Sono trascorsi vent’anni da quel 24 agosto del 1998 quando Melpignano ospitò in una gremita piazza San Giorgio la prima edizione del concertone de La Notte della Taranta. La direzione artistica era affidata alle illuminate menti di Maurizio Agamennone e Gianfranco Salvatore, mentre a Daniele Sepe toccò l’incarico di maestro concertatore. L’incontro tra i suoni della tradizione con gli esperimenti sonori del trickster napoletano, scatenò subito accese polemiche tra puristi e innovatori. Sul palco c’erano i componenti storici dei primi gruppi salentini di ricerca e riproposta, ma anche voci antiche come quella di Uccio Aloisi e un giovanissimo Claudio “Cavallo” Giagnotti. Ciò che è avvenuto negli anni successivi è ormai storia nota, oggetto ora di studi accademici, ora di analisi approfondite, ora ancora di critiche sferzanti e storytelling di varia natura e foggia. In vent’anni La Notte della Taranta ha vissuto un crescendo continuo tra luci ed ombre, successi e pericolose cadute, cambiando di fatto pelle e passando da rassegna di nicchia per cultori ed appassionati per diventare un evento di costume, soprattutto nel suo momento clou rappresentato dal concertone finale.
In questo contesto va, in ogni caso, rintracciata la sua unicità, non esistendo in Italia una realtà che, nell’ambito della world e trad music, abbia conosciuto una simile esposizione mediatica, arrivando alle dirette televisiva sui canali radiotelevisivi nazionali. Tutto questo si è rivelato, però, un’arma a doppio taglio, se da un lato si è riusciti nell’intento di far conoscere la tradizione salentina ad un pubblico vastissimo, attraverso anche il dialogo con sonorità moderne e musiche del mondo, dall’altro in modo inevitabile ha fatto perdere molto dello spirito e delle istanze che ne avevano animato le prime edizioni. Gli anni più recenti, segnati dalla prematura scomparsa dello storico direttore artistico Sergio Torsello e dalle dimissioni dalla Fondazione di uno dei “padri fondatori” Sergio Blasi, ci raccontano l’inizio di una lenta inversione di tendenza grazie all’opera di Luigi Chiriatti, a cui è andata la curatela della rassegna itinerante, e di Daniele Durante, nelle cui mani è stata affidata l’Orchestra Popolare. L’introduzione del programma parallelo de “L’altra tela”, riservato ai concerti da ascolto più attento e la creazione di un organico stabile per l’orchestra, rappresentano certamente delle novità importanti e una base di partenza utile a ripensare l’intero festival,
partendo magari dalle riflessioni e dalle proposte che Raffaele Gorgoni ha raccolto nel recente “Lettere da una taranta”. Ebbene, a vent’anni di distanza dalla prima storica edizione, mai come in questo momento è necessario dare un nuovo impulso alla Notte della Taranta, sfruttando quell’esposizione mediatica conquistata negli anni per creare qualcosa di più autorevole, e magari maggiormente in linea con quelli che sono i festival internazionali di world music. Ha ragione Gorgoni quando sottolinea l’esigenza di “tornare ad una dimensione umana” superando l’inutile corsa ai numeri. E’ stato bello o forse no, ora è necessario cambiare rotta, e quest’anno qualcosa in questo senso è successa. Quello che però non ci è sfuggito è stato il constatare sul campo l’involuzione del tessuto musicale salentino, quella che era la fervente scena locale sembra essersi assopita in un dormiveglia poco rassicurante. Da qualche anno, le produzioni musicali sono via via scemate, complice lo stop di Puglia Sounds e così come sembrano essere venute meno quelle idee e quegli acuti che ci avevano fatto gridare al miracolo.
