Mi Linda Dama - Matesha (Radicimusic, 2017)

Il nome ci porta subito nella penisola iberica: il trio Mi Linda Dama presenta un’originale riscrittura del materiale di provenienza sefardita, ovvero della tradizione degli ebrei di Spagna, nella quale confluirono svariate influenze del bacino del Mediterraneo. Il loro album d’esordio – prodotto dalla blasonata label toscana RadiciMusic – è “Matesha”,  che vuol dire “Altalena”. Il titolo riconduce alla consuetudine che nei sabati pomeriggio della stagione più mite portava i giovani della comunità sefardita a sedersi intorno all’altalena, narrando e cantando storie antiche di dame e cavalieri, di amori e passioni, così che i loro sguardi anelanti potessero incontrarsi. I Mi Linda Dama, che a “Musica nelle Aie”, edizione 2017, hanno ottenuto il premio nella categoria “Interpreti”, sono la voce di Namritha Nori, le corde e il sax di Giulio Gavardi, le percussioni di Niccolò Giuliani, con la collaborazione nel disco di Sergio Marchesini alla fisarmonica Enrico Di Stefano al sax e Alvise Seggi al contrabbasso. La capacità di energizzare l’ascoltatore e di giocare col ritmo e l’interplay fra i musicisti è stata la cifra del concerto di presentazione del disco, tenutosi a Ca’ Sana di Padova il 18 maggio, che ha potuto contare su tutti e sei i musicisti e su due ballerine (Silvia Cagnazzo e Fabrizia Luciani),: un luogo relativamente intimo, all’aperto che risponde perfettamente alla capacità del gruppo di costruire un rapporto col pubblico e di legare musica e danze di provenienze mediterranee diverse. 
Anche il repertorio dal vivo spazia attingendo a ritmi che comprendono l’orizzonte greco e a brani che imprimono vigore e teatralità al repertorio, ripercorrendo le vicende della diaspora sefardita da ovest a est: da “La cantiga del fuego” a “Una noche a borde de la mar” passando per “La prima vez”, “Bayla Bayla” e “Ocho Kandelikas”, occasione per testare l’interazione e il sostegno del pubblico: giocando in casa il risultato è stato di sicuro effetto, ma il gruppo mostra tutte le doti per comunicare e coinvolgere gli ascoltatori anche ‘in trasferta’.  I tre musicisti si sono alternati nel rispondere ad alcune domande per conoscere meglio questo progetto musicale. 

Chi sono i componenti del trio e come nasce questa collaborazione?
Namritha Nori: I componenti del trio sono: Namritha Nori alla voce, Giulio Gavardi alla chitarra, saz, ‘ūd e sax soprano, Niccolò Giuliani al cajon, darbouka, tamburi a cornice ed effettistica; tre musicisti attivi da anni in vari progetti specialmente nell’ambito della world music e in particolare delle sonorità mediterranee. Con Giulio avevo già cantato sporadicamente in duo per alcuni spettacoli e, in uno di questi, siamo venuti a contatto con la musica sefardita. Affascinati dall’intensità di queste melodie decidemmo di intraprendere una ricerca di questa tradizione così poco conosciuta, ri-arrangiandone i brani così da valorizzarne la molteplicità di tradizioni musicali e culturali che ne sono coinvolte. 
Dopo i primi spettacoli sentimmo l’esigenza di avere un tessuto ritmico più ricco e trovammo nelle percussioni di Niccolò, con cui avevamo già singolarmente collaborato in altre occasioni, il contributo perfetto per completare la formazione.

Qual è il primo brano che avete arrangiato per questa formazione?
Giulio Gavardi: “Adio Querida” che, insieme a Namritha, arrangiammo per uno spettacolo teatrale sulla figura dell’Orlando Furioso. È uno dei brani più conosciuti della tradizione; ci colpì come quella melodia e quelle parole così antiche riuscissero a toccarci così profondamente, a sembrarci così attuali. La decisione fu subito quella di dare un arrangiamento che fosse personale, moderno e libero dalla prassi esecutiva tipica di questa tradizione, che è di stampo classico, e questo è divenuto poi l’approccio proprio del nostro progetto.

