Girolamo De Simone non ha bisogno di presentazioni: pianista, compositore e musicologo, creatore della factory “Konsequenz”, è una delle personalità di punta delle musiche di frontiera. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo ritrovamento di materiali inediti di Luciano Cilio, risalenti alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, la cui qualità si è per fortuna preservata, e su cui il compositore vesuviano ha lavorato per estrarne 73 minuti di ascolto. Luciano Cilio, napoletano, polistrumentista e compositore antiaccademico, irrequieto e risoluto sperimentatore, si tolse la vita a soli trentatré anni (era il 21 maggio del 1983). Cilio è stato una figura importante nella Napoli dei ’70, non ascrivibile a generi precisi, vero iniziatore della border music, facendo interferire classica, pop pogressive, timbriche e forme musicali extra-europee (prima dell’avvento della world music). Un compositore e operatore culturale non omologato in quei tempi fertili della scena napoletana (solo per restare nell’ambito popular più avanzato, pensiamo all’Alan Sorrenti di “Aria”, in cui suona lo stesso Cilio, e agli Osanna di “Palepoli” o a Tony Esposito di “Rosso Napoletano”; mentre sul versante del mondo tradizionale contadino si attuava il lavoro di ricerca De Simone), ma “capace di fondere in uno stile inconfondibile le diverse anime della città di Napoli”, rileva De Simone, il quale ha paragonato la vicenda esistenziale di Cilio, per certi aspetti, a quella del matematico Renato Caccioppoli di due decenni prima, così efficacemente raccontata in “Mistero Napoletano” di Ermanno Rea. La ‘musica possibile’ di Cilio è stata anticipatrice in una città che lo ha ignorato e poi perfino rimosso, come capitato a molti altri suoi figli che “non cantano”. De Simone ha curato le riedizioni dell’unico album inciso dal compositore del Vomero (“Dialoghi del presente” pubblicato da EMI nel 1977, ripubblicato con il titolo di “Dell’Universo Assente”, con l’aggiunta di composizioni inedite trascritte ed eseguite dallo stesso De Simone) e ne ha raccontato la storia in “Luciano Cilio mi disse”, un lavoro documentaristico, portatore di importanti riflessioni sulla scena napoletana e sulla musica contemporanea.
Girolamo, come hai rinvenuto i nastri?
Ero intento a un lavoro di restauro digitale delle registrazioni Live di Eugenio Fels: da tempo desidero riproporre su CD o su un supporto più capiente i materiali storici delle esecuzioni e delle composizioni del mio Maestro, che è un formidabile musicista. Ho sbobinato una decina di nastri, con l’aiuto di un amico molto esperto, Michele Liguori, che possiede Revox e altri registratori d’epoca, e autocostruisce amplificatori valvolari, e altre diavolerie Hi-fi. Mentre riascoltavamo i materiali alla ricerca di un brano per pianoforte cui Eugenio teneva (e che finora non abbiamo ritrovato), sento in sottofondo una voce. Torniamo indietro e alziamo il volume: era sicuramente la voce di Luciano Cilio. Sono sobbalzato e da quel momento è partita una full immersion in un mondo lontano alcuni decenni. Era l’epoca in cui la registrazione su nastro aveva caratteristiche del tutto particolari, molto diverse dal mondo digitale in cui siamo oggi immersi; quell’epoca non aveva il carattere della facile ‘manipolabilità’ del registrato: oggi interpoliamo e sovra-incidiamo con facilità. Regoliamo i volumi ex post con un click, oppure agilmente applichiamo filtri che modificano gli sfondi e i ronzii indesiderati. Il mixer lo richiamiamo con facilità. Allora, tutto ciò richiedeva operazioni complesse, in tempo reale, spesso irreversibili. Luciano, poi, utilizzava la registrazione per comporre, per fermare le idee, visto che non padroneggiava la scrittura, e la sua musica proveniva direttamente dall’immaginazione e dalla pratica allo strumento, senza la mediazione della carta, della notazione.
Che sensazione hai avuto nell’ascoltarli?
