La Musica Nelle Aie, Castel Raniero in Festa, Castel Raniero, Faenza (Ra), 11-14 Maggio 2017

Sarà pure il bel tempo quello che fa la differenza tra un’edizione e l’altra de “La Musica nelle Aie”, a Castel San Pietro di Faenza, ma quando lo dicono gli organizzatori dimostrano la loro modestia, quella della gente per bene ma anche delle persone brave per davvero. Questo perché se indubbiamente il sole che ha baciato la Romagna in questo week-end di metà maggio contribuisce in modo determinante all’affluenza di un pubblico persino più numeroso del solito, non c’è dubbio che il programma culturale e musicale che fa non già da contorno ma da spina dorsale di una sagra collinare divenuta negli anni un festival di richiamo nazionale, anche quest’anno abbia alzato l’asticella di un evento già encomiabile, oltre che unico. Per chi ancora non lo sapesse, da quindici anni “La Musica nelle Aie” porta a Castel Raniero di Faenza nel secondo week-end di maggio un numero abbastanza spropositato di artisti folk italiani (qualche volta non solo italiani), che insieme ad altre iniziative culturali rendono del tutto unica la quarantennale sagra del paese, organizzata con passione dalla tenace e laboriosa comunità della collina. In particolare, la giornata culminante della domenica prevede l’esibizione, per quattro ore su un percorso di campagna di 5 km, di una ventina di gruppi folk per il Castel Raniero Folk Festival. Nello specifico giovedì 11 la «serata del ballo» ha visto sul palcoscenico il fantastico organettista Filippo Gambetta accompagnato dal chitarrista Carmelo Russo, per un concerto da intenditori, che magari non ha richiamato ballerini nel numero che si sperava ma che per chi aveva orecchio solo per la musica – peraltro ballabilissima – è stato un autentico godimento. 
Le fiumane di avventori non si sono fatte intendere venerdì 12 maggio, giornata che ha visto l’esibizione serale dei locali Sleego – con la loro originale formula di irish-folk suonato letteralmente al fulmicotone -, seguiti dal trascinante combat-folk de La Tresca, prima esplosione di energia collettiva del festival 2017. Ma nel pomeriggio, nei suggestivi spazi di Villa Orestina, era stata inaugurata la bellissima mostra dedicata all’arte romagnola che negli ultimi due secoli ha raccontato il paesaggio mettendo al centro “il pino” (mostra realmente di livello, con lavori di Baccarini, Versari, Merendi e altri artisti storici di primo piano). Sempre a Villa Orestina, nella giornata di sabato 13 che ha visto anche l’organizzazione di visite nei boschetti e l’immancabile podistica del paese, ha ospitato nel pomeriggio la presentazione del libro che Gianni Siroli, collezionista, cultore del liscio ed ex presentatore tv notissimo in Romagna, ha dedicato a Roberto «Castellina» Giraldi, uno dei grandi protagonisti della musica da ballo romagnola, oggetto da alcuni anni di una riscoperta importante (di cui Siroli è uno dei artefici) dopo un periodo fin troppo lungo di disinteresse (anche colpevole, certo) per la storicizzazione di una storia musicale certamente controversa ma artisticamente tutt’altro che da buttare e iconograficamente più suggestiva che mai. In serata sul palco hanno suonato gli Orsi, formazione strumentale dal tocco onirico e vicino a Nino Rota, ben piazzati nel concorso del 2016, prima dell’arrivo sul palco di un vero classico del folk italiano e occitano nello specifico come i Lou Dalfin, per la prima volta a Castel Raniero per un “matrimonio” che “s’aveva da fare per forza”. 
Domenica 14, con la strada chiusa al traffico dal mattino, il Castel Raniero Folk Festival ha richiamato un numero difficilmente calcolabile di migliaia di persone, per 4 ore a scorrazzare nei campi tra gruppi e musiche di ogni genere. Per la prima volta è mancata in toto la pizzica (genere probabilmente fin troppo inflazionato) e si è registrata una varietà anche maggiore che in passato, con diversi gruppi che si ispirano alle sonorità nordafricane. Tra questi i raffinatissimi Mi Linda Dama, vincitori del premio della giuria nella categoria “Interpreti” grazie alla loro originale appropriazione dello stile sefardita, con una cantante capacissima di destreggiarsi nel silenzio, un chitarrista presentissimo e avvolgente nonché un percussionista a proprio agio con lievi manipolazioni elettroniche, mai eccessive. Il trionfo sefardita è stato sancito dal secondo posto per i Safar Mazì, quartetto dal suono cesellato e dalla coesione timbrica rara, grande cura del dettaglio ed emissioni sonore controllatissime: una goduria. Terzi fra gli interpreti un altro gruppo molto raffinati, e non privo di agganci esotici con il santur iranino suonato da Ozgur Yalcin con l’arpa e la voce ineccepibile e suadente di Marta Celli. Un bronzo meritatissimo. Tra gli autori ha vinto con margine il sorprendente cantautore rovigino L’Istrice, personalità straripante e sopra le righe, affabulatore ferrettiano (anche nell’aspetto) e decisamente “vissuto”, consigliatissimo e capace di fare il vuoto intorno a sé, con testi colti dal sapore antico e un gusto “pop” per la melodia anche facile che non guasta proprio per niente. Secondi i Folletti, con il loro robusto cantautorato combat in stile Gang (con tanto di azzeccatissimo contrabbasso e richiami all’universo sonoro ed estetico del rockabilly) e terzi gli strumentali Lame da Barba, contaminatissima orchestrina da balera con richiami tanto al jazz dei primordi quanto a derive etniche tutte da sognare. 
Meritatissimo anche il premio del pubblico al contry-rock dei Nashville & Backbones, agguerrito trio con voci e armonizzazioni memorabili e un assetto strumentale che fa a meno di basso e batteria per lasciare la ritmica nelle mani del pianista e permettere al banjoista di fare faville. Anche loro appuntateli e cercateli, non faranno la gioia dei puristi del canone folk (una vaga decontestualizzazione ha sempre fatto del bene agli “outsider” di “Musica nelle Aie”) ma sono davvero trascinanti. Tra gli altri, da segnalare almeno il choro brasiliano dei Non ci resta che chorar (leggermente “slegati” ma comunque bravi e soprattutto ambasciatori di un repertorio poco ascoltato in Italia) e qualche opinabile contestualizzazione - non musicale ma logistica - per il delicato duo di flamenco che si è esibito troppo a ridosso di un punto di ristoro, trafficato e rumoreggiante. In serata il palco principale ha dedicato due live alla Romagna, prima con la tradizione “pura” del Duo Trabadel, tra vecchie manfrine e balli staccati, e poi alla balera retrofuturibile, rumorista e strampalata degli Extraliscio, con uno show coloratissimo che per alcuni è stato spiazzante, forse persino irritante, ma per tanti altri (sottoscritto compreso) è stato non semplicemente un grande e divertentissimo concerto – a scanso di equivoci dati dall’immagine guascona: questi suonano benissimo e parliamo di musicisti di diverse generazioni che hanno un’intesa invidiabile – ma la vera grande sfida vinta da un festival che non si siede sugli allori (potrebbero eccome…) ma continua a “sfidare” il pubblico e sperimentare i formati. E che la “vita pulsante” sia il bene più prezioso della musica folk dovrebbe essere cosa risaputa. 


Federico Savini

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