Il Nord come luogo dell’anima e fonte di ispirazione per il percussionista e cantante di A Coruña (classe 1969), che in pochi anni si è conquistato uno spazio d’attenzione nella musica galiziana di derivazione tradizionale, mettendo al centro dei riflettori non solo il pandeiro (diventato uno strumento molto cool in Galizia) ma una compagine di una dozzina di cantanti e percussioniste, le Adufeiras De Salitre, che imbracciano l’adufe, il tamburo di forma quadrata, cui si aggiungono tocchi di basso, ma soprattutto i fratelli Gutier (ghironda e violino) e Javier Álvarez (organetto diatonico e piano), strumentisti di ottima levatura con cui Xabier circuita anche nel progetto live in trio: il primo più influenzato dalla musica antica e modale, il secondo più vicino ad influenze jazz.
Forte del precedente ottimo episodio discografico, “The Tamburine Man” (2015), Díaz pubblica “Noró” (ossia “Nord”, che porta come sottotitolo “Algunhas músicas do norte”), un disco che mette in copertina un bell’esemplare di capra irlandese. «La foto di un fotografo gallego, Xoán Piñón, scattata nell’area di Galway negli anni Settanta, assurge a metafora del nord-ovest. La capra è, inoltre, l’animale con la cui pelle si fabbricano i tamburi a cornice», racconta il musicista.
Díaz, conoscitore dei temi della sua terra, rinnova la sua rielaborazione delle note raccolte, indagando i canzonieri galleghi con rigore e fantasia, elogio della tradizione e proiezione pop, che non sminuiscono il portato emozionale del lavoro, aperto dalla xota “O baile de Noró”, il primo singolo dell’album, dove si incrociano armonie vocali, pelli percosse e il superlativo intervento del mantice ad arricchire la tavolozza sonora. Organico compatto anche nella successiva, potente “Unha fala e un cantar”, uno dei numeri migliori dell’album, in cui sale in cattedra ancora l’organetto di Javier. “Flor de maio”, brano con il violino che a tratti assume movenze irlandesi, è altrettanto potente. A ritmo di ribeirana, muiñeira, pasodobre, ronda, mazurca e carballesa si profila un ritratto in tredici brani del nord-ovest peninsulare iberico di cui l’album rivendica la ricchezza e la varietà musicali. Non solo, però, di suoni della Galizia, ma anche di Zamora, León e Sanabria: si spiegano così le digressioni tematiche in castigliano (“La niña de la arena” e “No pido licencia a nadie”), due temi provenienti proprio da Léon e Zamora, province prossime alla Galizia, dalla cui cultura popolare è attratto Xabier: «Mi piacciono il folklore e le affinità con il nostro galiziano», osserva ancora il musicista.
Grandi alcuni episodi e molto buono l’insieme: un lavoro, pertanto, che va ascoltato.
Ciro De Rosa
Tags:
Europa