Eh, puoi immaginare la mia emozione. Sono caduto in una specie di febbre. Ho chiamato subito Eugenio Fels, poi ho sentito un caro amico, Agostino De Rosa, che è un amatore di musica e un carissimo amico. Ho subito scritto a Federico Vacalebre, che conobbe Luciano. Ho scritto a Gianni Cesarini (allora critico militante de “Il Mattino”, figura centrale nei fermenti culturali di quegli anni, che ha abbandonato la città di Napoli, per trasferirsi a Gran Canaria, ndr). Insomma, ho fatto subito le mie comunicazioni alla ‘costellazione di senso’ che potesse condividere la mia emozione. Per anni tutti hanno cercato questa musica, senza esiti significativi.
Io avevo salvato i Quadri musicali dei Dialoghi del presente, il vecchio Lp Emi del 1977 (che fra l’altro vive delle ristampe continue, ritengo a partire dai miei materiali digitali originali, non certo dalle bobine, ormai smarrite: quindi si tratterebbe, a meno di documenti che lo attestino, di trattamenti ulteriori, derivati dai miei originali, unici attendibili). Tempo dopo, rinvenni anche altre bobine, cancellate e sovra-incise con canzonette napoletane, e persino un take alternativo del primo Quadro, più lungo di quello edito. Poi, incisi personalmente ricostruendoli da partiture solo abbozzate (ripeto, Luciano non annotava la musica), tutte le musiche successive. Ritrovai persino lo Studio per fiati. Tutti materiali pubblicati da una casa discografica milanese, dal momento che a Napoli nessuno aveva voluto, saputo o potuto comprendere l’importanza di quei materiali.
Vogliamo provare a ricostruire il contesto culturale in cui inquadrare l’opera di Luciano Cilio?
Come ti dicevo, la sensazione è che Luciano Cilio operasse in un ambiente non proprio favorevole alla ricerca, che si pascesse nell’esterofilia, nella musica popolare alla Roberto De Simone, e fosse ostacolato persino dall’ambiente cosiddetto colto, ambito nel quale lui, proveniente da studi di architettura contemporanea, si sentiva elettivamente parte. Il discorso è molto complesso, ma ho raccontato tutti i particolari e pubblicato i dibattiti dell’epoca in un librino che si intitola “Luciano Cilio mi disse”, facilmente reperibile in rete. Del resto, il gesto finale di Luciano, la morte trovata dopo diversi tentativi, ci dice che il suo malessere fosse molto forte. E la cosa peggiore è che, a mio parere, la città non è affatto cambiata, almeno nell’atteggiamento verso chi conduce ricerche del genere, pur producendo musica al di là del tempo e dei generi. Per questo, molta parte del mio lavoro è orientata alla riscoperta e alla proposta di quelle che ritengo e chiamo “memorie inconciliate”, e di molti musicisti di grande valore attualmente produttivi (non solo a Napoli).
Si tratta di materiali che precedono “Dialoghi del Presente”, che è del 1977. Risulta che nel 1971 Cilio aveva inciso quattro brani per sitar ed altri strumenti tradizionali nello studio di Shawn Philips, poi andati perduti? C’è un nesso tra questi materiali e il nastro?
Sì, sicuramente sono precedenti ai Dialoghi: posso dirlo perché si possono individuare dei nuclei, delle cellule che vengono esplorati, incisi, provati su nastro, e che poi diventeranno parte di quel disco ormai celebre. Ma ci sono molti frammenti che non furono trasferiti nei “Dialoghi del Presente”, e che finalmente potremo conoscere. C’è un brano, lungo, in cui compare il sitar: è certamente uno di quei brani, ma non si tratta credo di quella registrazione, che ritengo dovesse essere su un altro nastro, quello di cui ti parlavo prima, poi sovra-inciso con canzoni napoletane. Questo pezzo, che potremo finalmente riascoltare, potrebbe invece essere tranquillamente uno dei Quadri dei Dialoghi, nel senso che potrebbe comparire in quel disco senza temere confronti di bellezza o profondità.
Come hai operato sul nastro in termini di selezione, riversamento e di editing?
