Prende avvio da questo numero di “Blogfoolk” un commento mensile alla Transglobal World Music Chart, la playlist messa a punto da oltre cinquanta giornalisti, speaker radiofonici, DJ e operatori culturali specializzati nelle musiche del mondo sparsi ai quattro angoli del globo. Piaccia o meno, la categoria di world music è un mondo sonoro dai confini mobili; tanto è vero che talvolta gli stessi panelist che concorrono a costruire questa chart non concordano su cosa debba essere considerata world music. Ciò è da ricondurre alla declinazione che la nozione assume alle diverse latitudini geografiche e culturali, nonché al gusto e all’esperienza del singolo giurato. Nondimeno, la TGWMC si traduce in un osservatorio privilegiato di cosa si muove nel mare world music, non ascrivibile alle musiche del mainstream. Stiliamo queste note agostane iniziando con la segnalazione della spettacolare scalata al primo posto nelle preferenze del trio malgascio Toko Telo – il chitarrista D’Gary, il grande fisarmonicista Régiz Gizavo e la dotata cantante Monika Njava con “Toy Raha Toy” (Anio Records). Le dieci canzoni dell’album, interpretate con grande senso di condivisione sono associate alla vita locale dei loro luoghi d’origine.
Ascoltiamo il trio con un velo di tristezza pensando che Gizavo che è venuto a mancare pochi mesi fa. Subito dopo, dall’altra parte del continente, gira alla grande la signora del canto maliano Oumou Sangaré “Mogoya” (Nø Førmat!). Al terzo posto si attesta una delle eccellenze discografiche uscite di recente: si tratta dei Sabîl di “Zabad, l’Écume des Nuits / Zabad, Twilight Tide” (Harmonia Mundi), in cui il duo palestinese Ahmad Al Khatib (‘ūd) e Youssef Hbeisch (percussioni) combina i propri strumenti con Elie Khoury (bouzuq) e Hubert Dupont (contrabbasso), elaborando un dialogo tra modi classici del maqām e improvvisazione di matrice jazzistica. Di “Letters from Iraq” (Smithsonian Folkways) dell’oudista iracheno Rahim AlHaj ci siamo già occupati sulle pagine di “Blogfoolk”: le composizioni di taglio cameristico di AlHaj sono ben calibrate ed eleganti, fondendo gli umori del liuto arabo alle corde del quartetto d’archi. Ci spostiamo nell’Oceano Indiano, da cui proviene Danyèl Waro, il poeta ed esponente del genere maloya delle Isole de La Rèunion, , il cui “monmon” (Cobalt / Buda Musique), dedicato a tutte le madri, è lavoro essenziale, intimo e passionale. Altro progetto di fusione elettroacustica di gran rilievo è Ifriqiyya Électrique, “Rûwâhîne” (Glitterbeat Records), messo in campo da François- Régis Cambuzat con Gianna Greco e tre musicisti tunisini di Djérib, maestri delle pratiche terapeutico-rituali locali. Non manca nella chart un tocco di neo-rebetiko dai confini allargati, di cui sono portatori il Trio Tekke & Dave De Rose (“Zivo”, autoprodotto).
