Ushers Island – Ushers Island (Vertical Records, 2017)

Leggi i nomi di peso di questo wonder team di musicisti e scorri con la mente la storia della musica tradizionale irlandese dagli anni Settanta del Novecento a oggi: stiamo parlando di Andy Irvine (Planxty), Dónal Lunny (Planxty, Bothy Band, Moving Hearts), Paddy Glackin (tra i fondatori della Bothy Band, prima di lasciare il posto a Tommy Peoples), Mick McGoldrick (inglese di Manchester, di genitori irlandesi, membro degli scozzesi Capercaillie, dei Flook e poi di Lùnasa) e John Doyle (ex Solas). Insieme, si fanno chiamare Ushers Island – dal nome di un’area intorno ai moli più antichi di Dublino –; si sono ritrovati nel 2015 per un primo concerto e ora pubblicano il loro disco eponimo, registrato in soli tre giorni in un cottage di proprietà di McGoldrick nella contea di Galway. Cinque musicisti stratosferici dei quali è difficile tessere ancora lodi, visto che uniscono maestria, senso del ritmo, fraseggio caldo e fluido: in altre parole, una caratura musicale davvero unica. Quando attaccano “The Half Century Set” (dei slip jig firmati Glackin) si capisce che fanno sul serio. La mandola (Andy) e il bouzouki (Donal) impongono il ritmo, con la chitarra di John a metterci l’armonia, il flauto di Mick e il violino di Paddy a dialogare fino al decollo definitivo del set. Le voci principali del disco sono Irvine e Doyle, ma in “Bean Pháidín” Dónal Lunny (backing vocals, bouzouki irlandese, bouzouki baritono, bodhrán, tastiere) non si tira indietro e non è da meno: d’altra parte questa la interpretava già poco più di quaranta anni fa con i Planxty. La canzone confluisce in due splendidi slip jig (“Ride a Mile”/“Hardiman the Fiddler”). La pura gioia del suonare insieme è esemplificata nel medley di reel “Five Drunken Landlady’s” (“Five Drunken Landlady’s”/”The Drunken Landlady”/ “McFadden’s” / “Lucky in Love”). Invece, “Heart in Hand”, cantata da John Doyle (voce, chitarra, bouzouki irlandese), racconta di Richard Joyce di Claddagh, catturato da pirati algerini sul finire del XVII secolo. Durante la sua schiavitù, durata quattordici anni, divenne un orafo e si racconta abbia inventato il famoso anello matrimoniale Claddagh, mescolando elementi egiziani e greci con il simbolo dell’amore. Quando il settantacinquenne Andy Irvine (voce, mandola e armonica) attacca la classica ballata “Molly Bán” il tempo e la sua voce sembra si siano fermati nei ‘glory days’ dei Planxty: un’emozione. Segue un altro medley di reel, “Johnny Doherty’s”, proveniente dalla tradizione violinistica del Donegal, centrato sul violino di Glackin e il flauto di McGoldrick (flauto irlandese, low whistle, uilleann pipes). Doyle dà ancora una volta prova del suo peso di autore e di interprete cantando “Cairndaisy”, una canzone che narra di un immigrato irlandese che combatte con gli Yankees durante la Guerra tra Americani e Spagnoli nel 1898. Ancora una canzone che parla di poveri diavoli che finiscono in guerra, questa volta appannaggio di Irvine: si tratta di “Felix the Soldier”, raccolta nel New England, ambientata durante la guerra dei Sette Anni (1754-1763). Il ritmo sale con il set di hornpipe a nome di Seán Keane, il violinista dei Chieftains. Ritorna la voce di Doyle per interpretare una delicata versione di “Wild Roving”, un numero celebre dell’Irish folk, qui ripreso in una versione proveniente dal repertorio di Mary Ann Carolan di Drogheda. Si cambia tono quando Andy prende di nuovo i ruolo di lead vocalist per “As good as it gets”, trasportandosi nei suoi trascorsi est europei nella Jugoslavia di fine anni Sessanta, la divertente canzone è sposata allo strumentale “The Blue Trouser Suit” di Lunny. L’album, imprescindibile per chi ama la musica irlandese, si chiude in bellezza, a passo di reel, con “Mickey Doherty’s”/“Gan Ainm”. 


Ciro De Rosa

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