
Te l’avranno chiesto tutti, ma fa lo stesso e cominciamo da qui; cosa mai vuol dire: la pancia è un cervello col buco?
Lo dico sempre che la pancia è il secondo cervello; è una cosa riconosciuta anche scientificamente ed è la pancia che ho seguito e assecondato in questo ultimo lavoro, a partire dal fatto che si tratta di un disco autoprodotto – che già di per sé è una follia – e che l’ho registrato in presa diretta, con l’idea di suonarlo e portarlo in giro il più possibile; soprattutto si tratta di un album che raccoglie canzoni in cui spero di riconoscermi nel tempo: non ammicca mai alla discografia contemporanea e asseconda invece quelle che sono le mie esigenze di scrittura e quindi… la mia pancia!

Guarda, sarò molto onesta nel dirti che credo moltissimo nella figura del produttore artistico e penso che per la vita di un artista deve essere una persona speciale; il problema è che io non l’ho incontrato, non ho incontrato quello giusto: per me deve nascere una cosa potentissima, come una storia d’amore, che fa incontrare mondi diversi. E siccome avevo l’esigenza di far uscire questo lavoro per liberarmene, visto che in me già stava accadendo altro e già cominciavo a scrivere altre cose, alla fine ho deciso di partorirlo da sola. Ma non pensarla come una scelta di presunzione o di indipendenza assoluta: ho solo assecondato un’esigenza di quel momento.
La pancia… immagino sia stato però anche un modo per metterti alla prova.
Lo è stato eccome. E ho imparato tantissime cose, anche – per esempio - tutta la parte burocratica che mi ha sorpreso per la complessità: una roba pazzesca. Non immaginavo che dietro un disco ci fosse tutto quel lavoro lì. Oltre alla produzione artistica serve pure quella esecutiva! Comunque sì, mi sono messa alla prova con gli arrangiamenti, che comunque hanno visto la collaborazione dei musicisti che hanno partecipato al progetto. D’altronde non poteva che essere così, perché registrando in presa diretta, io ho portato in sala delle idee che in qualche modo si sono evolute in altre cose ancora, grazie al loro apporto.

Bene, potremmo dire che – vista l’ottima riuscita di questo lavoro – ti sei goduta questa grande libertà di decidere da te ed è per alcuni versi, quando si tratta di artisti del tuo calibro, un bene, dall’altra questa totale libertà fa pubblicare gente che non sa nemmeno accordare la chitarra e a volte in mezzo a tutta questa produzione è difficile orientarsi. Comunque tu nel primo disco hai fatto una scelta più tradizionale, in questo sei andata da sola. Nel prossimo che direzione prenderai?
Beh, non ti nascondo che la mia esigenza del momento è riuscire ad arrivare a più gente possibile, ma sempre in modo onesto: continuando a dire le cose così come le sento; sto buttando giù una serie di idee anche diversissime da quelle fatte fino ad ora… insomma il passo successivo è provare ad abbracciare un pubblico più ampio e dire cose anche diverse da quelle che ho raccontato fino ad ora.
Le storie che racconti e racconterai da dove nascono?
Nascono dai miei viaggi, dalla mia famiglia, dalle mie radici; in questo disco in modo particolare, visto che ho fatto tutto da me, ho scelto il mondo che conosco di più: il mondo delle donne.
Pure questa è stata una scelta no?
Questa è stata fortemente una scelta: ho ritrovato nei miei appunti tante storie di donne che ho deciso di mettere insieme e altre le ho cercate; avevo voglia di lanciare dei messaggi positivi e coraggiosi e ho deciso di farlo così perché secondo me noi donne lo siamo: la donna adesso è coraggiosa, ha degli ideali e vuole portarli avanti a tutti i costi.

A me piace pensare ad un’altra tipologia di donna: quella che non si piange addosso, quella consapevole del malessere che c’è intorno a lei. Siamo esseri sottili, ma la mia è una figura di donna che cerca sempre la via d’uscita e la soluzione alle cose. È risoluta e coraggiosa, come ti dicevo prima, perché noi donne lo siamo davvero.
Siamo delle combattenti, ma non è mai facile, perché poi le donne debbono sempre fare il doppio della fatica. Anche nel lavoro, ancora spesso tutto passa, in maniera più o meno esplicita, attraverso il linguaggio sessuale e sessista. E questo si riverbera anche sulla produzione musicale al femminile.
Sì, esatto. E infatti non ti nascondo che i miei ascolti sono soprattutto maschili e le colleghe che apprezzo di più non fanno musica italiana. Qui mi piace Cristina Donà, ad esempio. Ho anche fatto delle esperienze belle con Ilaria Porceddu e Erica Mou, provando a mettere insieme i nostri tre mondi molto diversi. Penso che lo faremo ancora. Anche perché credo che le donne dovrebbero fare proprio questo: incastrarsi tra loro per tirare fuori insieme un po’ di follia. Che tra l’altro, guarda caso, forse è proprio quella che un po’ manca nella musica femminile.