Quali scelte avete operato nello scegliere il vostro repertorio e gli altri collaboratori?
Niccolò Giuliani: Il repertorio è in costante evoluzione con la nostra ricerca, una ricerca che si espande geograficamente attraverso tutto il Mediterraneo e temporalmente dal Medioevo ai giorni nostri. 
Nel nostro primo album abbiamo deciso di includere alcuni pezzi “classici” della tradizione sefardita ma anche altri meno conosciuti che delineano proprio le nostre future evoluzioni. In tutti abbiamo però mantenuto una nostra personale linea di arrangiamento che vuole discostarsi dalla tradizione interpretativa classica utilizzando sonorità più moderne, tipiche della world music contemporanea pur mantenendo tutto il lirismo ed il sapore antico che caratterizza questo repertorio. Sempre in quest’ottica abbiamo scelto i nostri collaboratori, a partire dalla collaborazione con la ballerina Silvia Cagnazzo, il cui stile etnico-contemporaneo ci accompagna in alcune nostre performance. Per la registrazione dell’album abbiamo poi trovato nel contrabbasso di Alvise Seggi, musicista veneziano di grande esperienza nella world music, la profondità di suono che desideravamo. Con il sassofono di Enrico Di Stefano e il bandoneon di Sergio Marchesini abbiamo invece creato dei colori vivaci e inediti per questa tradizione, sempre in linea con la nostra volontà di fondere e innovare. Aggiungo che gli ospiti sono stati scelti anche per la loro qualità di persone, conoscendoli per passate collaborazioni sapevamo che il loro sarebbe stato un contributo attivo ed entusiasta, elementi che consideriamo fondamentali per un progetto che intende evolversi e proseguire.

Quanto e in che modo suonare dal vivo contribuisce al vostro sviluppo?
Namritha Nori: La performance dal vivo è quello che ci dà energia ed il motore principale dello sviluppo di questo progetto ma comunque alle spalle c'è sempre un lavoro molto solido e preciso sugli arrangiamenti e sul suono. Teniamo un calendario di live piuttosto fitto durante tutto l’anno; amiamo il palco e condividiamo l’idea di portare uno spettacolo che non sia soltanto un concerto ma soprattutto una esperienza emotiva, di viaggio lungo il Mediterraneo e attraverso i secoli di un popolo che di storia ne ha avuta tanta. Ci piace infatti dare valore ai contenuti dei pezzi, sono storie di un'umanità vivissima, talora dolorosa ma altre volte ironica e divertente; la musica accompagna questi momenti emotivi, talvolta si fa soffice altre volte si carica in groove molto serrato che, come spesso succede nella musica popolare, assume una funzione di catarsi dal dolore e dal destino. Inoltre, spesso collaboriamo con una o più ballerine (tra cui ricordiamo Silvia Cagnazzo, Fabrizia Luciani e Silvia Militello) che con i loro diversi stili di danza sottolineano l’approdo delle note sulle varie rive mediterranee. Ci piace molto ridere e prenderci in giro continuamente e sul palco lo facciamo, l'interazione con il pubblico non manca.

Quali contesti ritenete più adatti alla vostra proposta?
Niccolò Giuliani: Soprattutto festival di world music e circoli culturali interessati a proposte musicali inusuali ma allo stesso tempo accattivanti, e in Italia ce ne sono molti. 
E’ musica che richiede una certa attenzione ma sa anche essere coinvolgente, carica di emozioni e a tratti ballabile, per questo motivo non ci siamo mai posti troppi limiti e abbiamo suonato in situazioni molto diverse, collezionando spesso gradite sorprese dove non avremmo immaginato.

