Daniele Sepe – Capitan Capitone e i Parenti della Sposa (MVM/Goodfellas, 2017)

Lo scorso anno “Capitan Capitone e i Fratelli della Costa” ha rappresentato una delle sorprese più belle della scena musicale napoletana, non solo per il pregio di raccogliere alcuni dei suoi talenti di punta, ma anche per le trovate narrative e musicali che lo hanno proiettato tra i migliori dischi dell’anno, ed al quale la nostra redazione ha assegnato il premio BF-Choice 2016. A distanza di un anno e dopo aver messo in rimessaggio la sua barca, Daniele Sepe ha chiamato nuovamente a raccolta la sua ciurma “scombinata” di pirati per un nuovo progetto e dopo alcuni giorni di brain storming, all’ora di cena, ha preso vita “Capitan Capitone e i Parenti della Sposa”. Frutto di un lavoro ancor più intenso dal punto di vista creativo del collettivo guidato dal sassofonista e trickster napoletano, questo nuovo album sposta più avanti i confini della loro originale proposta, mescolando world music, jazz, rap, citazioni dal songbook della canzone d’autore come da quello neomelodico, non facendosi mancare momenti esilaranti, com’è nella cifra stilistica del Capitano Sepe. Il risultato è un concept album dal taglio cinematografico, nel quale si staglia il confronto tra classi sociali differenti, che rimanda a pellicole come “Miseria e Nobiltà” e “Indovina chi viene a cena”. A raccontarci in prima persona la genesi del disco è naturalmente Daniele Sepe, intercettato mentre era in navigazione con il suo ‘vascello’ nelle acque di Miseno, in compagnia di un ineffabile Andrea Tartaglia.

Com’è nato questo nuovo progetto?
E’ nato un po’ come il primo. A novembre ho tirato a secco la barca ed abbiamo cominciato a lavorare. Insieme ai ragazzi avevamo già discusso su cosa fare e c’erano diverse idee da mettere a punto. Io ho lanciato un paio di proposte e alla fine abbiamo scelto di incentrare il disco sulla storia del matrimonio nella quale potevamo far entrare sotterraneamente anche la questione politica e sociale. A Napoli come nel resto del mondo esistono due città e due culture completamente diverse: una proletaria e popolare, l’altra borghese sia essa di sinistra o di destra, questo poco importa. Ci interessava focalizzare la narrazione su questa idea di matrimonio misto, quasi interraziale, fra un povero e una ricca e vedere cosa accadeva nello svolgersi degli eventi. Quello che abbiamo fatto è stato raccontare questo contrasto in maniera divertente, con lo stesso approccio politico che può avere una canzone come “Mi ha rovinato il 68” degli Squallor o delle telefonate di Pierpaolo. Non vogliamo insegnare niente a nessuno, non abbiamo una linea politica, non sappiamo più quello che è giusto e quello che è sbagliato. Sappiamo solo osservare i comportamenti sociali e i tic nervosi della borghesia napoletana. Rispetto al primo ha certamente un taglio più cinematografico e si avvicina molto di più ad un vero e proprio musical.

Altra differenza sostanziale rispetto al precedente, è stato l’approccio più corale alla composizione e agli arrangiamenti …
Assolutamente. Tanto è vero che nelle note di copertina non sono riportati nemmeno gli autori dei singoli brani perché è difficile attribuire la paternità di ognuno di essi. Semplicemente i brani sono nati nell'arco di una settimana nella quale ci siamo visti ogni sera per cena a casa mia. Insomma, li abbiamo scritti mentre mangiavamo, bevevamo e fumavamo … Tartaglia che è qui con me, aggiunge: bivaccavamo... Quindi rispetto al primo disco già in fase di scrittura c’è stato un lavoro di insieme che poi si è esteso anche alle registrazioni. Penso a brani come “Canzone del padre”, “Sushi e Friariell” o “Camerieri” o “Mal’e Funk” in cui è difficile anche dire chi sia il solista. A parte l’amicizia, è da un anno che suoniamo insieme e il rapporto artistico tra noi si è consolidato molto di più. Oggi siamo molto più un collettivo di quanto non lo fossimo lo scorso anno. 