Tutto questo è emerso in modo netto proprio dai concerti della ragnatela a cui abbiamo assistito. Se Canzoniere Grecanico Salentino e Offina Zoè confermano ancora di essere delle macchine da guerra sul palco, gli altri concerti sono stati molto deludenti, e le scelte obbligate per motivi di sicurezza di alcune location abbastanza infelici hanno contributo nel rendere più evidente tutto questo. Certo è che il programma del festival itinerante, così come concepito in origine, mostra ormai i segni del tempo e quell’atmosfera da sagra (senza la sagra) di paese non giova affatto. La Notte della Taranta ha necessità di rinnovarsi, magari partendo proprio dal programma collaterale de “L’Altra Tela” che ormai da alcuni anni ha mostrato la strada da percorrere. Del resto appare un po’ paradossale che una rassegna che può fregiarsi dell’unicità faccia concorrenze alle sagre che di sera in sera animano i vari paesi del Salento. Del resto anche coloro che lavorano nell’indotto che ruota intorno ai concerti del festival itinerante sembrano risentire di tutto questo. Dando semplicemente uno sguardo alla proposta dei concerti de “L’Altra Tela” si ci può accorgere di quanto tutto questo non sia affatto campato in aria.
Chi ha seguito questi eventi ha potuto ammirare il concerto acustico di Enzo Avitabile a Nardò, i Fratelli Mancuso con lo spettacolo “Come un albero scosso da interna bufera” nella splendida cornice di Acaja, il nuovo progetto di Kurumuny “Terra Pane Lavoro. Canti contadini d'amore e di lotta” con la direzione musicali di Rocco Nigro e la partecipazione di Rachele Andrioli, Antonio Castrignanò, Massimiliano De Marco, Dario Muci, Vito De Lorenzi, Giorgio Distante, Giuseppe Spedicato, il Circolo Mandolinistico di San Vito dei Normmanni, la bella serata di Martignano con Fanta Folk, Cuncordu e Tenore di Orosei e i liguri de La Squadra, o lo struggente piano solo di Aeham Ahmad a Castrignano de’ Greci e da ultimo lo splenedido “Fiore de Campu, Fiuru de sirenu. Lo stornello tra Umbria e Salento” che ha visto protagonisti Lucilla Galeazzi, Antonio Amato e Nico Berardi. Insomma un festival nel festival sul quale varrebbe la pena puntare ed investire con più convinzione, magari creando un programma unico che integri le due realtà, riconducendo in questo modo i concerti principali ad una dimensione più raccolto, non ce ne vogliano i forzati del divertimento a tutti i costi.
Nella medesima direzione si sono mosse anche le scelte per l’apertura del Concertone finale del 26 che, dal tardo pomeriggio, ha visto alternarsi sul palco di Melpignano (Le) l’Orchestra dei migranti non accompagnati provenienti dai centri di accoglienza Unicef sparsi in Italia, la Piccola Ronda nata quest’anno a Torrepaduli e composta da quaranta bambini tra i 4 e i 14 anni, Ciaramelle, poeti e saltarella di Amatrice guidati da Giancarlo Palombini che hanno dato vita ad un set emozionante per rimarcare l’esigenza di preservare la tradizione orale dei luoghi colpiti dal sisma dello scorso agosto, la Barcelona Gipsy BalKan Orchestra che ha riscaldato la piazza con i ritmi dell’Est Europa ed in fine i Tarantula Garganica, brillanti interpreti della tradizione musicale del Gargano. A fare da cornice è stata la scenografia curata da MarianoLight che con le sue diciannovemila luci a led, disposte su una costruzione di quaranta metri, evocava le luminarie e le case armoniche dove si esibiscono le bande durante le feste patronali dei paesi salentini. Alle ore 22,00 ha preso il via il Concertone con l’ingresso sul palco dell’Orchestra Popolare, guidata dal Maestro Concertatore Raphel Gualazzi.
Frutto di un lavoro serrato di alcuni mesi di prove nel Centro Anziani di Zollino (Le), nel quale il large ensemble ha avuto modo di affinare ancor di più l’esperienza accumulata dal vivo nel corso dell’anno, il momento conclusivo de La Notte della Taranta è stato l’occasione per assistere ad una affascinante narrazione musicale che ha visto la tradizione musicale salentina intersecarsi con sonorità swing, jazz e blues. Nulla di campato in aria se si pensa che Cpt. Glen Miller & His Orchestra avevano suonato in giro per la Puglia per le truppe americane, mentre si concludeva la Seconda Guerra Mondiale, e tanto basta per legittimare anche in modo inconsapevole questo incontro. Il pianista e compositore urbinate, come racconta il direttore artistico Daniele Durante, si ha improntato gli arrangiamenti verso un grande rigore nel cercare di non snaturare mai la tradizione: “Venendo dal mondo del blues, del jazz e dello swing è stato naturale per lui creare questo dialogo con la musica salentina, tenendo presente che le sue funzioni vanno rispettate. E’ chiaro che se una musica nasce per ballare è necessario inserire degli elementi di altri stili che vanno in questo senso.
