni a chiunque sia avvezzo all’oud e alla musica araba: studente di Munir Bashir, considerato da molti il miglior suonatore di oud di sempre, nominato due volte per il Grammy nella categoria di “Best Traditional World Music Album”, compositore di almeno dieci dischi e protagonista di svariate tournée. Il disco, pubblicato da Smithsonian Folkways, sa impressionare per la ricchezza melodica, l’interpretazione ritmica e per la qualità del missaggio e della produzione, opera di Pete Reiniger, anch’egli vincitore di tre Grammy. Il linguaggio melodico ruota attorno ai maqam arabi e ai dastgāh persiani, scale basate su un sistema tonale di 24 note, che si differenzia dal temperamento equivalente europeo principalmente per la presenza di quarti di tono. Se l’armonia è perlopiù statica – si parla di armonia modale – , la padronanza strumentale dei musicisti e la loro abilità nel gestire l’improvvisazione li aiutano a sfruttare al massimo le potenzialità melodica delle scale.

Edoardo Marcarini
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