Il disco si apre con la trascinante “Ah Bello!”…
Questo brano è nato nei camerini del Monk a Roma. Io ero andato a fare un’intervista e i ragazzi, approfittando della mia assenza, hanno scritto questo brano. E’ un po’ una presa in giro perché raccoglie tutti i miei cliché, i miei modi di dire: “dove andiamo a mangiare? Addò Carmine a’purpetta?”, “sti uagliul’ stann’ semp tutt’ fumati e ‘a rivoluzione nunn’ ‘a fann”. Scherzando in una mezz’ora è nata la canzone e quando sono tornato mi hanno detto: “Oh abbiamo fatto una canzone ‘ngopp a te…”.

“E’ preciso muito amor” ci porta invece in Brasile..
Anche nel primo disco c’era “Jovano” che non era del nostro repertorio. In “Capitan Capitone e i Fratelli della Costa” avevo già tentato di far suonare i Galera de Rua ma non fu possibile e visto che il Brasile è una mia grande passione in questa occasione non potevano mancare. Tra l’altro questo brano lo conosco da moltissimo tempo e parla proprio del rapporto difficile con le donne di questo povero disgraziato, probabilmente senza neanche una lira, che deve accompagnare la sua fidanzata a fare compere e ogni volta che vede una vetrina rompe perché vuole comprare tutto, se no si mette a piangere. Insomma le cose tipiche della nostra visione maschilista e marinara del rapporto uomo-donna.

Si entra nel vivo con “Sushi & Friarielli” nella quale, con grande ironia, fate emergere il confronto sociale a partire dal menù del pranzo di nozze…
In questo senso riprende un po’ quello che avevo fatto con “In Vino Veritas”. Il confronto sociale parte proprio dal gusto del palato, dal modo in cui ci riempiamo in modo diverso lo stomaco. La cultura popolare del mangiare e quella borghese sono completamente differenti. Chi ha la pancia piena da generazioni è sempre a dieta, mangia la ‘nzalatella o ‘o sushi e romp ‘o jazz. Chi, invece, ha ereditato la fame, quando vede la frittata di maccheroni o la parmigiana ‘e mulignane non capisce più niente. Questo è il tratto fondamentale che divide i due mondi anche se si abita nello stesso luogo e nella stessa città. E’ un po’ come quello che accade in “Vacanze Intelligenti” di Alberto Sordi, quando i due protagonisti capitano nel ristorante macrobiotico che gli hanno consigliato i figli, laureati e diventati conformisti di sinistra, e ad un certo punto cominciano a mangiare fagioli con le cotiche, tracchie, e piano piano poi li seguono tutti i presenti che ordinano gli stessi piatti.

Anche in questo disco alla voce di Gnut è affidato il brano più poetico, “Stella ‘e mare” in cui al piano spicca Stefano Bollani…
Sollo scrive sempre questi testi d’amore e io gli sto dando un po’ addosso con questa storia. Gli dico sempre: “Basta con queste canzoni, scrivi un catalogo dello zoo, ma lui fa sempre queste cose poetiche, amorevoli”… (ride). In questo caso, però, sono stato io a chiedergli di scrivere una canzone d’amore in cui ci fosse il mare e tutto quello che ruotava intorno all’immaginario legato al mondo marinaro. Bollani che è un grande fan del primo disco di Capitan Capitone e di Gnut ci ha regalato questo splendido solo di pianoforte che abbiamo registrato alla Casa del Jazz a Roma.

C’è poi questa deviazione elettrica potente con “Bitch”…
E’ sempre Sollo ma questa volta con la sua anima punk di The Collettivo, insieme a Fabio Malfi, altro grande rocchettaro la cui idea iniziale è stato il punto di partenza, ma poi io ho cambiato tutto ed è uscito questo brano che immaginavamo dovesse essere la canzone dell’ex di lui e dell’ex di lei. Visto che poi Capitan Capitone sono io e di ex non ne ho proprio, questo discorso non poteva essere fatto..