Lui ha tenuto un atteggiamento sempre di rispetto e comprensione ed allo stesso tempo anche il coraggio di trasformare, senza porsi limiti. La sua intuizione è stata quella di far risaltare il tema originario del brano fin ad un certo punto per poi inserirsi con le sue pennellate. Nella maggior parte dei casi si è basato anche sulle reintepretazioni della riproposta, senza dimenticare le registrazioni storiche e questo in considerazione del fatto che sono trascorsi vent’anni dalla prima edizione e quarantatré dalla nascita del Canzoniere Grecanico Salentino”. Raphael Gualazzi, dal canto suo, sottolinea ciò che maggiormente lo ha colpito della tradizione salentina: “Mi ha affascinato molto come voce e percussioni abbiano una funzione centrale nelle strutture musicali che solo in apparenza sembrano essere irregolari. Il ritmo segue le voci che si muovono in libertà e il suo carattere ipnotico rimanda alle radici esoteriche del blues. Se in quest’ultimo le ripetizioni vengono fatte nella prima parte della strofa, nella pizzica spesso e volentieri è la seconda parte della strofa che viene ripetuta. Altra analogia è la terza neutra che è un’eredità del patrimonio culturale dell’est Europa.
Si tratta di inflessioni vocali della melodia che sono state tramandate oralmente e non si trovano scritte nel pentagramma. Questi quarti di tono si studiano in musica elettronica, sono quelle tensioni melodiche che creano qualcosa di speciale in una sonorità popolare. Esempio lampante di tutto questo è “Ndo Ndo Ndo” che ha questo genere di inflessione melodica”. Daniele Durante a riguardo rimarca: “L’arrangiamento di questo brano è stato ispirato dall’esecuzione di due sorelle che riescono con le loro voci a cantare la terza neutra che non è né maggiore né minore". Per quanto attiene poi alla scelta dei brani, lo storico fondatore del Canzoniere Grecanico Salentino evidenzia: “Abbiamo inserito una decina di brani che non sono mai stati eseguiti alla Notte della Taranta ma è chiaro che, dopo vent’anni, diventa sempre più difficile trovare qualcosa di nuovo. Ci sono anche diversi brani in griko e andare oltre quelli già noti non è semplice. Abbiamo lavorato su alcune composizioni che nella melodia rimandano ad altri brani tradizionali salentini ma presentano il testo in griko, ma di questo si saranno accorti certamente gli ascoltatori più esperti.
In fondo, in passato non si ponevano affatto questi problemi, perché nella cultura popolare bastava cantare una canzone comodo o a corde tese, ed essa cambiava completamente. Era un po’ come la scala modale del jazz”. Il lavoro di scrittura degli arrangiamenti ha richiesto una lavorazione attenta intrapresa da Gualazzi partendo da una serie di ascolti: “C’è stata questa lunga fase preliminare di ascolto, a cui è seguita la selezione dei quaranta brani su cui abbiamo lavorato, partendo dalla scelta di bilanciare l’aspetto profondo della pizzica pizza con la mia cifra stilistica, i miei colori musicali ed anche l’improvvisazione. Mi sono sentito moto coinvolto in questa esperienza, ed è stato straordinario poter toccare con mano come la tradizione qui in Salento abbia una continuità tra passato e presente”. Il Concertone del ventennale non è stato però solo musica, come rimarca Durante: “Abbiamo alternato momenti di profonda riflessione legati a temi attuali, a momenti di gioia, di felicità, di condivisione della festa popolare”. Così, se a prima vista un po’ retorica era sembrata la scelta della pace come tema centrale della serata,
il recente attentato di Barcelona, le notizie provenienti dalla Corea del Nord e dai vari punti caldi del Mondo rendono il tutto di prepotente attualità. Nonostante le imponenti misure di sicurezza con un numero enorme di forze di polizia mobilitate, l’atmosfera della piazza è stata quella di sempre, balli, canti, tamburi a cornice, largo consumo di vino in contenitori da cinque litri e fortunatamente nessun incidente.
