
Quando nasce il Circolo della Zampogna? Cosa è diventato oggi dalle sue origini?
Il Circolo della Zampogna nasce a Scapoli alla fine del mese di novembre 1990; in un altro secolo, in un altro contesto, zampognaro e non solo, e con l’intento, come recitava un nostro slogan dell’epoca, di «traghettare la zampogna nel terzo millennio, attualizzandola ma senza farle (possibilmente) perdere la sua anima».


Se sotto alcuni aspetti il Circolo è lo stesso di 28 anni fa – stessi gli obiettivi di salvaguardare la zampogna e promuoverne la conoscenza e la trasmissione alle giovani generazioni, medesimi l’impegno e la passione nel portarli avanti – nel mondo della zampogna, invece, sono intervenuti notevoli e importanti cambiamenti. Innanzitutto, sotto l’aspetto dell’organologia dello strumento e del suo repertorio al cui riguardo non posso qui non ricordare le innovazioni apportate da Piero Ricci e Lino Miniscalco a partire dalla fine degli anni ‘90 e quelle più squisitamente di tipo musicale di Emanuele ‘Nico’ Berardi e di Giuseppe ‘Spedino’ Moffa, tanto per citare i musicisti molisani o che, come Berardi, utilizzano strumenti di provenienza molisana. Poi, in termini di ripresa generale dell’attività di costruzione e dell’uso di zampogne e ciaramelle in tutto il centro sud, con la nascita di associazioni culturali, di nuovi gruppi ed esperienze musicali, di musei, di festival e rassegne di vario tipo e con la riscoperta e la diffusione della pratica di questi strumenti in realtà territoriali in cui questa era scomparsa da tempo o non era mai stata presente in forma autonoma. Penso alla rifioritura della zampogna in Abruzzo, a un più diffuso protagonismo in Campania e a quello inedito della Puglia, regione che storicamente non aveva evidenziato una sua tradizione zampognara e che oggi, oltre alla ‘stranezza’ dell’anomala zampogna di Panni (nel foggiano) fa registrare un discreto numero di appassionati e praticanti dello strumento oltre ad espressioni di assoluto rilievo come il citato Berardi. Lo strumento sta dunque vivendo una nuova, felice stagione in cui oltre che protagonista di occasioni d’uso e repertori tradizionali sia religiosi che profani (che persistono a dispetto di quanti ne avevano preconizzato e continuano a preconizzarne la scomparsa) è stata oggetto, con esiti complessivamente di grande interesse e valore artistico, di sperimentazioni, contaminazioni e composizioni ad esso dedicate che agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso non erano neanche lontanamente immaginabili.

Però la zampogna nell’immaginario collettivo è ancora strumento oleografico. Magari affettivo per i più attempati, ma in fin dei conti quasi del tutto sconosciuto…
Nonostante l’innegabile sdoganamento di cui la zampogna è stata oggetto, nell’immaginario collettivo la reale conoscenza e la considerazione di questo strumento ancora oggi ancora non si discostano molto da quelle che registravamo agli inizi della nostra attività. Per la gran parte delle persone, infatti, essa continua ad essere uno strumento un po’ così, da questuanti a volte anche un po’ troppo fastidiosi e talvolta stonati, magari anche suggestivo, evocativo di atmosfere bucoliche, ma in definitiva espressione di un mondo, quello dei contadini, che non solo appartiene al passato ma che nella cultura “ufficiale” è stato sempre considerato povero e arretrato. Una visione che abbiamo l’opportunità di verificare anche nella gestione quotidiana della Mostra Permanente di Zampogne italiane e straniere che il Circolo ha istituito a Scapoli alla fine del 1991, che è oggetto di visita non solo da parte di appassionati e/o addetti ai lavori ma anche di un pubblico generalista. Una visione solo in parte riscattata dal legame che lo strumento ha con il Natale, evento al quale continua ad essere innegabilmente associato.

Dicevi prima della relazione di consulenza con l’UNESCO. Recentemente il Circolo, in rete con altre associazioni, ha rilanciato la proposta di inserire la zampogna nell’elenco del patrimonio immateriale dell’umanità, patrocinato dall’UNESCO. Quali sono le basi di questa richiesta? Come occorre procedere per portare avanti la candidatura?
Mi fa piacere sentire parlare di rilancio della proposta in quanto ciò mi da l’opportunità di evidenziare che l’idea di candidare la zampogna (più correttamente l’arte del costruire e suonare la zampogna) per l’iscrizione nella Lista Unesco del patrimonio culturale immateriale dell’umanità risale al 2009 quando, in collaborazione con il Comitato per la promozione del patrimonio culturale immateriale e con il patrocinio dell’Istituto Centrale per la Demo-etnoantropologia, in occasione del Festival di quell’anno organizzammo a Scapoli un’ importante tavola rotonda dal titolo “La zampogna, un patrimonio culturale da salvaguardare” con l’intento dichiarato di creare una rete delle comunità della zampogna a cui demandare il compito di coordinare l’elaborazione del progetto di candidatura da sottoporre al Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il successivo inoltro all’Unesco. Per tutta una serie di ragioni che non sto qui ad elencare, quella proposta si arenò.

