Rosario Bonaccorso – A beautiful story (Millesuoni/Jando Music, 2017)

Nuovo album per il contrabbassista Rosario Bonaccorso, accompagnato in un percorso di dodici brani fluidi e regolari da Dino Rubino al flugelhorn, Enrico Zanisi al piano e Alessandro Paternesi alla batteria. Il titolo dell’album, “A beautiful story”, è ampiamente rappresentativo della forma che assumono nel loro insieme i brani in scaletta. Così come riflette, in un gioco equilibrato di rimandi concisi ma efficaci, ciò che potremmo immaginare come il momento di scrittura: corposo e leggero, profondo e lineare, articolato ma stabile e coerente. Il quartetto così composto - attorniato da una timbrica morbida e tradizionalmente acustica - è probabilmente la migliore sintesi di questa storia straordinaria. Da un lato perché riesce a dare una voce suadente a tutti i brani (a cominciare dal primo, che porta il nome dell’album), che si riempiono pian piano di elementi sfumati che, gradualmente, si appoggiano l’uno sull’altro fino a definire la linea solida e morbida di un andamento chiaro, preciso, coerente. Dal primo all’ultimo, è il caso di dire, perché tutto rimane dentro l’idea della delicatezza, della morbidezza (“Come l’acqua tra le dita”). Dall’altro lato - e questo richiama più direttamente il tocco dei musicisti - i suoni degli strumenti definiscono uno spettro ampio e spesso inatteso, accomodando chi ascolta in una continuità di passaggi eleganti e mai stranianti. Questo è un aspetto che colpisce più di altri, perché nonostante la varietà armonica che puntella ogni brano, si può ascoltare il disco con disinvoltura, lasciando la musica e la successione degli strumenti dentro la spinta naturale che la sorregge, senza sforzi né contrazioni. In alcuni casi il quartetto si lascia anche tirare da un ritmo più teso e articolato, come in “De Walfish”. Ma, nonostante il registro sia più irregolare e complesso, la formula si lascia riconoscere, si affaccia sotto i suoni come una luce chiara, che illumina la strada da percorrere. Oltre al contrabbasso di Bonaccorso poi - che è l’autore dei brani e la guida del trio che lo accompagna - il suono vellutato del flugehorn non lascia spazio a disincanti. Si frappone agli altri strumenti con estrema cura e, nonostante il suo timbro pastoso e morbido, riesce a elaborare melodie anche tese e a tratti acide. In questi passi sembra quasi che si produca uno strappo (“My italian art of jazz”), ma a ben vedere è il riflesso di una riflessione che si fa più pressante, di un soffio che raggiunge un picco per immergersi subito dopo nella flessuosità degli andamenti degli altri strumenti. In questo caso anche la successione dei brani ci aiuta, perché asseconda questi andamenti, regolandoli su pochi registri, compatibili e organici: “This is for you” ne è uno degli esempi più chiari, come anche il brano successivo - più variopinto e instabile, “Storia di una farfalla”. Tra i momenti più significativi dobbiamo segnalare “Minus one” e “You me nobody else”. Il primo rappresenta efficacemente una divergenza strutturale, che matura dentro una successione di contrappunti: nella prima parte la superficie è scomposta dalla divergenza tra il flugehorn e l’andamento ritmico, mentre nella parte centrale - che si configura come una sottolineatura - è il pianoforte, in modo forse più esplicito, a strattonare gli altri strumenti, che mantengono un sostegno teso fino alla fine del brano. Il flugehorn torna subito dopo con gli stessi intenti, sottolineando una divaricazione possibile e comprensibile, confluendo poi in una sospensione, alla fine del brano, in cui incontra e si sovrappone al pianoforte. “You me nobody else” è la chiosa perfetta: la voce degli strumenti è rallentata e tirata dal rullante sfregato, il tono si abbassa a un livello più contemplativo, più onirico, definendo i contorni di un’immagine da osservare nei dettagli: il contrabbasso emerge a tratti con dei suoni strisciati, sorretti da alcuni battiti di batteria delicati ma decisi. La melodia è perfetta e risuona essenziale in ogni nota, fino ad assorbirsi in un unisono prolungato e sempre più silenzioso. 


Daniele Cestellini

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