Con “I dreamed an Island”, sesto lavoro discografico di Piers Faccini, il cantautore e chitarrista giramondo di origini italiane, nato in Inghilterra e di base nel sud della Francia, ha armonizzato le culture, le lingue e gli strumenti con le quali è venuto in contatto durante le sue esperienze globali. Guidato da un delicato, raffinato gusto musicale, l’album racchiude dieci brani ispirati alla cultura mediterranea, portatrice di un messaggio di armonia e tolleranza, e si ispira a quei momenti storici in cui le arti, le scienze e le lettere hanno raggiunto l’apice, con popoli e culture diversi che, dall’Andalusia alla Sicilia, hanno vissuto pacificamente fianco a fianco. Ascoltando questo lavoro si può pensare alle canzoni malinconiche e ricercate di Nick Drake e al folk inglese di John Renbourn, ma c’è molto altro: si colgono richiami alla musica rinascimentale in “Anima” e “Judith”, ispirate alle composizioni di Johannes Hyeronimus Kapsberger, virtuoso del liuto vissuto in Italia a cavallo tra XVI e XVII secolo. Ancora, il modo di suonare la chitarra in alcuni brani risente dell’Africa del Mali. Inoltre, Faccini usa intervalli di quarto di tono - creati sulla chitarra inserendo dei mini-tasti sul manico- caratteristici della musica araba, che sul blog dell’artista sono presentati con il desiderio di «cantare e suonare quelle note che non si trovano su una chitarra o un pianoforte, note tra le note, le note della scala del quarto di tono che dividono l'ottava in 24 parti invece che in 12” per “vedere cosa sarebbe successo se avessi cantato in inglese le melodie e le canzoni in parte colorate dall'influenza dei modi arabi o turchi che utilizzano comunemente intervalli micro tonali». In questo viaggio dalle preziose sfumature pastello, con sonorità eclettiche apparentemente minimaliste e “leggere” (che invece, a un attento ascolto, rivelano un’elevata, studiata densità) Piers Faccini mantiene saldo il timone. Lo accompagnano musicisti ospiti da molte parti del mondo: gli italiani Simone Prattico, batterista con il quale ha girato in tournée per sette anni, Luca Tarantino, virtuoso della tiorba, strumento a corde della musica barocca, alcuni strumentisti del Canzoniere Grecanico Salentino (con il quale Faccini ha già realizzato altre collaborazioni): Giulio Bianco alla zampogna, Massimiliano Morabito all’organetto, Mauro Durante al tamburello. Malik Ziad, musicista e cantante algerino, in questo lavoro suona la mandola, lo scozzese Pat Donaldson il basso e Hasser Haj Youssef, dalla Tunisia, la viola d’amore. Lo statunitense Bill Cooley interviene al salterio e il francese Loy Ehrlich al guembri, strumento cordofono della tradizione gnawa. In questo spirito di integrazione, melodie e testi si arricchiscono della collaborazione del percussionista di origine iraniana Bijan Chemirani, di Mauro Durante, della poetessa di origine malese Francesca Beard, di Simone Prattico e del cantautore siciliano Fabrizio Cammarata. Attraverso i brani di “I have a dream” il cosmopolita artista lascia filtrare un messaggio di tolleranza che parte dalla storia ma ha anche risvolti fortemente contemporanei: “Bring down the wall” invita a lasciar cadere i muri, anche quelli non ancora costruiti: da quello proposto a Calais al muro pensato da Donald Trump ai confini con il Messico, che per il cantautore sono la prova della nostra incapacità di convivere, motivati dalla volontà di esclusione, dal nazionalismo e dall’attitudine guerrafondaia. La dolente “Oiseau” è stata scritta all'indomani della strage del Bataclan. Molte canzoni sono cantate in inglese ma una è in francese, una è in italiano e c’è anche l’arabo. “Volevo che l'album fosse multilingue come l'isola che l'ha ispirato” è ancora il pensiero di Faccini: ed ecco in “The many were more” Malik Ziad cantare una poesia in arabo di Ibn Hamdis, siciliano del XII secolo. A testimonianza dell’interesse per il Mediterraneo ed i rapporti culturali tra Oriente e Occidente, ci sono "Judith", ambientata a Cordoba subito dopo la fine dell’XI secolo, quando l'epoca d'oro della dinastia omayyade volgeva al termine, che ricorda il momento storico in cui i berberi Almoravidi, che avevano una visione poco tollerante verso cristiani ed ebrei, costrinsero molti di questi a cercare esilio nella città cristiana riconquistata di Toledo e “Cloak of blue” che si ispira alla pietra preziosa del lapislazzuli proveniente dall’Afghanistan che adorna il mantello del Cristo Pantocratore nei mosaici di Cefalù. “Drone”, invece, riconduce l’album all’attualità di un attacco di droni in Siria. Le foto per questo pregevole e curato CD sono state scattate a Palmarola, isola dell'arcipelago Pontino tra le coste campane e quelle laziali. Sulla copertina compare il profilo del figlio minore del cantautore, immerso nei pensieri, circondato da un alone di luce. Il sogno ispiratore di Faccini guarda senza dubbio ad un’isola del Mediterraneo, un'isola ideale, senza confini e pregiudizi, in cui regnano armonia, tolleranza ed integrazione.
Carla Visca
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