Invece, l’indie-afro-rock del momento porta il nome di Songhoy Blues, nel cui “Résistance” (Transgressive Records / Fat Possum Records) ci infila la voce perfino Iggy Pop. Veleggia disinvolto nel filone della diaspora ellenica anche il chitarrista Dimitris Mystakidis di “Amerika” (Fishbowl), mentre alla posizione dieci della zona calda della classifica si trova un’artista dalle idee chiare il cui nome è Lila Downs: il suo “Salón, Lágrimas y Deseo” (Sony Music) segna un’altra tappa importante nella carriera artistica della cantante messicano-americana. Scorriamo le successive dieci posizioni, delle quaranta previste dalla TGWMC, partendo dalle collisioni folk & rock degli estoni Trad.Attack! (“Kullakarva”, autoprodotto), una band che merita attenzione. Ci piace sintonizzarci sulle onde tropicali che portano al centro del mondo la Colombia afro, espressa dalla voce del nonagenario cantador Magín Díaz, protagonista di “El Orisha de la Rosa” (Noname) insieme a venticinque compagni di viaggio sud-americani, da Carlos Vives a Li Saumet de Bomba Estéreo y Systema Solar, da Totó la Momposina a Petrona Martínez, dal Grupo Cimarrón a Celso Piña, da Chango Spasiuk a La Yegros ed altri ancora. Sempre dalla costa pacifica della Colombia, ecco il culmine sonoro di “Curao” (Tru Thoughts), raggiunto con l’incontro tra il produttore Quantic, aka Will Holland, e la cantante Nidia Góngora. Le posizioni successive le occupano nomi di garanzia: la nuova reincarnazione dell’Orchestra Baobab con “Tribute to Ndiouga Dieng” (World Circuit Records), la forza del chitarrismo maliano di Vieux Farka Touré (“Samba”, Six Degrees Records)
e l’avventura antologica africana Zaire 74: The African Artists (Wrasse Records) che ci porta indietro ai tempi del “Rumble in the Jungle”, lo scontro tra pesi massimi Ali/Foreman, intorno al quale Hugh Masekela e Stewart Levine organizzarono tre giorni di festival in cui accanto alle stelle afro-americane ci furono i più grandi artisti del continente nero (tra i quali Miriam Makeba, Franco, Tabu Ley Rochereau). Se le star statunitensi e la cubana Celia Cruz si presero la copertina, gli artisti africani furono i veri grandi protagonisti di una kermesse che ha fatto storia nel paese, che è oggi la Repubblica Democratica del Congo. Trovano spazio nei primi venti dischi della chart i portoghesi Melech Mechaya, merito del loro eclettico “Aurora” (l’etichetta Felmay è l’unica insegna tricolore nella classifica). A seguire il trio transculturale Meïkhâneh che, in “La Silencieuse” (Buda Musique”), viaggia dall’Andalusia alle steppe mongole passando per l’Iran, le peripezie dei fiati del sempre sfavillante Frank London & Glass House Orchestra, postosi alla ricerca del suono ebraico austro-ungarico (“Astro-Hungarian Jewish Music”, Piranha Records), per finire con l’evocazione delle antiche confluenze mediterranee di Mara Aranda “Sefarad en el Corazón de Marruecos” (autoprodotto). Visionate la classifica completa di agosto su www.transglobalwmc.com
Ciro De Rosa
Ascoltiamo il trio con un velo di tristezza pensando che Gizavo che è venuto a mancare pochi mesi fa. Subito dopo, dall’altra parte del continente, gira alla grande la signora del canto maliano Oumou Sangaré “Mogoya” (Nø Førmat!). Al terzo posto si attesta una delle eccellenze discografiche uscite di recente: si tratta dei Sabîl di “Zabad, l’Écume des Nuits / Zabad, Twilight Tide” (Harmonia Mundi), in cui il duo palestinese Ahmad Al Khatib (‘ūd) e Youssef Hbeisch (percussioni) combina i propri strumenti con Elie Khoury (bouzuq) e Hubert Dupont (contrabbasso), elaborando un dialogo tra modi classici del maqām e improvvisazione di matrice jazzistica. Di “Letters from Iraq” (Smithsonian Folkways) dell’oudista iracheno Rahim AlHaj ci siamo già occupati sulle pagine di “Blogfoolk”: le composizioni di taglio cameristico di AlHaj sono ben calibrate ed eleganti, fondendo gli umori del liuto arabo alle corde del quartetto d’archi. Ci spostiamo nell’Oceano Indiano, da cui proviene Danyèl Waro, il poeta ed esponente del genere maloya delle Isole de La Rèunion, , il cui “monmon” (Cobalt / Buda Musique), dedicato a tutte le madri, è lavoro essenziale, intimo e passionale. Altro progetto di fusione elettroacustica di gran rilievo è Ifriqiyya Électrique, “Rûwâhîne” (Glitterbeat Records), messo in campo da François- Régis Cambuzat con Gianna Greco e tre musicisti tunisini di Djérib, maestri delle pratiche terapeutico-rituali locali. Non manca nella chart un tocco di neo-rebetiko dai confini allargati, di cui sono portatori il Trio Tekke & Dave De Rose (“Zivo”, autoprodotto).