I brani vengono da un nastro da 1/4 di pollice (8 mm), bobina da 7 pollici. Sono registrati a una velocità di 3,3/4 equivalente a 9,5 cm al secondo, alternata a una velocità di 7,1/2. Ho riversato in digitale tutti i materiali, che sono il frutto di incisioni effettuate a diversa velocità e con differente qualità audio: si tratta di molte sedute differenti, di una sorta di ‘archivio’ che Luciano dovette costituire per far conoscere agli amici la sua musica ‘prima’ della stampa del disco, il che spiegherebbe anche il motivo per il quale Luciano dovette darlo a Fels: per fargli ascoltare la sua musica e chiedergli di suonare quella nuova, quella che avrebbe scritto per pianoforte, e che Eugenio portò in sala da concerto in tutt’Italia. Questi materiali hanno una durata di due ore e quaranta minuti. Piano piano ho proceduto a selezionare i frammenti utili a formare un disco di circa cinquanta minuti (credo che pubblicherò in vinile, per evitare gli inconvenienti subiti col primo materiale in digitale). Alcuni erano brani, anche lunghi, già compiuti; altri sono stati ‘rinvenuti’ alzando il volume di una delle tracce, e portando in luce gli ‘armonici’ della chitarra di Luciano, oppure selezionando da lunghe improvvisazioni, composizioni e ricerche che come ho detto Cilio utilizzava per ‘scolpire le immagini’ musicali che gli interessavano. C’è poi un secondo disco di materiali di documentazione, vale a dire la voce di Luciano che dà suggerimenti agli interpreti, o che dialoga con chi sta incidendo. Spesso si sente che lui è solo, che aziona in solitudine le macchine, prende o posa la chitarra, sovraincide le percussioni.
In questo secondo disco ci saranno poi i frammenti esclusi, perché troppo brevi, ma troppo belli per restare per sempre solo nella mia mente e nel mio computer. C’è poi un corale per fiati, di circa otto minuti, troppo lungo per essere inserito nel primo disco (dove appare solo un suo frammento).
Sul piano musicale, cosa possiamo ascoltare?
Ci sono tre Quadri per ensemble, di cui due totalmente nuovi. In uno di questi due c’è sempre il sitar, strumento che Luciano aveva studiato, anche in India, e suonato in alcuni concerti a Parigi. Il terzo Quadro è simile a uno dei Dialoghi, ma più lungo e con soluzioni e modulazioni più ardite, segno che Cilio aveva selezionato i materiali anche secondo la destinazione dell’LP Emi, che apparve in una collana di musica pop. Ci sono poi molti pezzi per chitarra sola. Tre di questi sono delle vere e proprie improvvisazioni su ‘raga’ indiani, di differente durata. Altri sono estratti per chitarra sola, e uno, bellissimo, è un dialogo tra la mediterraneità della chitarra di Luciano con un contrabbasso jazz: un Cilio mai ascoltato. Ho salvato e proporrò anche uno degli ‘esperimenti’ con riverberi e sovrapposizioni di pattern: un tentativo che definirei ‘elettrico’, per non dire ‘concreto’, nel senso della musica elettronica.
Come ci parlano oggi questi materiali?
Sono senza tempo… chiunque li abbia ascoltati li ha trovati, come del resto il vecchio disco, di straordinaria freschezza.
In che modo illuminano la ricerca di Luciano Cilio?
Ci lasciano comprendere il suo mondo immaginativo; come componeva, con quale concentrazione e bellezza di percorso, ma anche con quante difficoltà. Mi chiedo cosa avrebbe potuto fare oggi, con i mezzi attuali, se non avesse trovato l’ostilità della città.
Pensi si possa portare questa musica inedita dal vivo al pubblico e di pubblicarla su supporti o in altri formati…
Sì, organizzerò un ascolto pubblico di una ristretta selezione dei materiali prima della ricorrenza dei trentacinque anni dalla scomparsa, avvenuta a maggio del 1983. Ci sarà, salvo inconvenienti il 10 maggio alla Galleria Toledo di Napoli. Eugenio Fels e Fabio Donato mi hanno dato l’ok con la loro presenza. Fabio proporrà una mostra, un omaggio con le sue foto più belle (sono sue quasi tutti le foto esistenti di Cilio).
Tecnicamente potremmo stampare anche domani l’Lp. Sono molto curioso di vedere se ora la Napoli che produce si farà presente, o resterà il solito silenzio, la solita indifferenza. Sono, come vedi, molto scettico, perché gli ultimi trent’anni mi suggeriscono che questa città non ama i suoi figli migliori.
Ciro De Rosa
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Contemporanea