Ensemble Bîrûn – I compositori greci del maqâm ottomano (Nota, 2017)

Da cinque anni l’Istituto Interculturale di Studi Comparati (IISMC) della Fondazione Cini di Venezia organizza un seminario di alta formazione sulla musica ottomana, cui accedono borsisti internazionali, sotto la direzione musicale di Kudsi Erguner e il coordinamento di studio e ricerca di Giovanni De Zorzi. Tra i prodotti del lavoro seminariale in residence c’è il concerto finale di presentazione che, in seguito, diventa un CD-book pubblicato dalla label friulana Nota Records nella collana “Intersezioni musicali”, diretta da Giovanni Giuriati. “Blogfoolk” si è occupato dei lavori precedenti del Bîrûn, a partire dal primo album introduttivo, che ci ha fatti entrare nel mondo dei compositori della corte ottomana (nel 2013 è stato disco del mese di “Blogfoolk”. Si legga l’intervista a De Zorzi qui). Nei due anni successivi due pubblicazioni sono state dedicate ai compositori armeni e a quelli ebrei sefarditi. La quarta produzione si intitola “I compositori greci del maqâm ottomano” e accanto al direttore Erguner (ney) e De Zorzi (ney), c’è un ensemble internazionale di undici giovani ma già brillanti esecutori: Ahmet Altınkaynak (ney), Emine Bostancı (kemençe), Michalis Cholevas (yayli tanbûr), Ayberk Coşkun (‘ûd), Nurullah Ejder (kanûn), Safa Korkmaz (voce), Giannis Koutis (voce e ‘ûd), Reza Mirjalali ( târ), Nikos Papageorgiou ( tanbûr) e Jacobus Thiele (percussioni). Come sempre il CD-book è accompagnato da testi introduttivi al progetto Birûn veneziano (De Zorzi e Giuriati), da uno scritto sulla musica modale e tonale (Erguner) e da uno sulla singolare figura del compositore settecentesco Petros Lampadarios, detto anche Petraki il Peloponnesiaco e l’Intossicato, che ci fa comprendere la realtà composita del mondo culturale ottomano, considerato che egli è stato autore di musica sacra bizantina ortodossa, autore secondo i dettami del canone classico ottomano e di canzoni leggere (şarkı), cantore, suonatore di ney tra i dervisci di Galata (se ne occupa Koutis, che cura anche la presentazione dei ventitré brani presentati). Lampadarios è una personalità che testimonia quella unicità della Costantinopoli del diciottesimo secolo aperta al dialogo tra culture. Venendo al programma del disco, va osservato il ruolo centrale di un artista come Kudsi Erguner nella riuscita sonora dell’ensemble per il quale predilige un’estetica non allineata all’accademismo novecentesco turco, che impone brillantezza e colori e movimento di suono; con la sua tecnica e sapienza Erguner dirige, mette il suo estro e cuce il sound dell’ensemble. Dunque, il disco documenta il contributo di compositori greci (Tanbûrî Angeli, Hanendeh Zacharia, il già citato Petros Peloponnesios, Kemençeci Usta Yianni, Georgios Pantzoglu, Antonis Kyriades), attivi come autori, cantori e strumentisti a loro agio in diversi contesti, da quello del Patriarcato ortodosso alla corte e alle taverne. Dall’apertura, affidata alla composizione seicentesca di Angeli “Rehâvi peşrev ”, comprendiamo la qualità dell’insieme, mentre con il secondo brano “Terirem nel IV modo plagale (Maqâm rast)” abbiamo modo di apprezzare un canto di Petros Lampadarios, che è ancora parte del repertorio liturgico bizantino. Ci soffermiamo, poi, sul brano successivo, dove si alternano strofe in greco e in italiano (“Rast şarki”, conosciuta anche come “Italikon”): il testo proviene dal manoscritto “Melpomeni”, custodito in un monastero del Monte Athos. Continuando l’ascolto si passa dai taksim, i preludi strumentali improvvisativi che mettono in risalto i diversi strumenti, a composizioni dal portamento solenne scritte in onore di sultani, da canzoni leggere dalle variegate sfumature (qui spicca “Acem Aşîrân şarki” di Usta Yianni, che è stato anche un grande suonatore di viella ad arco) a repertori liturgici. Naturalmente il flauto ney, che con il liuto a manico lungo tanbûr è centrale nella musica d’arte ottomana, è protagonista del disco per la presenza dei solisti, ma soprattutto del maestro Erguner. Lo abbiamo già scritto, ma giova ribadirlo: il Birûn veneziano è un modello mirabile di progetto musicologico, culturale e discografico. 


Ciro De Rosa

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