Avete preso esempio da altri riconoscimenti per portare avanti la procedura?
L’idea di una candidatura della zampogna prese forma nell’ambito del Comitato per la promozione del patrimonio culturale immateriale, di cui il Circolo fu tra i fondatori nella primavera del 2008, ed è innegabile che nel lanciare per la prima volta la proposta un ruolo lo ebbe il riconoscimento della fujara, all’epoca primo esempio di strumento popolare riconosciuto dall’Unesco, che avevamo ospitato nell’iniziativa autogestita
denominata “Beni Immateriali in azione, Sonorità, testimonianze e voci del presente” che come Comitato

organizzammo a Roma, presso il Museo Nazionale della Arti e Tradizioni Popolari, il 30 marzo 2008, con la partecipazione di una molteplicità di associazioni, gruppi musicali e singoli musicisti, esperti e appassionati. Nell’attuale riproposta, anche se al momento di lanciarla non se ne conosceva ancora l’esito, un ulteriore stimolo è stato dato anche dalla candidatura dell’arte musicale e artigianale della cornamusa irlandese (Uillean Piping); candidatura che si è concretizzata con l’iscrizione nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità in occasione della sessione del Comitato Intergovernativo della Convenzione Unesco del 2003 tenutasi a Jeju, nella Repubblica di Corea, dal 4 al 9 dicembre 2017.
Negli ultimi anni la voce del Circolo è anche “Utriculus”, il semestrale della vostra associazione culturale, diretto da Mauro Gioielli, che ha tutte le caratteristiche di un periodico di interesse scientifico. Quest’anno è il diciassettesimo anno di attività.
Si, dal 2014 abbiamo ripreso la pubblicazione e l’intento è quello di proseguire in questa esperienza che riteniamo ancora utile, prioritariamente per la diffusione della conoscenza, la promozione e la salvaguardia della zampogna intesa come aerofono a sacco tipico dell’Italia centro-meridionale ma senza dimenticare le cornamuse sorelle e, più in generale, le tematiche legate alla musica e alla cultura popolare. Infatti, nella nuova serie inaugurata nel 2014, quasi un terzo della rivista è dedicato ad argomenti non zampognari. Nell’ultimo numero, ad esempio, abbiamo ospitato un interessante ed intrigante articolo di Ettore Castagna sulla lira calabrese. In precedenza abbiamo parlato di chitarre battenti, di musei etnografici, di tamburi a cornice, di carnevali, ecc. L’interesse specifico resta comunque per gli strumenti con la sacca, italiani e stranieri, interesse che intendiamo portare avanti con taglio al tempo stesso scientifico e divulgativo.

Si parlava prima di innovazioni e di sperimentazioni, nel 2011, la regione Molise e altre amministrazioni locali avevano annunciato in pompa magna il progetto “Il respiro della montagna”, che mirava alla produzione su scala industriale di una cosiddetta “zampogna standard”: proposta in parte è assimilabile a quanto accaduto nei secoli passati con strumenti a fiato, ma che aveva suscitato reazioni di segno diverso all’interno del variegato mondo dei suonatori di zampogna. Di fatto, si intendeva costruire uno strumento versatile, che accoglieva le modifiche apportate da Piero Ricci, che da molti anni ampliato le possibilità armoniche e melodiche dell’aerofono mediante l’apertura di fori supplementari sul bordone. Ciò consente allo strumento di suonare molti più accordi 8circa una dozzina) rispetto ai due dei modelli di origine agro-pastoriale. Inoltre, altri dettagli costruttivi inerenti i materiali del chanter e delle ance avrebbero consentito un’accordatura e un suono più stabili. A pensare male, si direbbe che era un’idea vissuta il tempo di una tornata elettorale. Ma, in realtà, come stanno le cose, dal tuo punto di vista?
Per quanto ne so quel progetto, nei termini in cui venne proposto non è andato avanti rivelandosi di fatto un’idea vissuta il tempo di una tornata elettorale. Io stessa, nel prendere posizione contro, in apertura del mio intervento sulla stampa locale parlai di “zampogna al tempo delle elezioni”. Con ciò sarebbe però sbagliato credere che si trattasse solo di una promessa elettorale; il tentativo io credo ci fu, L’amministrazione di San Polo ci credette davvero e non è detto che non ci si riprovi. Il che, dal mio modesto punto di vista, sarebbe nefasto sotto diversi aspetti.

