Lura, Oumou Sangare e Alsarah & The Nubatones, tre dei nove artisti del cartellone del Festival Ethnos 2017 sono apparsi in copertina su recenti numeri di “Songlines”, l’autorevole magazine britannico di world music. Tale concomitanza, quantunque casuale, fa risaltare la qualità della manifestazione diretta da Gigi Di Luca, con la collaborazione di Chiara Savelli, dicendoci di orecchie e occhi attenti a captare gli showcase che spiccano nelle fiere world allo scopo di selezionare artisti di caratura internazionale proposti per una rassegna che da ventidue anni porta il top delle musiche del mondo nell’area napoletana. Insomma, non è poi così facile capitare in un festival come Ethnos, che accoglie notevoli istanze musicali world, esplorazioni audiovisive, coreografie contemporanee che non smarriscono la memoria culturale e, perfino, un grande scrittore del Mediterraneo.
Con capofila San Giorgio a Cremano, una cordata di comuni del napoletano organizza la rassegna, con finanziamenti regionali, per far conoscere una varietà di culture musicali e puntare sulla valorizzazione del territorio.
Quest’anno, accanto a luoghi storici come Villa Vannucchi e Villa Bruno a San Giorgio, e alla piazza antistante il Museo della Civiltà Contadina di Somma Vesuviana, che mantengono il baricentro della rassegna nell’area del vulcano, ha abbracciato nuove località: da Villa Ferretti di Bacoli – una magnifica tenuta a picco sul mare, restituita alla collettività dopo la confisca alla criminalità organizzata – alla piazza di Casandrino, nell’hinterland napoletano, fino a Massa Lubrense, scenario da favola sulla punta della penisola sorrentina.
Spalmato in due settimane, il palinsesto ha proposto sette concerti, due spettacoli di danza, stage di danza e tanti itinerari guidati per scoprire patrimoni naturalistici, siti storici e archeologici non sempre a portata del grande pubblico. Nessun biglietto d’ingresso per assistere ai concerti e prendere parte a workshop e alle visite. In più, c’è stato il Premio Ethnos, assegnato quest’anno allo scrittore Tahar Ben Jelloun, che si è raccontato al pubblico, accorso numeroso nelle Fonderie di Villa Bruno, nel corso di una stimolante intervista condotta da Valerio Corzani.
Se è vero che il format del Festival è quello ormai consolidato di molte manifestazioni che intendono saldare cultura e territorio con itinerari, concerti e un riconoscimento da conferire a una personalità famosa, qui, tuttavia, c’è il valore aggiunto di un Festival che mira, più che altrove, alla crescita civile e culturale. Spiace, tuttavia, che come sempre il cartellone venga annunciato a poco meno di un mese dall’inizio per le immaginabili lungaggini burocratiche delle istituzioni locali. Ethnos, piuttosto, avrebbe bisogno di lavorare con un piano a più ampio respiro. Invece si preclude la possibilità che un festival musicale diventi promozione del territorio anche al di fuori delle comunità locali. Perché se è vero che Ethnos è attesa da un pubblico fedele che da anni segue la manifestazione, in realtà, potrebbe attirare molti più cultori della musica dal resto di Italia e dall’estero con pacchetti turistico-culturali ben confezionati.
Venendo al carnet sonoro 2017, la serata inaugurale (16 settembre, Villa Vannucchi) ha visto protagonista il quartetto (voce, piano, chitarra, basso e percussioni) della capoverdiana Lura,
artista nata in Portogallo sente, tuttavia, forti la sua ascendenza africana, radiosa vocalist che ondeggia tra il portato popolare dell’arcipelago atlantico (funanà, morna, batuque) e le venature lusofone, pop e jazzy. Un set di gradevole effervescenza e danzabilità, che ha messo in luce la raffinatezza vocale della lisboeta e la robustezza della band al suo fianco. I Lo Còr de La Plana (17 settembre Somma Vesuviana) sono funamboli del canto, una formidabile macchina vocale e percussiva che con freschezza, humour e sfrontatezza reinventa la tradizione e l’immaginario occitano, privilegiando gli attraversamenti senza l’ossessione per le origini, facendosi portatori di un’identità marsigliese aperta. Intonano polifonie maschili e improvvisazioni che rimettono in circolo canti religiosi e politici, episodi della storia del sud occitano, come il leader del quintetto Manu Théron ha avuto modo di illustrare in un incontro che ha preceduto il concerto, in compagnia del direttore artistico di Ethnos, dell’etno-antropologo Fabio Birotti e di chi scrive questa cronaca.
