Polistrumentista e ricercatore da lungo tempo attivo in diversi ambiti musicali dal jazz alla musica tradizionale passando per la canzone d’autore e la musica antica, Fabio Turchetti è noto non solo per la sua attività in diverse formazioni ma anche come solista, avendo all’attivo una ormai vasta discografia. Il suo nuovo album “1959 Vascelli” rappresenta, senza dubbio, uno dei progetti artistici più ambiziosi del percorso artistico del musicista cremonese, tanto per il particolare concept che lo caratterizza, quanto per i brani contenuti nei due dischi, solo in apparenza differenti ma che al contrario rappresentano due facce della medesima medaglia. Il primo disco “La Notte” raccoglie, infatti, dodici brani strumentali firmati dallo stesso Turchetti e risalenti al 1985. All’epoca furono affidati al pianoforte del talentuoso Luca Flores ed oggi, a distanza di oltre trent’anni, trovano nuova vita nelle suggestive esecuzioni per bandoneon solo, strumento del quale il musicista cremonese scrive: “Mi sono innamorato dei suoi mantici più di dieci anni fa e lo considero tra tutti quello che più mette in risonanza le mie corde interiori”. Il risultato, come si legge nelle note di copertina non sono versioni definitive dei brani, ma piuttosto l’istantanea di uno stato dello stato di grazia di un “costruttore di vascelli”. Aperto da “Rue St-Denis” nella quale sul finale spicca una citazione di “Que Reste-t-il de nos amours?” di Charles Trenet che ritorna anche nell’intro della successiva “San Telmo”, il disco entra nel vivo con le splendide “Michel” e “Calle Mexico” e trova il suo vertice con l’evocativa “Solis” prima di regalarci un finale onirico con “Il sogno” e la sinuosa “Tango Martinez”. Il secondo disco “Il Giorno” mette in fila dodici brani per organetto solo che esplorano i territori del blues al quale Turchetti si era dedicato sin dal 1985 e che ha riscoperto negli ultimi anni dopo un viaggio a Manila, quando gli fu chiara la portata universale del suo linguaggio. In questo senso va, dunque, letta anche la scelta di ispirarsi per ogni brano ad un animale proprio come facevano gli Indiani d’America quando raccontavano le loro storie. Il risultato è una sequenza di brani dallo stile compositivo brillante come l’iniziale “Warsaw Blues (The Dragon)”, “Lusitania (The Sea Horses” e “The Leviathan” ma il punto più alto di questo lavoro lo si tocca con le conclusive “The Salamender” e “Hare In The Moon” nelle quali spicca a pieno tutta la capacità di Turchetti di dar vita a composizioni dal tratto personale e mai scontato.
“1959 Vascelli” è, dunque, un lavoro da non perdere, proprio come i concerti che Fabio Turchetti tiene in tutto il mondo. Da scoprire ed ascoltare con attenzione!
Salvatore Esposito
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