Ensemble di voci e cordofoni, fiati e percussioni, la Compagnie Rassegna è un’istituzione della fervida realtà musicale di Marsiglia. Il longevo collettivo multietnico ha sempre privilegiato il mondo mediterraneo, le diverse tradizioni musicali, sacre e profane, colte e popolari, dei Paesi che si affacciano sul nostro mare, con un’attenzione particolare verso la città di provenienza. Ora, con il quarto disco della Compagnia, quell'instancabile animatore culturale e eccellente chitarrista che risponde al nome di Bruno Allary, dopo numerosi anni di discografico silenzio, cambia totalmente approccio, incentrando il lavoro sul repertorio profano del sedicesimo secolo. Incontriamo Bruno Allary nella sala web del Babel Med Festival, l’Expo world e jazz marsigliese dove la Compagnie Rassegna ha appena ricevuto il premio dell'Accademia Charles Cros per «la bontà dell'operazione culturale, tesa creare un ponte fra le culture e a valorizzare le diversità musicali e culturali».
In questo quarto disco di Rassegna, ci sono diverse novità che riguardano la formazione, il sound e il repertorio. In scaletta molte cose non prettamente mediterranee, tu suoni anche molto la chitarra elettrica.... Se i primi dischi erano una sorta di fotografia musicale di Marsiglia, qual è il nuovo obiettivo?
Dopo diciassette anni di attività ci siamo resi conto che dovevamo spingere i nostri confini al di là del semplice incrocio di culture. Eliminare le opposizioni come tradizione vs. modernità o musica colta vs. musica popolare o ancora musica modale vs musica tonale, musica scritta vs musica di tradizione orale. Il punto di partenza è che la musica appartiene a tutti, musicisti e ascoltatori, e nostro obiettivo e abbattere le barriere fra le culture. Nel sedicesimo secolo, c'era una circolazione dei saperi musicali e mai come in quel periodo il confine tra popolare e colto, fra monodia e polifonia è stato così labile. Quindi perché non affrontare anche il repertorio inglese del cinquecento? Viaggiatori, pellegrini, musicisti arrivavano in Francia da Spagna, Italia, Fiandre e anche dall'Inghilterra.
Quindi anche i confini geo-politici sono stati abbattuti.
Per primi ! Le barriere geografiche non sono interessanti, oggi come allora. I confini non erano gli stessi di oggi nel sedicesimo secolo. La riproposizione di musiche del passato non può essere solo un'operazione nostalgica: tempo storico, spazio geografico, lingue sono aspetti che a noi interessa mettere insieme, ma detesto il termine fusione che oggi è tanto di moda; mi piace che le varie componenti vengano messe in tensione perché possano ricevere l'attenzione dell'ascoltatore e del pubblico. Metterle in tensione per valorizzarle, non per mescolarle in un'operazione fine a se stessa. Anche gli strumenti sono moderni e antichi, popolari e colti. Chitarra barocca e chitarra elettrica insieme. Perché no? La cosa importante è sapere dove stai andando, quale è il tuo obiettivo, non mettere cose insieme alla rinfusa per il gusto perverso di fare una cosa nuova come molte operazioni di fusione che si sentono. Non fusione, non con-fusione, non separazione ma tensione, perché tutte le componenti, ogni singola voce e ogni singolo strumento possano rendere al meglio insieme.
In Francia oggi questo tipo di operazioni che mettono insieme culture diverse sono la normalità...
Sì e no. Oggi c'è una parte politica che prefigura i rischi della sostituzione della nostra cultura con quella dello straniero: la cultura coranica che vorrebbe rimpiazzare quella cristiana. Trovo veramente sorpassati questi concetti, il replacement, l'assimilatiòn.... Mettiamo le componenti nella giusta tensione e creiamo i presupposti della convivenza delle culture. Voglio sottolineare che noi non vogliamo mettere le cose in opposizione. Non vogliamo essere messi di fronte a una scelta, che qualcuno, agli alti livelli, ha già fatto per noi. Vogliamo unire, non dividere. Non voglio stare da questa parte o da quell'altra , voglio essere libero di muovermi in ogni parte per prendere il meglio di tutto.