Agli inizi del nuovo millennio il Festival di Scapoli ha attraversato una fase rigogliosa, rappresentando uno dei pochi esempi in Italia di programmazione incentrata su strumenti locali, la zampogna e la ciaramella, che dialogavano con altri aerofoni popolari e colti, in cui si scrivevano partiture inedite per zampogna e per aerofoni popolari. Cosa resta di quell’esperienza epocale? Quanto ha seminato nel tessuto sociale e culturale della regione?
Per quanto ne so, non mi pare che l’esperienza del festival di Scapoli degli anni 2000-2002, il cosiddetto “triennio felice” di cui parlavo prima, sia stata ripresa in festival e rassegne varie né in Molise né altrove in Italia, per cui sarei propensa a ritenere che la nostra resta un’esperienza finora unica. Ciò però non significa che non abbia lasciato il segno. Come commenta Vincenzo Lombardi in un articolo dal titolo “Costruzioni musicali. Idee, musicisti, gruppi, pratiche e attività musicali in Molise fra folklore e world music dagli anni cinquanta ad oggi” (pubblicato sul numero 6-7/2013 della rivista Glocale edita da Il Bene Comune di Campobasso: «Strumentisti e compositori, dopo i Festival 2000-2002 dovranno confrontarsi con le esperienze di quegli anni».

Qual è lo stato di salute oggi degli aerofoni popolari in Molise in termini di suonatori?
Per quanto riguarda i suonatori direi che lo stato di salute è abbastanza buono. Grazie ai corsi musicali organizzati a Scapoli dal Circolo, prima in maniera sporadica (prima metà degli anni ‘90) e poi in maniera continuativa (a partire dal 1999), inizialmente con la docenza di Gianni Perilli e poi di Ivana Rufo e Lino Miniscalco del gruppo Il Tratturo e, successivamente, a San Polo Matese con la docenza di Piero Ricci e a Riccia di Giuseppe ‘Spedino’ Moffa, nonché grazie al più generale lavoro di promozione e di diffusione della conoscenza dello strumento, un buon numero di giovani (e anche di meno giovani) si è avvicinato alla zampogna e alla ciaramella ed ha cominciato a praticarle: nella maggior parte dei casi a livello amatoriale, per se stessi, e talvolta formando o entrando a far parte di gruppi musicali o ensemble più o meno stabili con cui si esibiscono in occasione di feste e rassegne di musica popolare, non disdegnando al tempo stesso la pratica tradizionale per eccellenza di questi strumenti: quella legata al periodo natalizio. Inoltre, per quanto ci è dato di sapere, sia pure con piccoli numeri e con una diffusione in contesti anche diversi da quello di appartenenza tradizionale, vale a dire il mondo contadino e del piccolo artigianato, la zampogna è sia tornata ad essere praticata in paesi in cui era sparita da tempo sia ad essere presente in località in cui non risulta essere stata storicamente diffusa.
E nell’ambito della costruzione?
Sul versante della costruzione invece, pur registrando la tenuta a Scapoli di quattro costruttori in attività e la nascita di un costruttore a Boiano, in area matesina, realtà a cui va aggiunta l’attività degli stessi musicisti Piero Ricci e Lino Miniscalco, qualche preoccupazione per la trasmissione di questo particolare sapere artigianale alle nuove generazioni come Circolo abbiamo cominciato a nutrirlo da tempo. Purtroppo, a parte pretese fabbriche di zampogne ‘modello standard,. che come dicevo prima, fortunatamente non hanno visto la luce, dobbiamo registrare l’assoluto disinteresse delle istituzioni locali e regionali nei confronti del problema. Nell’ambito della formazione, ad esempio, nulla è stato fatto per promuovere e incentivare corsi di formazione presso le botteghe artigiane. È vero che tradizionalmente, al pari dell’arte del suonare anche quella di costruire gli strumenti si è sempre tramandata in ambito parentale o amicale stretto senza bisogno che qualcuno organizzasse corsi. Ma è pur vero che i tempi sono cambiati e, per quel che la realtà locale ci consente oggi di cogliere, la trasmissione spontanea che ha assicurato il ricambio generazionale dell’attività artigianale per la costruzione di zampogne e ciaramelle così come l’abbiamo finora conosciuta rischia di interrompersi. Naturalmente mi auguro di sbagliarmi e in un angolino della mia mente qualcosa mi dice che, sebbene data per finita un’infinità di volte, la zampogna riuscirà sempre a risorgere dalle proprie ceneri come l’araba fenice.
Ciro De Rosa