Bruce Cockburn – Bone On Bone (True North Records, 2017)

Per l’ormai settantatreenne cantautore di Ottawa il nuovo millennio ha portato solo soddisfazioni: quattro dischi di inediti di qualità eccellente e una brillantissima raccolta di strumentali (“Speechless” del 2005) che ha dimostrato, se ce ne fosse bisogno, la grandezza di Cockburn come chitarrista fingerstyle, sobrio e lontano dai techno-freak dell’hammering, del tapping e del percussive-style, ma sempre immenso. Il nuovo “Bone on Bone”, il trentaduesimo album di una carriera quasi cinquantennale, è probabilmente il miglior disco del lotto. Album assai chitarristico, con il titolare diviso fra acustica, dobro, dodici corde e persino nylon-string, “Bone to Bone” regala un autore lucidissimo e uno splendido cantante, con una voce incisiva, lontana da quella pulita degli esordi di “Going to the Country”, ma sempre personale e irruvidita dagli anni e dall’esperienza. Cockburn riprende il discorso interrotto sei anni prima con “Small Source of Confort”, disco bello e vario ma cui il nuovo uscito è superiore. Sei anni di gap nei quali Bruce ha dovuto fare i conti con una fastidiosa forma di artrite (cui fa riferimento il titolo dell’album) che ne condiziona le performance chitarristiche (ma, giuro, non si sente) e un incidente ad un occhio che ne limita il campo visivo, anni in cui ha avuto tempo di scrivere l’acclamata autobiografia “Rumors of Glory”, una delle più belle scritte da musicisti rock, e persino, di avere una bambina, Iona, che ora ha, appunto, sei anni. Fra i brani, spiccano l’incontro col coro gospel in “Jesus Train” e in “Twelve Gates to the City”, che chiude magnificamente la raccolta, l’incalzante “Stab at Matter”, che ricorda la “Choctaw Bingo” di James McMurtry, la delicatissima “40 Years in the Wilderness”, forse il momento più forte dell’album, la ritmica di “3 Al Purdy’s” scandita dal dobro e dove la voce di Cockburn diventa roca e bellissima, e infine l’ostinato di “Looking & Waiting” ipnotico nel suo delicato equilibrio. Ciliegina sulla torta il sontuoso strumentale della title-track, capolavoro di fingerstyle e di indipendenza delle dita della mano destra. Settantatrè anni, oltre trenta dischi per la True North Records, vera icona della discografia canadese (anche Murray MacLachlan ha inciso decine di dischi per l’etichetta di Ontario), il cui catalogo è stato ora dalla Rounder, e Bruce Cockburn ha ancora voglia di migliorarsi e stupire e questo ci fa felici. 


Gianluca Dessì

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