Aperta dalla pizzica “Ahi lu core meu” in una versione lievemente più accelerata e trascinante nel ritmo, la lunga notte di Melpignano ha visto le voci femminili di Enza Pagliara, Alessia Tondo, Ninfa Giannuzzi, Stefania Morciano, Alessandra Caiulo e quelle maschili di Antonio Castrignanò, Giancarlo Paglialunga, Antonio Amato alternarsi nelle interpretazioni di stornelli, canti narrativi e brani di pizzica. Pilastri delle architetture sonore le corde di Peppo Grassi, Gianluca Longo e Attilio Turrisi, i mantici di Roberto Gemma, gli splendidi fiati di Nico Berardi ed il violino di Giuseppe Astore, il tutto sostenuto dalla eccellente sezione ritmica con Antonio Marra alla batteria, Valerio “Combass” Bruno al basso,
Alessandro Mondeduro alle percussioni e i tamburi a cornice di Carlo "Canaglia" De Pascali, Roberto Chiga e Marco Garrapa. L’omaggio a Uccio Aloisi con “Fiore di Tutti i fiori” con la partecipazione alla voce e alle percussioni di Pedrito Martinez è l’occasione per far pace con certi arrangiamenti vuoti degli ultimi anni, allo stesso modo piacciono la bella versione del canto narrativo “La Tabaccara” e il duetto sul tradizionale griko “Ela Mu Kundà” con Ninfa Giannuzzi e Roberto Licci. Tra i momenti più belli ed intensi della serata non possiamo non citare, la deliziosa Suzanne Vega perfettamente a suo agio nel proporre con Jerry Leonard alla chitarra il classico del suo songbook “Luka” in una emozionante versione con l’orchestra e lo struggente canto d’amore “La Cerva”, Gregory Porter che ha superato sé stesso e l’iniziale smarrimento alle prove con “Quannu Te Llai La Facce” e “Pizzica di Aradeo”, e superbe incursioni nell’etno-jazz della ninna nanna “Nazzu Nazzu”, o ancora gli stornelli in griko “Diaviche” con Tim Ries al sax, le percussioni di Pedrito Martinez e un Raphael Gualazzi al piano a guidare l’interplay.
Godibili al pari i tanti spaccati dedicati alla pizzica pizzica in cui abbiamo ascoltato, tra le altre, “Ni Pizzicau Lu Core”, “Canuscu Na Carus”, “Pizzica Surdu”, “Pizzica di San Vito”, “Santu Paulu”, “Sta Strata”, “Pizzica di Stifani”, “Pizzicarella” e una brillante “Cala La Capu” cantata in duetto da Raphael Gualazzi e Alessandra Caiulo ed impreziosita da una cosa strumentale improvvisata. Del tutto fuori contesto (per usare un eufemismo) ci sono sembrate, invece, le coreografie di Luciano Cannito che hanno funzionato unicamente quando, durante il canto di pace “Prayers Of Mother” che Yael Decklebaum ha interpretato insieme a tutto il cast di ospiti, è entrata in scena la talentuosa prima ballerina della Scala di Milano, Nicoletta Manni. Per restare in territori mainstream egregiamente se la sono cavata i Boomdabash con “Lu Rusciu De Lu Mare”, “L’Acqua de la Funtana” e “Pizzica Cient’anni”, quest’ultima interpretata con Giancarlo Paglialunga. In conclusione non è mancato l’omaggio a Pino Zimba con “Aria Caddhripulina” cantata da Antonio Castrignanò, la “Pizzica degli Ucci” con il sax di Tim Ries in grande evidenza e la corale “Kalinifta” che ha sugellato una bella serata di musica tra tradizione salentina, esperimenti jazz e qualche inevitabile incursione nel pop. Insomma la ventesima edizione de La Notte della Taranta ci lascia la certezza che un altro futuro è possibile per questo festival, e mai come in questo momento bisognerebbe avere il coraggio di un battito d’ali, una svolta decisa che superi gli steccati della commercializzazione, ormai non necessaria ma, forse, anche dannosa.
Salvatore Esposito
Foto: Fondazione Notte della Taranta
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