Sara Sossia Sgueglia canta “Ti amerò più forte”…
E’ la canzone d’amore di Megaride, la sposa di Capitan Capitone e nasce da un’idea di Nelson che è l’unico tra noi a scrivere in italiano, visto che è del Vomero, ma poi l’abbiamo sviluppata tutti insieme. Anche il brano di Tartaglia è in italiano, e infatti è venuta una chiavica (ride).

Il brano centrale del disco è “La canzone del padre”. Com’è nato?
E’ uno dei primi brani a cui abbiamo pensato perché doveva essere quello in cui descrivevamo l’insofferenza della Napoli borghese, perbene e legalitaria. Quella di chi scende in centro e si innervosisce perché c’è il parcheggiatore abusivo, o la signore che vende le sigarette di contrabbando, ma poi sta sempre lì a fare discorsi su quanto dobbiamo voler bene agli immigrati, e su come la cultura rom vada difesa. Quando, però, si trovano il sottoproletario sotto casa, mettono la mano sul portafogli perché hanno paura di essere rapinati.

Nel brano si susseguono diverse citazioni...
Inizialmente la mia idea era quella di fare una canzone che ricalcasse lo stile dei cantautori degli anni Settanta ed Ottanta, e addirittura pensavamo di fare tutto il disco in cui i pezzi fossero solo scritti da noi, mentre ad interpretarli avremmo chiamato tutti quelli con cui ho collaborato in quarant’anni di turnismo. Poi ho pensato che, all’atto pratico, sarebbe stato complicato da organizzare nonostante la disponibilità dei vari cantanti, in quanto io più di dieci giorni in studio non riesco a starci.  Alla fine, pensando che tra i ragazzi c’erano dei clamorosi imitatori, mi è venuta questa idea di far fare Bennato ad uno, Vasco Rossi all’altro, James Senese ad un altro ancora… 
In particolare, questo brano descrive la storia del padre della sposa che ascolta Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Ivano Fossati, Fabrizio De André e che ha cresciuto la figlia tra le letture di Toni Negri, Noam Chomsky. Quando, però, si trova a contatto con i zozzosi come a noi sbotta con la sua spocchia e il suo schifo radical chic e cominicia a dire che aveva sognato altro per la figlia per la quale avrebbe voluto che sposasse un professore universitario e, invece, ora si ritrova come genero un poveraccio. Io e Tartaglia abbiamo lavorato sull’inciso impiegandoci cinque minuti perché l’idea era quella che il padre della sposa nel momento si incazzava doveva trasformarsi in un neomelodico, e per noi il riferimento è stato Giggino D’Alessio.  

Poi c’è anche Al Bano…
Albano è la figura centrale di tutto il disco. Il Carrisi è il nostro idolo, ma soprattutto perché fa il vino. E’ una persona troppo seria, non scherziamo (ride).

Al Bano è il deus ex machina che risolve la trama narrativa. E’ il complice che consente alla ciurma di fare l’esproprio a casa del suocero…
In un matrimonio di una famiglia radica chic e con soldi avrebbero invitato un cantautore come Francesco De Gregori, mentre in uno popolare il massimo non poteva che essere Al Bano. Sentirlo cantare “Quando il sole tornerà” è una cosa che scioglie il cuore. Un alternativa potevano essere Gigi D’Alessio o Gigi Finizio ma la levatura nazionale di Al Bano ce lo ha fatto preferire. 

Non poteva mancare le range fellon…
Ad un certo punto dovevamo descrivere in modo spersonalizzato il furto a casa dei genitori della sposa, della quale potrebbe parlarti Andrea Tartaglia che sta qua con me, ma lui non sa parlare (ride)… Se il primo disco era un inno alla pirateria nel parallelismo che può esserci tra l’ammutinamento dei marinai che buttano fuori gli ufficiali dalla nave con l’occupazione di una fabbrica, in questo caso volevamo dare una forma politica più divertita al tutto. Così è venuto fuori questo brano in cui si rivendica l’essere pirati in questo mondo sia esso un operaio o un informatico…

