Spesso nelle fortunate regioni costiere dell’Adriatico, passeggiando sui lungomare, sovviene ad alcuni il pensiero su cosa mai stiano combinando dall’altra parte. Per troppo tempo l’Albania, misterioso paese comunista in perenne autocombustione politica ha costituito un rompicapo e un mistero per un paio di generazioni dei paesi al di là del piccolo tratto di mare. Le visioni estemporanee che particolari condizioni meteo regalano, fate morgane e altro in cui si scorgono monti innevati e in dettaglio anche i sentieri che finiscono sulla costa a volte non bastano a chetare la curiosità, nel mio caso, esclusivamente musicale. Allevato con gli ottoni infernali del segnale di Radio Tirana, e mutuata la passione per gli irregolari tempi balcanici da una vecchia radio a valvole Allocchio Bacchini decido di fare un salto al Fustanella Festival di Argirocastro (o Gjirokastër, se preferite, www.fustanellafestival.com) diretto da un amico di lunga data Olsi Sulejman, sognatore/realizzatore, non prima di prendere però le dovute informazione sul nome e sulle eventuali conseguenze in termini di abbigliamento.
La fustanella è un indumento maschile simile a un gonnellino, di origine illirica pieghettato e molto svasato, tipico del costume tradizionale di diverse popolazioni dei Balcani. Quanto a Gjirokastër, la città è una notevole attrazione turistica, con le case di pietra della città vecchia, patrimonio dell’umanità, e il suo castello in pietra dai riflessi argentei. Tuttavia, la reale mission del mio viaggio, consumato tra mare e massicce dosi di tachipirina, è quella di poter conoscere dal vivo la meritoria attività di recupero del patrimonio musicale albanese, già tentato con successo a Korçe con il “Kaba 2.0” Festival, per confrontarle con analoghe operazioni culturali qui nella mia regione: la Puglia, malata di una irrefrenabile passione per la pizzica. Quello che colpisce, qui come a Korçe, sono le buone vibrazioni di un palinsesto che stimola confronti musicali inaspettati e coraggiosi, e irrompe con intenti defibrillatori nell’entropia della tradizione fine a sé stessa. È questo il caso del singolare progetto del bravissimo pianista Robert Bisha con l’Albanian Iso-polyphonic Choir:
un’avventurosa quanto riuscita incursione del pianoforte nel contrafforte misterioso dei ritmi arcaici dell’iso-polifonia del sud dell’Albania, un canto a più voci antico come il mondo che accompagna i diversi momenti della vita sociale. Entrata a pieno titolo nel 2005 nell’elenco del patrimonio immateriale dell’UNESCO, l’iso-polifonia è caratterizzata da uno forma musicale di canto : “iso” o drone, che enfatizza l’uso di suoni, di note e bordoni. Allo stesso Robert Bisha musicista albanese, che vive da tempo in Italia, era stato affidato il concerto d’apertura serale con Fanfara Tirana, un risultato straordinario per gli arrangiamenti destinati ad un ensemble ormai libero da tempo dal cliché delle brass band balcaniche, capace di esprimere pur nella tradizione degli ottoni albanesi di Scutari, Koriza e Elbasan un respiro musicale transnazionale e rivelare con incredibili improvvisazioni al clarinetto, strumento diffuso nell’area di Tirana e delle zone prossime all’Epiro, il grande dono segreto ricevuto dalla Kabà. Un esempio di perfetta osmosi musicale il concerto pomeridiano del primo giorno all’Odeon di Argirocastro con il
violoncellista albanese Redi Hasa – da anni collaboratore di Ludovico Einaudi – e Maria Mazzotta, per anni vocalist del Canzoniere Grecanico Salentino: una compiuta interazione tra voce e strumento un prezioso baedeker delle sonorità adriatiche, dal Salento dalla Sicilia e dai Balcani. È stata però la seconda giornata, quella in cui l’interesse cresceva con la stessa velocità della mia temperatura, la prova provata del successo della manifestazione, animata da un pubblico motivato, capace di sfidare le irte rampe che portano al castello medievale di Gjirokastër , che si è mosso da ogni angolo dell’Albania, affollando la grande piazza d’armi, per il match musicale più atteso: Kabatronics - Fanfara Tirana meets Transglobal Undeground, sodalizio che fa reagire la musica kabà albanese del sud con il reggae, la voce dell’icona della musica popolare Hysni (Niko) Zela, anima di Fanfara Tirana, e quella nera di Tuup, acronimo di “The Unorthodox Unprecedented Preacher”, il cui vero nome è Godfrey Duncan: ottoni da ‘scoppio’ da una parte, elettronica dall’altra.
Non venivano da tanto lontano i greci macedoni di Koza Mostra (voce, batteria, basso, chitarra, fisarmonica e tromba), che hanno portato la loro miscela di sound tradizionale, ska, punk e rock. Invece, la visionaria contaminazione sonora di Filastine privi della l’indonesiana Nova, bloccata per questioni amministrative sui visti d’ingresso, ha prolungato sugli spalti del castello la notte, con le sue urban vibes, echi dub, orchestrazioni, hip-hop di periferia e musiche dai sottofondi di Calcutta, Rio de Janeiro e Jajouka, in Marocco. Il commiato dal festival, risparmiato dalla pioggia prevista, ha luogo il 21 maggio nella galleria delle armi, un luogo raccolto e suggestivo, ideale per l’indimenticabile session di Robert Bisha (chitarra elettrica), Redi Hasa (violoncello) e Mirsad Dalipi (batteria) e alla suggestiva polifonia femminile de The River Voices. Saluti da Gjirokastër, ma scrutate ancora l’Albania, di là dal mare: occhi puntati sul calendario di luglio, per l’edizione 2017 di Kaba 2.0 dal 28 al 30 luglio prossimi.
Roberto Caroppo
Foto di Adnan Beci
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