Druga Godba, Pirano e Lubiana, Slovenia, 25-27 maggio 2017

Giunto alla XXXIII edizione il Festival Druga Godba si protende oltre la capitale slovena – la sua sede naturale - raggiungendo la fotogenica Pirano, città adriatica carica di storia e cultura, terra di transiti di genti. Un luogo appropriato per accogliere gli austriaci Roy De Roy, band dal profilo polka-balkan-punk e dall’afflato libertario (chitarra, basso, batteria, tromba e fisarmonica). I viennesi sono stati gli apripista in Piazza Tartini, dedicata al violinista e compositore a cui Pirano ha dato i natali. Qui sorgono le istituzioni municipali e i palazzi storici dei notabili della località turistica che è tra le più frequentate del litorale istriano. Il pubblico è costituito soprattutto da aficionados del festival, giunti da Lubiana con bus-navetta gratuiti messi a disposizione dall’organizzazione del Festival. Dopo la prima esibizione, un battello ci conduce in un’altra località che ha fatto la storia del territorio: i magazzini del sale Monfort, posti in riva al mare nella frazione di Portorose, che accolgono la seconda parte della serata. 
Certo l’acustica lascia un po’ a desiderare, ma la suggestione del luogo e la caratura degli artisti in scena non lascia dubbi sulla qualità sonora delle proposte. Il pubblico acclama il riallestimento del Bella Ciao con l’organetto diatonico di Riccardo Tesi a fare da collante tra le voci femminili complementari e immense di Lucilla Galeazzi, Elena Ledda e Luisa Cottifogli e quella maschile di Alessio Lega, la puntualità percussiva di Gigi Biolcati e la calibrata presenza della chitarra di Maurizio Geri danno la giusta propulsione. Dopo la band italiana sale sul palco King Ayisoba, maestro del liuto a due corde kologo. Il ghanese ha forte presenza scenica, procede con un sound dall’impatto diretto, fondato sulle linee melodiche del cordofono e il peso ritmico afro-funk, che fanno del suo ultimo disco, “1000 Never Die”, stato prodotto da Zea, già membro della band post punk The EX, una delle migliori novità africane. Tirando le somme della prima serata, non si può dire che non sia stato un assaggio positivo delle potenzialità offerte dalla cittadina istriana, dove nel pomeriggio, nella facoltà di Scienze Turistiche, 
si era parlato del rapporto tra Festival e turismo con Jo Frost (Songlines), Maaike Wuyts (visitbrussels), Edin Zubčevic (Jazz Fest Sarajevo), il responsabile del ministero della cultura della Repubblica slovena Primož Kristan e Leo Ličof (Okarina Festival di Bled, che quest’anno ha un programma world music di alto livello). Sempre al pomeriggio un laboratorio musicale all’insegna dell’improvvisazione aveva fatto interagire i coreani Black String e i lubianesi Širom, protagonisti dei live act nelle giornate successive. Dopo l’ultimo concerto, all’una del mattino, quattro bus ci portano a Lubiana, dove il festival si sposta per il week-end, rientrando nella location di questi tredici anni. La manifestazione si diffonde nel tessuto urbano della capitale, le note riempiono poli culturali della città come Kino Šiška, sede più importante per la cultura urbana indipendente di Lubiana. Un altro centro culturale è il Metelkova Mesto, collocato in una ex caserma dell’esercito nazionale jugoslavo, diventato il fulcro della vita notturna della capitale. Altri concerti sono stati ospitati al Cankarjev Dom, costruito da Edvard 
Ravnikar, struttura polivalente con sale per concerti, teatro, proiezioni cinematografiche e congressi. In altri piccoli spazi sparsi per la zona centrale della città, ci sono stati i laboratori musicali, gli incontri con gli artisti e la tavola rotonda su “Gentrification dei Festival”. Va detto che il palinsesto del festival è stato seguito da un pubblico eterogeneo, sempre numeroso e partecipe, spettatori che seguono con fiducia la programmazione offerta da Druga Godba, nonostante la consistente offerta culturale della capitale slovena (pensate che al venerdì in una delle piazze centrali, tra gli altri, si esibiva gratuitamente Magnifico). L’art-elettronica crepuscolare e confidenziale della norvegese Jenny Hval, che ha aperto i concerti del venerdì al Kino Šiška, non mi è apparsa del tutto coinvolgente ed perfino un po’ datata, ma il pubblico ha gradito. Più interessante l’iterazione elettronico-acustica di Kondi Band, il cui leader Sorie Kondi – conosciuto come lo Stevie Wonder del Sierra Leone – suona per l’appunto il kondi, un piano a pollice, simile alla mbira, incrociando la strada con Chief Boima, DJ e produttore cresciuto a Milwaukee, ma di origini