Altra novità è la presenza dei rapper napoletani come Pepp oh, Shaone, Speaker Cenzu, Marcello Coleman …
Nel disco precedente non erano presenti ma solo per una casualità. Questi dischi vengono fuori, così e chi c’è, c’è chi non c’è non c’è. La collaborazione con Shaone ha radici lontane nel tempo, mentre con Speaker Cenzou era una vita che ci dicevamo di fare prima o poi qualcosa insieme. C’è anche Marcello Coleman che conosco da quando avevamo quattordici anni. Abitavamo a cento metri di distanza l’uno dall’altro, ed ero molto amico dei suoi fratelli più grandi Lorenzo e Rosario. Abbiamo passato la gioventù ad ascoltare le stesse cose e a prendere freddo ai giardinetti. Pepp Oh avrebbe voluto fare qualcosa nel disco precedente, ma non ci fu il tempo. 
In questo caso ci siamo riusciti organizzandoci per tempo ed è nata “Camerieri” che ha due peculiarità. La prima è che per descrivere la vita del cameriere ho coinvolto Mariano “Bad Uan” Ferraro che ha un ristorante, Il Grifo, proprio al centro di Napoli. Poi ho voluto che la canzone fosse scritta per il novanta per cento in parlesia, cosa fatta assai raramente nella musica napoletana. A volte l’ha usata Viviani, altre volte Pino Daniele che ne ha ripreso qualche termine, ma una canzone in parlesia non esiste. Ho, così, dato questo ingrato compito ai ragazzi ed alla fine è venuto fuori un vero e proprio dizionario di parlesia. Questo è un linguaggio strepitoso e fenomenale, già nella scelta dei termini. Se già pensi a fumesia che vuol dire sigaretta o l’evera sott o’ scoglio che sarebbe il baffo, è di per sé una poesia. 

Il disco si conclude con un incursione nel mondo popolare con “La saltarella del Capitone”…
Ogni tanto una tarantella ci vuole. Per almeno quindici vent’anni da “Lavorare Stanca” in poi mi sono abbastanza rifiutato di aderire a questo movimento della gonna lunga, la naccherella e la tammorra in mano, perché non li sopportavo proprio. In questo caso ci azzeccava alla grande perché il matrimonio è una festa popolare. 

Ad intercalare i brani è ancora una volta Gino Fastidio…
Anche questa volta Gino Fastidio è arrivato in chiusura e poiché voleva fare un altro intervento, ci siamo inventati “Lost in Miano” che racconta la classica storia dell’invitato che si perde e non riesce ad arrivare alla festa di matrimonio.

Dal vivo suonerete il disco per intero?
Certamente e non penso sia una cosa molto difficile, anche perché siamo riusciti a suonare dal vivo anche alcuni brani di “Capitan Capitone e i Fratelli della Costa” che erano veramente complessi. Ovviamente tutto sarà più semplice se il disco avrà la stessa risposta del precedente e se il pubblico sentirà come suoi anche questi brani nuovi come ha fatto con “Le Range Fellon”, “L’ammore ‘o vero” e “Sanità”. Troveremo ovviamente anche un modo scenico per renderli dal vivo, che sarà come sempre molto cialtrona.

Quali sono i progetti in divenire?
Speriamo di suonare tanto dal vivo con “Capitan Capitone e i Parenti della Sposa” per far girare l’immagine di quella che è una fetta importante della musica della nostra città. Dal canto mio continuerò a suonare con Stefano Bollani e con il mio quintetto con Floriana Cangiano. Tartaglia sembra lanciato verso il futuro e farà una parte di musiche di un film holliwoodiano, ma lui è incapace e quindi lo butteranno fuori dopo le prime tre settimane di lavorazione (ride)...