Invece, l’indie-afro-rock del momento porta il nome di Songhoy Blues, nel cui “Résistance” (Transgressive Records / Fat Possum Records) ci infila la voce perfino Iggy Pop. Veleggia disinvolto nel filone della diaspora ellenica anche il chitarrista Dimitris Mystakidis di “Amerika” (Fishbowl), mentre alla posizione dieci della zona calda della classifica si trova un’artista dalle idee chiare il cui nome è Lila Downs: il suo “Salón, Lágrimas y Deseo” (Sony Music) segna un’altra tappa importante nella carriera artistica della cantante messicano-americana. Scorriamo le successive dieci posizioni, delle quaranta previste dalla TGWMC, partendo dalle collisioni folk & rock degli estoni Trad.Attack! (“Kullakarva”, autoprodotto), una band che merita attenzione. Ci piace sintonizzarci sulle onde tropicali che portano al centro del mondo la Colombia afro, espressa dalla voce del nonagenario cantador Magín Díaz, protagonista di “El Orisha de la Rosa” (Noname) insieme a venticinque compagni di viaggio sud-americani, da Carlos Vives a Li Saumet de Bomba Estéreo y Systema Solar, da Totó la Momposina a Petrona Martínez, dal Grupo Cimarrón a Celso Piña, da Chango Spasiuk a La Yegros ed altri ancora. Sempre dalla costa pacifica della Colombia, ecco il culmine sonoro di “Curao” (Tru Thoughts), raggiunto con l’incontro tra il produttore Quantic, aka Will Holland, e la cantante Nidia Góngora. Le posizioni successive le occupano nomi di garanzia: la nuova reincarnazione dell’Orchestra Baobab con “Tribute to Ndiouga Dieng” (World Circuit Records), la forza del chitarrismo maliano di Vieux Farka Touré (“Samba”, Six Degrees Records)
e l’avventura antologica africana Zaire 74: The African Artists (Wrasse Records) che ci porta indietro ai tempi del “Rumble in the Jungle”, lo scontro tra pesi massimi Ali/Foreman, intorno al quale Hugh Masekela e Stewart Levine organizzarono tre giorni di festival in cui accanto alle stelle afro-americane ci furono i più grandi artisti del continente nero (tra i quali Miriam Makeba, Franco, Tabu Ley Rochereau). Se le star statunitensi e la cubana Celia Cruz si presero la copertina, gli artisti africani furono i veri grandi protagonisti di una kermesse che ha fatto storia nel paese, che è oggi la Repubblica Democratica del Congo. Trovano spazio nei primi venti dischi della chart i portoghesi Melech Mechaya, merito del loro eclettico “Aurora” (l’etichetta Felmay è l’unica insegna tricolore nella classifica). A seguire il trio transculturale Meïkhâneh che, in “La Silencieuse” (Buda Musique”), viaggia dall’Andalusia alle steppe mongole passando per l’Iran, le peripezie dei fiati del sempre sfavillante Frank London & Glass House Orchestra, postosi alla ricerca del suono ebraico austro-ungarico (“Astro-Hungarian Jewish Music”, Piranha Records), per finire con l’evocazione delle antiche confluenze mediterranee di Mara Aranda “Sefarad en el Corazón de Marruecos” (autoprodotto). Visionate la classifica completa di agosto su www.transglobalwmc.com
Ciro De Rosa
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