sierraleonesi, mentre sullo schermo scorrono le immagini di strada di Freetown (è in uscita il CD “Salone” per l’etichetta Strut). Ci trasferiamo All’AKC Metelkova per il clou della serata, anzi della nottata. Qui, in quattro diversi locali, tutti eccellenti sul piano delsuono, il quartetto coreano Black String impressiona per il mélange elettro-acustico che fa interagire materiale tradizionale, post-rock e sequenze improvvisative, con la cetra geomungo a fornire contrappunti melodici e ritmici alle percussioni, al flauto di bambù e alla chitarra elettrica. La lunga notte ha visto sul palco i colori latini dei franco-colombiani Pixvae, un corroborante combo, che produce un ibrido tra rock, jazz, currulao e cumbia con chitarra, sax baritono, tastiere, percussioni e batteria, due voci femminili e una maschile. Intensa l’esibizione di Gaye Su Akyol, fresca del notevole album “Hologram Imparatorluǧu”, commistione di psichedelia, surf-rock e arabesk, che fanno da corpo sonoro per l’istrionica presenza della cantante di Istanbul, che di tanto in tanto pesca nel repertorio seminale del rock anatolico della seconda metà del Novecento, come a voler liquidare i demoni oscurantisti della Turchia di oggi. 
Altro spirito pensante è la maliana-francese Inna Modja: in dote porta la tradizione bambara che ama mischiare con l’hip hop, pronunciandosi esplicitamente su scottanti questioni sociali (migrazioni, mutilazioni genitali femminili, la guerra nel Mali che ha profanato l’erudita città di Timbouctou). Nella serata conclusiva di sabato, il focus si è spostato sulla scena artistica slovena con la suite-performance “The Raising of the Voice” del poliedrico compositore Drago Ivanuša per piano, voce e corpo della vocalist Anja Novak, marimba (Lola Močnik) e contrabbasso ed elettronica (Tomaž Grom). Delizioso il libero pensiero sonoro dei dieci fisarmonicisti della Wiener Ziehharmoniker, dove si ricongiungono lo sloveno Bratko Bibič e l’austriaco Otto Lechner, già membri dei leggendari Accordeon Tribe. Magnifica anche l’esibizione del sudafricano Derek Gripper, il quale ha trascritto e trasposto sulla sei corde le composizioni dei maestri contemporanei della kora, che ha il suo epicentro stilistico tra Mali, Senegal, Guinea e Gambia. Impressiona il modo con cui il chitarrista di estrazione classica di Cape Town governa le 
linee di basso distintive del suono dell’arpa-liuto, le dolci cascate di note e gli scatti incisivi; notevole la sua capacità di gestire e bilanciare gli elementi melodici. Come ribadito in un laboratorio pomeridiano, rivolto ai chitarristi locali, Gripper considera i musicisti sub-sahariani compositori contemporanei, le cui costruzioni musicali vanno analizzate e studiate come partiture. Non è casuale che il nostro passi dal “griot tedesco” Bach ai maestri della kora. Esaurite le esibizioni al Cankarjev Dom, ci si è spostati di nuovo al Kino Šiška. Molto apprezzato il trio Širom (in sloveno l’espressione “širom sveta” significa all’incirca “intorno al mondo”), che ha in uscita per la Tak:til, sotto-etichetta della Glittebeat di Chris Eckman, l’album “Lahko Sem Glinena Mesojedka”. I tre giocavano in casa con il loro armamentario comprendente strumenti a corda e ad arco, tamburi etnici e strumenti auto-costruiti, con un certo sovraccarico di timbri in certi passaggi del set, che magari andrà meglio calibrato. Iztok Karen, Ana Kravanja e Samo Kutin si muovono meditabondi tra cellule folkloriche, drone e rock, reminiscenze classiche e improvvisazione. 
Il loro è un progetto di sicuro fascino, che mi ha portato alla mente la lezione dei nostri Aktuala e Zeit, i cui sconfinamenti e commistioni soniche possono dire ancora molto. Attesa dal pubblico locale, Yasmine Hamdan ha confermato le sue credenziali pop-arab-groove. In versione quartetto: voce, batteria, elettronica e chitarra elettrica, la libanese ha cantato canzoni tratte dai suoi due album che l’hanno portata ai vertici della world, mettendo in campo un sound denso e corposo in virtù della notevole presenza rock del chitarrista Cedric Le Roux. Sempre in vena arabo-mediterranea il finale per nottambuli del Kino Šiška ha permesso un tuffo nell’età dell’oro del cinema cairota con immagini mixate con l’hip hop, i beat elettronici e le linee melodiche dell’oud elettrico di Mehdi Haddab. In conclusione, un’edizione lusinghiera del Festival sloveno, che conferma la rilevanza di Druga Godba nel panorama world music europeo. Mettetelo in agenda per il 2018. 



Ciro De Rosa

Foto di Uroš Hočevar e Ciro De Rosa

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