Ad inizio e fine concerto ai Lo Còr si è unita la Paranza di O’ Gnundo di Somma, guidata dal patriarca Sabatino Albano, portatori del canto ‘a ffigliola e del canto sul tamburo, né è mancata un’incursione della coppia Cristina Vetrone e Lorella Monti delle Assurd, con cui il gruppo marsigliese ha lavorato in passato nel progetto Ve Zou Via.
La novità della XXII edizione di Ethnos è la pluralità artistica dei linguaggi performativi, che ha portato sul palco di Villa Vannucchi (22 settembre) i danzatori e coreografi Ziya Azazi , turco fortemente influenzato dalla cultura sufi, e Fernando Anunang’A, keniota, che si ispira al mondo coreutico Masai. Non ha tradito le attese la performance dei pugliesi Bandadriatica (23 settembre), che superano i loro confini musicali salentini con un set vibrante e collaudato dal forte sapore meticcio, con cui l’ottetto, guidato dall’organettista e compositore Claudio Prima, ha conquistato le platee di festival e fiere world europee. Di impronta (no) global il concerto dei portoghesi Terrakota (24 settembre),
combo cosmopolita che si propone con testi multilingue, musiche nere di andata e ritorno (Africa, Maghreb, Brasile, Giamaica, hip hop) e un’ottima presenza scenica. Veniamo al “coup de coeur” della rassegna: il franco-martinicano Christophe Chassol (piano e synth) con Matthieu Edouard, batterista dal drumming sempre ispirato e vocalist, che ha portato in scena a Villa Vannucchi (29 settembre) “Big Sun”, un concept compositivo, configurato come un viaggio per suoni e immagini, nato dall’osservazione del paesaggio sonoro, naturale e culturale dell’isola antillana dell’oltremare francese. Il quarantunenne Chassol produce un ritratto combinando minimalismo, musica concreta, pop, elettronica, immagini e field recording. Tuttavia, non si tratta di una mera sonorizzazione di immagini, bensì di una struttura esecutiva empatica di relazione intima, che ha il fine di «harmoniser le réel», come dice lui stesso nelle interviste. Iniziato con il viaggio antillano, il week-end di Ethnos è proseguito alla grande con Oumou Sangare (30 settembre, Villa Vannucchi), fresca di un disco, “Mogoya”, che l’ha riportata ai vertici: la cantante sarà premiata al prossimo Womex 2017.
Fasciata da un vestito bianco con ricami rosso, presenza e temperamento sicuri sul palco, l’icona del Mali, sulla soglia dei cinquant’anni, si è presentata con un settetto (kamele ngoni, chitarra elettrica, basso, tastiere, batteria e percussioni e due coriste), che fonde le melopee del sud maliano con la propulsione pop-rock, conferita da una sezione ritmica che sa assecondare gli spunti della chitarra elettrica di Guimba Kouyate, sparsi tra sud maliano e rock-blues, e le note argentine dell’arpa-liuto suonata dal virtuoso Abou Boubacar Diarra. Nella prima parte del concerto Oumou non manca di comunicativa con il suo cantato e parlato, ma è nella seconda, quando la cantante invita il pubblico a ballare di fronte al palco, che la serata si accende e – finalmente – trovano spazio anche i suoi connazionali, accorsi per vedere la diva subsahariana (un concerto di artisti africani per il solo pubblico bianco in un’area multiculturale come quella napoletana non è proprio il massimo per un festival che si propone un dialogo multiculturale). Oumou canta e stringe le mani del pubblico assiepato sotto al palco, viene omaggiata di un orologio, che passa a Diarra, e intanto guida la sua band dal sound compatto con canzoni che affrontano temi caldi della condizione femminile, ma anche i rapporti umani e il ruolo dei giovani africani per il futuro del paese.
Infine, a chiudere la rassegna è arrivata la sudanese di nascita, rifugiata nello Yemen, oggi residente a Brooklyn, Alsarah & The Nubatones, altro fenomeno dell’anno con il suo secondo album “Manara”, che si è spesa nel gustoso groove di note pentatoniche nubiane e di pop-soul (voce, ‘ud, percussioni e cori) nella Piazzetta dell’Annunziata di Massa Lubrense.
Ciro De Rosa
Foto di Titti Fabozzi e Alessandro Solimene
Tags:
I Luoghi della Musica