Sì, perché la cosa che mi piace fare di più è raccontare storie di altri oppure inventarne di mio, raccogliendo quello che pesco in giro; quindi suonare in strada mi ha aiutato tantissimo; farlo significa sapere sempre da dove si parte ma mai dove si potrebbe finire e soprattutto con chi si potrebbe finire. Tutto questo è davvero affascinante.
Quindi intendi continuare a farlo?
Sì, quando posso, parto e lo faccio.
Hai mai avuto problemi reali e gravi mentre lo facevi?
Beh! Non ci crederai, ma forse la situazione più imbarazzante che ho vissuto è stata proprio a Roma, ai Fori Imperiali. Mi hanno cacciato in malo modo mentre c’erano tante persone ad ascoltare. Invece, per farti un esempio, una volta in Francia, mentre suonavo in una zona in cui non si sarebbe potuto fare, la Guardia ha comunque aspettato che terminassi il pezzo e poi si è avvicinata, invitandomi a spostarmi e chiedendolo per favore. Purtroppo in Italia non abbiamo la cultura dell’arte di strada. Viene associata all’accattonaggio, al nomadismo, mentre addirittura in Francia gli artisti di strada ricevono uno stipendio mensile perché vengono considerati un valore aggiunto per la cultura del luogo. E così si fa musica ad ogni angolo ed è davvero bello.
Certo. E non a caso questo è un disco crossover che raccoglie pezzi diversi : è una roba che mi diverte. Diversamente mi annoierei a morte; e poi io non credo alla definizione di genere: è una roba che non ho mai sopportato nella vita e così anche nella musica. “Che genere fai?” Scrivo musica e poi ogni brano è fedele al suo mondo. La matrice della Canzone d’Autore comunque resta perché sono brani scritti da me.
Tu che definizione daresti alla Canzone d’Autore?
È una espressione pesante e me ne rendo conto: per me è la canzone scritta dall’autore, che lo fa assumendosi delle responsabilità nei confronti di chi ascolta. Questa è una cosa fondamentale. Mi capita di ascoltare cose che portano messaggi terribili e secondo me chi fa musica, chi scrive libri, chi fa cultura, deve invece ricordarsi sempre questo: noi lanciamo dei messaggi e quindi possiamo in qualche modo muovere cose; dobbiamo perciò fare attenzione; una scrittura d’autore è anche uno sguardo attento e responsabile.
Ok, andiamo avanti allora e quindi… mi dicevi che stai già andando avanti con nuovi progetti. Me ne vuoi parlare?
Per ora no. E poi comunque sono ancora in giro per questo disco.
Va bene. Però almeno sappiamo che questo nuovo lavoro avrà un produttore artistico! Come te lo immagini?

E quindi parlami dei tuoi musicisti.
I musicisti di questo disco non sono quelli del primo, anche perché ho fatto un lavoro di ricerca di suono molto diverso; sono però, come ti dicevo, i musicisti con cui suono in tour. La formazione con cui giro di più è in trio: il chitarrista Andrea Jannicola, basso percussioni e cori Paolo Mazziotti e poi io mi accompagno con l’ukubass.
Allora, visto che del futuro non possiamo parlare, parliamo del presente e del live. Come ti trovi? Hai difficoltà?
Beh innanzitutto c’è disabitudine all’ascolto; la gente è anche meno curiosa: sembra ci sia una sorta di apatia e poco desiderio di conoscere il nuovo; la gente ama la roba facile; però devo anche dire che non si può fare di tutta l’erba un fascio: ci sono anche quelli che fanno piccola ricerca; per esempio io il mio piccolo pubblico me lo sono creato e me lo sto creando negli anni, attraverso la gavetta. Mi è capitato di trovarmi in situazioni in cui c’era un pubblico particolarmente disattento, ma io la prendo un po’ come fosse una sfida; vedo il pubblico come il quarto o il quinto elemento della band e cerco di creare un rapporto anche dialogando; il pubblico va coinvolto, va anche portato un po’ sul palco. Non si può avere la presunzione di arrivare a tutti i costi!

GB Bisogna sfruttare i mezzi social. Sono necessari, perché adesso la comunicazione è lì ed è molto diretta. Sto imparando il meccanismo: lo sto ancora studiando però.
E posti per suonare ci sono?
GB Sì, ci sono, ma bisogna conoscerli, insistere, proporre… io riesco a suonare anche perché rompo le scatole al mondo; è una catena: si crea un circuito; sono contenta perché col Premio “L’artista che non c’era” ho vinto un bando con il Nuovo Imaie che mi assicura un tour di otto date: loro ti affidano a un booking e questa è una cosa positiva perché poi fai tutto tramite loro e tutto è in regola: una cosa seria!
Come la musica di Gabriella Martinelli
Gabriella Martinelli – La pancia è un cervello col buco (Autoprodotto, 2018)

Elisabetta Malantrucco