
Sapevo quanto fosse rischioso andare dal professor Felding: la sua casa era sempre sotto controllo da parte degli UNO dei U.V.U.plus. Ma dovevo parlargli. Era l’unica persona conosciuta che forse mi avrebbe potuto dare qualche risposta. E, infatti: il primo frammento, mi disse subito, è tratto dalla "Sonata in fa minore, K466" di Domenico Scarlatti, incisa nel 2010 dalla pianista cinese Yuja Wang. Il secondo frammento è dalla prima delle "Variazioni Goldberg BWV 988" di Johann Sebastian Bach, interpretate nel 1959 da Glenn Gould (ma ci sono altre incisioni successive). Niente di straordinario, proseguì, qualcosa di facilmente ascoltabile fino agli anni ’20 [del 2000 sottinteso], ma poi, praticamente vietate all’ascolto. Mostrandomi strani oggetti piatti e circolari, entro custodie con ridicole illustrazioni di gente serissima e imbronciata davanti a uno strumento musicale, Felding cominciò a parlarmi di musiche create e suonate da specialisti, da gente che nella vita non faceva altro che fare musica.

Con molta pazienza, lo sguardo illuminato, Felding riprendeva a spiegare che in realtà anche nel passato, prima di we-music tutti, volendo, avrebbero potuto far musica, suonando e cantando: certo non tutti allo stesso livello perché, è chiaro, c’erano i talenti nella musica così come in qualsiasi altro campo dell’agire umano (perfino per friggere delle uova ci vuol talento, mi dice ad un certo punto ridendo). Certo, c’era chi poteva godere del privilegio di studiare musica e chi no, pur avendo del talento. C’era chi non poteva permettersi di acquistare uno strumento musicale: insomma non era proprio una situazione perfetta ma era la condizione umana, era inevitabile perché siamo tutti diversi.

In effetti non capivo bene tutti i discorsi del professore, ma li registravo per riascoltarli dopo. Lui deve essersene reso conto. “Ecco, mi disse, ascolta questo: il cantante è Camaron de la Isla, la chitarra è Paco Cepero, fanno flamenco insieme. Ascolta con attenzione la sua voce: ti sembra naturale? No, era una voce ricercata, studiata, dentro c’era l’esperienza di anni di ascolto di altri cantadores, c’era la volontà di rispettarli e allo stesso tempo di fare qualcosa di nuovo e questo attraverso delle piccole sfumature di voce: ecco ascolta questo passaggio. E ascolta adesso la chitarra come sostiene il palo de la Buleria …” Tutto era sbalorditivo per me, terribilmente affascinante. Mi rendevo conto di non aver provato mai tanto piacere nella vita prima d’allora, nemmeno con le migliori APP che ero riuscita a creare come quella sulla palingenesi del sesso o con quelle sulla coltivazione della tapioca australiana.
“Dimmi - mi chiese improvvisamente il professore - quanto tempo passi ad ascoltare con attenzione la musica degli altri? A riflettere su quello che fa ciascuno dei tuoi amici, per esempio?” “Beh quando siamo insieme ognuno ha i suoi 4 minuti e 33 secondi e noi lo ascoltiamo”. “E poi?” Chiese Felding “Poi nulla, al prossimo giro in cui si fa sempre una musica diversa” – risposi aggiungendo “ma perché professore io dovrei ascoltare con attenzione la musica degli altri? Io ho la mia musica e ognuno ha la sua musica. E lo stesso le altre cose della vita: sto male, mi collego a All-Wiki leggo quel che mi serve e mi faccio le APP per guarire;

Il giorno passò rapido e appresso, tosta, la notte. Alle prime luci dell’alba successiva un rumore fuori casa di Felding ci fece capire che gli UNO avevano perso la pazienza e si preparavano ad entrare. La casa aveva un passaggio segreto oscuro ai localizzatori degli UNO. Sono due giorni oramai che vago. Ho mandato la mia iscrizione alle Brigate Sciascia unicuique suum, ho buttato il mio powerful we music e vivo immersa, grazie ad un retaggio storico donatomi da Felding che credo si chiami walkman, in un meraviglioso fluire di musica che mai avrei potuto neanche lontanamente immaginare: Ludwig van Beethoven, "quartetto op. 133 in Si Bemolle maggiore Die Grosse Fuge" interpretato dal Quartetto italiano (Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, Lionello Forzanti, Franco Rossi); Miles Davis, John Coltrane, Cannonball Adderley, Bill Evans, Paul Chambers, Jimmy Cobb, "Kind of blu" 1959; Giovanni Ardu, Mario Corona, Roberto Iriu, Antonio Migheli, Miserere di Santu Lussurgiu, 1995; Bessie Smith (con Porter Grainger al piano, Charlie Green trombone), Empty bed Blues 1928; David Gilmour, Roger Waters, Richard Wright, Nick Mason, i Pink Floyd, "Wish you were here", 1975.
Ascoltarle, ha ragione il professore, è un po’ come farle mie perché il loro suono entra dentro me, me lo costruisco io dentro: mi immedesimo con esso: sono davvero io! Vorrei parlare con qualcuno di queste musiche, ma con chi? Potrei stare ancora tanti giorni così, nascosta ad ascoltare, ma ho paura che gli UNO mi trovino e allora l’RB (Reset Brain) diventa inevitabile. Forse la mia unica salvezza è riuscire a scappare nella terra dei miei avi, l’isola di Cub/

