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Girolamo, come hai rinvenuto i nastri?
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Che sensazione hai avuto nell’ascoltarli?
Eh, puoi immaginare la mia emozione. Sono caduto in una specie di febbre. Ho chiamato subito Eugenio Fels, poi ho sentito un caro amico, Agostino De Rosa, che è un amatore di musica e un carissimo amico. Ho subito scritto a Federico Vacalebre, che conobbe Luciano. Ho scritto a Gianni Cesarini (allora critico militante de “Il Mattino”, figura centrale nei fermenti culturali di quegli anni, che ha abbandonato la città di Napoli, per trasferirsi a Gran Canaria, ndr). Insomma, ho fatto subito le mie comunicazioni alla ‘costellazione di senso’ che potesse condividere la mia emozione. Per anni tutti hanno cercato questa musica, senza esiti significativi.
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Vogliamo provare a ricostruire il contesto culturale in cui inquadrare l’opera di Luciano Cilio?
Come ti dicevo, la sensazione è che Luciano Cilio operasse in un ambiente non proprio favorevole alla ricerca, che si pascesse nell’esterofilia, nella musica popolare alla Roberto De Simone, e fosse ostacolato persino dall’ambiente cosiddetto colto, ambito nel quale lui, proveniente da studi di architettura contemporanea, si sentiva elettivamente parte. Il discorso è molto complesso, ma ho raccontato tutti i particolari e pubblicato i dibattiti dell’epoca in un librino che si intitola “Luciano Cilio mi disse”, facilmente reperibile in rete. Del resto, il gesto finale di Luciano, la morte trovata dopo diversi tentativi, ci dice che il suo malessere fosse molto forte. E la cosa peggiore è che, a mio parere, la città non è affatto cambiata, almeno nell’atteggiamento verso chi conduce ricerche del genere, pur producendo musica al di là del tempo e dei generi. Per questo, molta parte del mio lavoro è orientata alla riscoperta e alla proposta di quelle che ritengo e chiamo “memorie inconciliate”, e di molti musicisti di grande valore attualmente produttivi (non solo a Napoli).
Si tratta di materiali che precedono “Dialoghi del Presente”, che è del 1977. Risulta che nel 1971 Cilio aveva inciso quattro brani per sitar ed altri strumenti tradizionali nello studio di Shawn Philips, poi andati perduti? C’è un nesso tra questi materiali e il nastro?
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Come hai operato sul nastro in termini di selezione, riversamento e di editing?
I brani vengono da un nastro da 1/4 di pollice (8 mm), bobina da 7 pollici. Sono registrati a una velocità di 3,3/4 equivalente a 9,5 cm al secondo, alternata a una velocità di 7,1/2. Ho riversato in digitale tutti i materiali, che sono il frutto di incisioni effettuate a diversa velocità e con differente qualità audio: si tratta di molte sedute differenti, di una sorta di ‘archivio’ che Luciano dovette costituire per far conoscere agli amici la sua musica ‘prima’ della stampa del disco, il che spiegherebbe anche il motivo per il quale Luciano dovette darlo a Fels: per fargli ascoltare la sua musica e chiedergli di suonare quella nuova, quella che avrebbe scritto per pianoforte, e che Eugenio portò in sala da concerto in tutt’Italia. Questi materiali hanno una durata di due ore e quaranta minuti. Piano piano ho proceduto a selezionare i frammenti utili a formare un disco di circa cinquanta minuti (credo che pubblicherò in vinile, per evitare gli inconvenienti subiti col primo materiale in digitale). Alcuni erano brani, anche lunghi, già compiuti; altri sono stati ‘rinvenuti’ alzando il volume di una delle tracce, e portando in luce gli ‘armonici’ della chitarra di Luciano, oppure selezionando da lunghe improvvisazioni, composizioni e ricerche che come ho detto Cilio utilizzava per ‘scolpire le immagini’ musicali che gli interessavano. C’è poi un secondo disco di materiali di documentazione, vale a dire la voce di Luciano che dà suggerimenti agli interpreti, o che dialoga con chi sta incidendo. Spesso si sente che lui è solo, che aziona in solitudine le macchine, prende o posa la chitarra, sovraincide le percussioni.
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Sul piano musicale, cosa possiamo ascoltare?
Ci sono tre Quadri per ensemble, di cui due totalmente nuovi. In uno di questi due c’è sempre il sitar, strumento che Luciano aveva studiato, anche in India, e suonato in alcuni concerti a Parigi. Il terzo Quadro è simile a uno dei Dialoghi, ma più lungo e con soluzioni e modulazioni più ardite, segno che Cilio aveva selezionato i materiali anche secondo la destinazione dell’LP Emi, che apparve in una collana di musica pop. Ci sono poi molti pezzi per chitarra sola. Tre di questi sono delle vere e proprie improvvisazioni su ‘raga’ indiani, di differente durata. Altri sono estratti per chitarra sola, e uno, bellissimo, è un dialogo tra la mediterraneità della chitarra di Luciano con un contrabbasso jazz: un Cilio mai ascoltato. Ho salvato e proporrò anche uno degli ‘esperimenti’ con riverberi e sovrapposizioni di pattern: un tentativo che definirei ‘elettrico’, per non dire ‘concreto’, nel senso della musica elettronica.
Come ci parlano oggi questi materiali?
Sono senza tempo… chiunque li abbia ascoltati li ha trovati, come del resto il vecchio disco, di straordinaria freschezza.
In che modo illuminano la ricerca di Luciano Cilio?
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Pensi si possa portare questa musica inedita dal vivo al pubblico e di pubblicarla su supporti o in altri formati…
Sì, organizzerò un ascolto pubblico di una ristretta selezione dei materiali prima della ricorrenza dei trentacinque anni dalla scomparsa, avvenuta a maggio del 1983. Ci sarà, salvo inconvenienti il 10 maggio alla Galleria Toledo di Napoli. Eugenio Fels e Fabio Donato mi hanno dato l’ok con la loro presenza. Fabio proporrà una mostra, un omaggio con le sue foto più belle (sono sue quasi tutti le foto esistenti di Cilio).
Tecnicamente potremmo stampare anche domani l’Lp. Sono molto curioso di vedere se ora la Napoli che produce si farà presente, o resterà il solito silenzio, la solita indifferenza. Sono, come vedi, molto scettico, perché gli ultimi trent’anni mi suggeriscono che questa città non ama i suoi figli migliori.
Ciro De Rosa
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Contemporanea