Com'è nata la registrazione di “Matesha”? Gli darete un seguito discografico?
Giulio Gavardi: Dopo un intenso anno di attività live e aver costruito una forte identità del nostro sound abbiamo sentito che era il momento giusto di incidere, per segnare un nostro punto di arrivo personale che fosse anche punto di partenza. Sicuramente ci sarà un seguito. In questo periodo, oltre ai molti live, stiamo preparando un nuovo repertorio. Sempre nell’ottica di fondere innovazione e tradizione sperimentiamo molto, lavorando in particolare su nuove sonorità con l’introduzione di alcune manipolazioni elettroniche alle percussioni ed effettistica particolare a chitarra e voce. Già nei prossimi live si potrà intravedere qualcosa..

Sentite affinità con altre formazioni musicali?
Namritha Nori. Ci ispiriamo ad altre formazioni di musica sefardita che hanno scelto di non seguire una tradizione interpretativa classica di questi brani, con classica si intende di ispirazione alla musica antica popolare medioevale. 
Jasmine Levy, Francoise Atlan, Mor Karbasi e gli Al Andaluz Project sono i grandi nomi da cui non si può non imparare, nomi che hanno svezzato questa musica dando dinamicità e sonorità moderne. A loro ci ispiriamo ma sempre come
punto di partenze per sviluppare idee nostre.

Niccolò, sei anche un insegnante di percussioni: come imposti questa attività?
Niccolò Giuliani: La percussione, dopo la voce, è verosimilmente lo strumento più arcaico utilizzato dall’uomo per fare musica. Ogni popolo possiede le sue percussioni, i suoi ritmi e le sue specifiche tecniche percussive, frutto di millenni di storia e di influenze. Sulla pelle di un tamburo si può leggere la storia di un intero popolo, la sua cultura e quella di tutti gli altri popoli che ha incontrato sul suo cammino e che hanno lasciato comunque un segno. Sulla pelle di un tamburello siciliano, ad esempio, troviamo forti le tracce del periodo arabo, come su alcuni palos del flamenco ritroviamo cellule ritmiche tipiche italiane o africane, segno di un continuo scambio tra tutti i popoli bagnati dal nostro mare. Questo è quello che mi appassiona della musica, questo è quello che cerco di infondere in questo progetto Mi Linda Dama e questo è quello che poi cerco di trasmettere ad i miei allievi dei corsi di percussioni mediterranee. In questo seguo e mi ispiro molto al grande lavoro che sta svolgendo il percussionista romano Gabriele Gagliarini, mio amico ed insegnante. Lui ed in particolare il suo trio “Semilla” (con Lavinia Mancusi e Riccardo Medile) sono fra le realtà a cui più mi ispiro per quanto riguarda la didattica che per l’arrangiamento.



Mi Linda Dama - Matesha (Radicimusic, 2017)
Già dalle note iniziali di “Matesha” (“Altalena), il CD, prodotto da Radici, con cui debuttano, i Mi Linda Dama colpiscono per il modo preciso e caldo allo stesso tempo con cui scolpiscono il suono e per i cambi di passo che, fin dal primo brano, “La galana y la mar” sollecitano ascolto attivo. La voce di Namritha Nori dialoga volentieri con le corde e il sax di Giulio Gavardi mentre le percussioni di Niccolò Giuliani cuciono il tutto con misura e capacità di variazione e di dinamica. Anche la scelta dei tre musicisti che hanno collaborato col trio alle registrazioni si rivela particolarmente indovinata: Alvise Seggi integra magistralmente Giuliani nella trama ritmica, mentre i sax di Enrico Di Stefano e il bandoneon di Sergio Marchesini regalano in tre brani la propria personale poesia. Le nove tracce che compongono la riuscita scaletta del CD esplorano con profondità soprattutto il lato riflessivo e melancolico delle Historias Sefarditas, lasciando ai brani della parte centrale, “Kuando el rey Nimrod” e “En el cafe del amanecer”, e a “Bailaba en Tetuan” il compito di far assaggiare la capacità del gruppo di energizzare l’ascoltatore e di giocare col ritmo e l’interplay fra i musicisti.



Alessio Surian

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