Conclusione
Fin qui il gioco della finzione del racconto di Kira (della cui ingenuità mi scuso: voglio dire dell’ingenuità del racconto, non di Kira che forse non esiste, o forse si, o magari sta nascendo in questi giorni del 2017). Al fondo del gioco, c’è un paradosso mastodontico con cui quotidianamente il musicologo si confronta - meglio si scontra.
Da un lato il carattere riservato (esclusivo) della concezione della nostra musica: una faccenda per specialisti (anche se Felding – per inciso il nome nasce dall’unione di Feld e Blacking due dei grandi maestri recenti della (etno)musicologia recente – ha ben spiegato che non è proprio così e che ci sono tanti modi di fare musica a cui chiunque può partecipare, che questa esclusività è di certi tipi scenari socio-culturali segnati da profonde distinzioni fra i gruppi umani basati sul diverso accesso alle risorse economiche, sulle forme di specializzazione lavorativa del modello capitalistico (e pre-capitalistico) eccetera: insomma Beethoven era Beethoven anche perché faceva solo musica nella vita e chi vuole suonare Beethoven deve fare solo il musicista, se se lo può permettere: altrimenti Beethoven lo può solo ascoltare.
Da un altro lato l’entusiasmo per le possibilità della tecnologia, per gli scenari di democratizzazione che ciò prospetta e che mettono simbolicamente in discussione background di pensieri consolidati: insomma non c’è bisogno di studiare una vita (e fare solo quello) per suonare Beethoven, per interpretare/elaborare

Come studioso (visto che in questa veste sono qui oggi) non credo che il paradosso sia risolvibile. E soprattutto non credo si debba risolverlo e comunque non è lo studioso musicologo che deve risolverlo: lui, lo studioso, analizza e interpreta quello che gli uomini e le donne fanno. Certo l’entusiasmo per la tecnologia un po’ di paura la mette; e soprattutto la filosofia/motto “tutti possono fare tutto” (che sempre più si trova in giro per internet) fa tremare le vene dei polsi, benché certe nuove forme di diffusione del sapere sembrano avere potenzialità che non riusciamo forse bene a capire: insomma credo che wikipedia debba esistere (e ho dato anche dei qualche euro) ma vieto tassativamente ai miei studenti di consultarla. E mi preoccupano certi messianici discorsi politici sulla rete sulla necessità che tutti dobbiamo occuparci di tutto, siamo investiti del dovere di fare tutto, di dire la nostra idea su tutto, dal piumaggio dei pappagalli amazzonici agli algoritmi base della stazione aerospaziale di Cape Canaveral – non credo ci sia bisogno di fare altri esempi, no? Per finire, tornando al punto di partenza, non credo sinceramente (e consapevolmente) che la musica stia per finire, che stavolta è diverso dalle altre volte.

Ecco questo è il punto cruciale del mio intervento: invitarvi/ci a riflettere sulla nostra responsabilità di ascoltatori consapevoli, sulla generazione del suono che è nell’ascolto. E qui mi fermo per mancanza di tempo.
Ignazio Macchiarella
P.S. certi fatti, certi detti e i nomi di persona (tranne Kira) si ispirano a materiali e persone le cui opinioni vanno per la maggiore su internet - con conseguenze dirette sul nostro consorzio umano: il riferimento ad essi è decisamente voluto!
Intervento tenuto al convegno internazionale "Immaginare mondi: l'alieno e l'altrove" Cagliari, Cittadella dei Musei, 20-22 aprile 2017
Intervento tenuto al convegno internazionale "Immaginare mondi: l'alieno e l'altrove" Cagliari, Cittadella dei Musei, 20-22 aprile 2017
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