


Innanzitutto tengo a dire che, come tutte le cose vere della vita, il libro mi è stato chiesto. Da solo non sarei stato capace ad imbarcarmi in questa avventura; e quando qualcuno, nel caso specifico un editore importante, ti chiede di farlo, significa che l’idea in qualche maniera è già nella storia, è matura. In realtà faccio lo spettacolo su Gaber dal 2007, ma che potesse diventare 240 pagine di racconto non lo sospettavo: infatti ho accettato solo dopo aver iniziato a scrivere. Credo sia il sessantesimo libro su Gaber e, in parte lo ha già fatto con il suo libro Luporini, che ha tutto il diritto e il dovere di raccontare l’epopea del teatro-canzone e gli spettacoli, quello che mi interessava era raccontare Giorgio perché, secondo me, il valore culturale di Gaber sta proprio nella persona: mentre Dario Fo, è conosciuto nel mondo per le cose che ha scritto, Gaber è riuscito a fare le cose che ha fatto grazie alle sue straordinarie capacità personali. È vero che come cantautore può essere considerato marginale rispetto a un Guccini (io ho lavorato con entrambi), come quantità di produzioni, come vendite etc, ma come influenza, quella di Gaber è superiore, sulla lunga durata, a quella di qualsiasi altro personaggio dello spettacolo italiano. Un uomo dalle virtù addirittura profetiche, di grande visione.
Nel libro ci sono una serie di ricordi, aneddoti e storie inedite, serie e divertenti su Gaber artista e uomo, e sulla tua vita ma anche motivi di riflessione. Mi ha colpito molto una serie di tue considerazioni sul teatro-canzone.
Il teatro-canzone non è come qualcuno crede, semplicemente l’accostare di canzoni e prosa. Nasce come strumento di intervento sul presente, quindi ci deve essere un tema. L’accostamento delle due componenti deve avere un senso. Spesso si crede che basti usare parti recitate e canzoni per fare teatro-canzone ma non è così. La domanda era “Cosa raccontiamo noi oggi del presente ?” ad esempio le difficolta di essere naturali nel proprio corpo, o la necessità di costruirsi maschere per sopravvivere senza uccidere le cose buone che abbiamo dentro.


Prima di incontrare Gaber, nonostante fossi giovanissimo, avevi già una carriera musicale importante, tre dischi con l’Assemblea Musicale Teatrale e uno solista che sarebbe uscito di lì a poco; l’inizio della collaborazione con Gaber e il dedicarti soprattutto a testi teatrali ha interrotto la tua carriera da musicista. Hai dei rimpianti ?
Già dal primo disco dell’Assemblea Musicale Teatrale, “Dietro le Sbarre”, mi porto dietro questa contraddizione: era un album che stava in piedi da solo ma che erano le canzoni di una spettacolo teatrale. Finche c’era il “movimento” le due cose potevano coesistere; finita quell’epoca dovevo entrare in un mondo produttivo, poteva essere quello della musica pop o quello del teatro. Istintivamente ho scelto quest’ultimo, mi sembrava più protetto e il teatro mi sembrava un luogo più adatto per dire le cose; in un teatro medio-piccolo, fino ai cinquecento posti, si crea attenzione e ogni produzione (persino per l’allestimento di un classico) comporta un lavoro ex-novo e questo fatto della continua novità, della continua ricerca era molto più vicino al mio carattere. Insomma, sì, ho interrotto la mia carriera di cantautore ma in teatro ho fatto veramente una marea di cose, oltre cinquanta allestimenti.


Gaber ci venne a sentire al Teatro Cristallo a Milano, ad un matinée per gli studenti che saltavano la scuola. Avevo già scritto “Venezia” e già aprivamo i concerti di Guccini. Il teatro Carlo Felice di Genova mi aveva commissionato le canzoni di un musical, del quale poi non si fece nulla e avevo questa bozza di canzone che Guccini mi aveva chiesto di scrivere su Gulliver, e mi venne in testa di riscrivere i “Viaggi di Gulliver”, magari attualizzato e abbinato a una critica sull’oggi. Il Teatro Carcano di Milano si interessò al progetto e Giorgio si era appassionato all’idea. Il terzo album dell’Assemblea, quello che mi ha consentito di fare l’artista per tutta la vita (perchè appunto, conteneva “Venezia”) è quello che la sinistra non ha accettato: per la rivista Ciao 2001 era stato il disco dell’anno ma i compagni che venivano ai concerti ci fischiavano; era un album dai contenuti libertari e poco ortodossi; Mentre l’ortodossia degenerava nella lotta armata, noi avevamo una spinta anarcoide in un certo senso. La battaglia di Gaber, con l’individuo in primo piano, era in realtà simile alla nostra. La soggettività che prevale sulla massa. Non avevamo tradito, in qualche maniera ci eravamo evoluti.

Sono duecentocinquanta brani inediti: Aveva lasciato delle cassette e degli Ampex. Lui lavorava con un registratorino della Sony a pile e il pianoforte, solo a volte andava in una saletta che aveva un Revox e registrava qualcosa di più elaborato. Queste cassette erano ormai quasi cancellate, perché negli anni si erano smagnetizzate. E così ho scoperto l’incredibile vicenda di quest’uomo, emarginato dallo star-system all’apice del successo mondiale perché evidentemente omosessuale (non lo rivendicava, ma era evidente dal modo di parlare e dalla gestualità); fosse nato dieci anni dopo sarebbe stato un valore aggiunto e questo ne avrebbe fatto una star, ma per la RAI bacchettona dell’epoca lui non doveva essere visto. Pensa che con Modugno è l’autore italiano più conosciuto nel mondo, “Il Mio Mondo” è stato ai vertici delle classifiche dappertutto. Insomma, lui ogni giorno si sedeva al pianoforte e lavorava a una canzone e spesso in queste registrazioni parla e faceva delle considerazioni piuttosto amare sulla vita, sugli amici veri e falsi; era un uomo travagliato e addolorato ma allo stesso tempo uno che non mollava. Ed è impressionante sentire il miglior pianista compositore italiano che si registra con il mangianastri. Questa cosa è andata avanti per anni, forse venti, con sporadiche apparizioni, poi fu Gad Lerner ad invitarlo in una trasmissione nel 1991. Poi ci fu la morte accidentale della mamma, cui lui era molto legato, che gli diede la botta finale.

Il disco “Le Donne di Ora”, Gaber rimixato e rimasterizzato da Fossati. Che ne pensi?
Non l’ho ancora sentito. C’era quest’inedito di Gaber sulle donne e si è forse voluto creare un percorso che potesse interessare persone che Gaber lo conoscono meno. Fossati in sala d’incisione è il migliore di tutti, ci ho lavorato con il Teatro della Tosse, di cui anche lui ha fatto parte, e posso testimoniare che in sala è bravissimo. Direi che quel tipo di lavoro è proprio il suo, in mani migliori non poteva finire, un musicista straordinario che ha anche la testa per fare una scaletta e per dare significato alle parole delle canzoni.
Infine, nel 2018 segna anche il tuo ritorno nel mercato discografico con “Resistenza POP”.
Il disco nasce, ancora, da un’esperienza teatrale; è un disco + DVD che è il risultato di una serie di storie partigiane raccontate negli anni (soprattutto nelle scuole, in piccoli paesi del Piemonte ma anche in grandi città come Torino e Genova) con le canzoni.


Gian Piero Alloisio - Resistenza POP (ATID/Edel, 2018)

Gianluca Dessì
Foto 1,2,4 di Gianfilippo Masserano
Tags:
Storie di Cantautori