Daniele Sepe – Capitan Capitone e i Parenti della Sposa (MVM/Goodfellas, 2017)
Da qualche tempo ormai, la scena musicale napoletana è attraversata in lungo ed in largo dalle scorrerie di una ciurma folle ed agguerrita di musicisti-pirati pronti a far valere tutto il loro talento nei loro continui assalti sonori alla scena live e a quella discografica. A guidarli è Daniele Sepe che, da marinaio navigato e rumorista di grande esperienza, li ha condotti con il suo inseparabile sax a vendere cara la pelle con “Capitan Capitone e i Fratelli della Costa”, diventato lo scorso anno uno degli album di culto della musica partenopea. Dopo una lunga navigazione nella quale hanno raccolto un grosso bottino, facendo incetta di apprezzamenti e successi, i bucanieri hanno deciso di tornare a solcare il mare con un nuovo lavoro. E’ nato, così, “Capitan Capitone e i Parenti della Sposa”, concept album dal taglio cinematografico nel quale il sassofonista napoletano, accompagnato dai suoi ormai inseparabili filibustieri, ha messo in scena la storia del matrimonio tra il Capitano e una signorina di buona famiglia. L’incontro e lo scontro tra la Napoli borghese e radical chic con quella popolare diventa il paradigma per mettere alla berlina la società moderna, i suoi stereotipi e le sue contraddizioni, dando vita ad un affresco imperdibile tanto dal punto di vista dell’intreccio narrativo, quanto da quello prettamente musicale. In questo senso il raggio della ricerca sonora si è ampliato ancor di più rispetto al disco precedente, così come ancor più nutrita è la ciurma che ora si compone di ben sessantanove elementi tra i quali spiccano: Dario Sansone, Andrea Tartaglia, Marcello Coleman, Roberto Colella, Tommaso Primo, Sara Sgueglia, Robertinho Bastos, Claudio “Gnut” Domestico, Alessio Sollo, Shaone, Speaker Cenzou, Pepp-Oh, Gino Fastidio, Nero Nelson, Raffaele Giglio e Stefano Bollani. Aperto dallo ska-surf “Ah bello!”, cantata da Daniele Sepe e caratterizzata da un travolgente refrain in salsa partenopea, l’album ci conduce dritto in Brasile con “E’ preciso muito amor” con la complicità dei Galera de Rua. Si torna di nuovo a bordo del vascello con la voce di Dario Sansone che guida la scanzonata “Battiamo le mani” al cui termine il Capitano rivela che convolerà presto a giuste nozze. “Lost in Miano” con la partecipazione di Gino Fastidio ci catapulta al fatidico giorno del matrimonio e la solennità degli ottoni di “Marcia nuziale” ci schiude le porte del ristorante con “Sushi & Friarielli”. E’ qui che si consuma il fatidico incontro tra i parenti della sposa e quelli del Capitano. Ad interrompere questo confronto, tutto giocato sul menù, arriva un brano che merita di finire dritto tra i classici della canzone napoletana, la dolcissima ballata jazzy “Stella ‘e mare” in cui spicca la superba prova vocale di Gnut, incorniciata dal solo di pianoforte di Stefano Bollani e dal sax di Daniele Sepe. Il ruvido punk di “Bitch” e il pop d’altri tempi “Ti Amerò Più Forte” cantata da Sara Sossia Sgueglia fanno da preludio alla geniale “La Canzone del Padre”, spina dorsale narrativa del disco, nella quale il sassofonista napoletano e i suoi sodali tirano fuori dal cilindro una collisione tra la canzone d’autore e quella neomelodica napoletana tra citazioni ed imitazioni eccellenti. Mentre in sala squillano gli smartphone evocati da quel gioiellino che è “Valzer dei telefonini”, entra in scena il deus ex machina del racconto: Al Bano, interpretato da Roberto Colella de La Maschera in “Ma che felicità”. Non poteva mancare il Le Range Fellon che questa volta indossa i panni latin nel trascinante “El cangrego peluso” guidando la ciurma all’esproprio proletario a casa del padre della sposa. La vendetta finale contro gli invitati al matrimonio si consuma per mano dei “Camerieri”, ovvero le migliori lame della scena rap napoletana, che in parlesia ci raccontano dei motivi che li hanno spinti a mettere del lassativo nella torta nuziale. Dopo l’irresistibile “Mal ‘e funk”, si arriva ai saluti degli sposi a cui segue l’incursione nella musica tradizionale con “La saltarella del Capitone”, conclusione perfetta per una festa popolare tutta da ascoltare. 



Salvatore Esposito

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