Il disco, come sound, è radicalmente diverso dalle altre incisioni, molto più curato anche negli arrangiamenti strumentali.
I tre dischi precedenti sono tutti incisi fra il 2003 e il 2006. Per fare questo ci sono voluti dieci anni e abbiamo avuto il tempo di maturare il repertorio e rodare questa nuova formazione. Chiaramente, passato questo lasso di tempo e arrivata per me la maturità – ho 47 anni – il tipo di energia e di focus sul progetto sono diversi rispetto, se vuoi, all'ingenuità del primo disco. Invecchiare porta anche delle qualità.
Cie Rassegna – Il Sole non si Muove (Buda Musique, 2017)
La Compagnia Rassegna, è ormai un'istituzione nella realtà musicale di Marsiglia. In 17 anni di attività in questo collettivo multi-etnico sono passati alcune delle eccellenze musicali orbitanti intorno alla metropoli del sud della Francia: musicisti gitani, arabi, italiani, corsi, spagnoli, greci…. Fra questi il corso Maxime Merlandi e il provenzale Renat Sette. Per il quarto disco della Compagnia, quell'instancabile animatore culturale e eccellente chitarrista che risponde al nome di Bruno Allary, dopo numerosi anni di discografico silenzio, cambia totalmente approccio. Se i precedenti lavori erano in qualche maniera una fotografia musicale di Marsiglia, città di mare e di musica, l'ultimo lavoro “Il Sole non si Muove” alza l'asticella e prova a focalizzarsi sul repertorio profano del Rinascimento, più esattamente del sedicesimo secolo, secolo in cui l'opposizione fra colto e popolare è quanto mai labile. Tante le novità introdotte in questo nuovo bellissimo lavoro: innanzitutto la veste strumentale, mai così curata, tenendo presente che Rassegna è storicamente un ensemble di voci, con l'introduzione dei flauti bulgari kaval, suonati da un'eccezionale Isabelle Courroy, e della viola da gamba di Mireille Collignon; poi il repertorio, che esce dai confini dell'area mediterranea per arrivare al Portogallo (altra novità la voce di Carina Salvado) e persino all'inghilterra con alcune arie elisabettiane equamente divise fra le tre voci femminili, Sylvie Paz (ex Barrio Chino), Carine Lotta e la stessa Salvado ; infine il leader Bruno Allary si esibisce non solo alla chitarra flamenca ma anche a quella barocca e a quella elettrica e persino alla voce nel brano provenzale “Ode sur la Misere et la Pauvretè”. Il disco si apre con la frottola di Bartolomeo Tromboncino, “Non va l'Acqua al mio Gran foco” che la chitarra elettrica lega al brano successivo, la pavana di John Dowland “Flow the Tears”, cantata in maniera magistrale dalla cantante di origine siciliana Carine Lotta, davvero uno dei brani più belli del disco. Di Dowland è presente anche la celebre “Come Again”, divisa in tre parti e accompagnata dal solo basso elettrico (elegantissimo). Anche la frottola viene doppiata da “Vale Diva” . Il repertorio iberico e lusitano viene rappresentato dalla ballata “La Doncella Guerrera” e dalle portoghesi “Dos Estrellas Le Siguen” e “Nao Tragais”, seguita da una kopanitsa guidata dai flauti di Isabelle Courroy. La quota araba è affidata al bravo Fouad Didi, membro di lungo corso di Rassegna e leader della Tarab Orchestra , orchestra algerina da decenni operante in Francia, con “Salouni Ya Alhe el Hawa”, in stile Hawzi. Altro brano da segnalare “Three Ravens” che sembra uscito direttamente da qualche oscuro disco di folk revival britannico degli anni '70. In gran parte dei brani le voci si alternano creano un'interessante gamma di diversi timbri. E sono tutte belle voci, con una menzione per Sylvie Paz e Carine Lotta. Davvero un bel disco, insignito giustamente del premio dell'Accademia Charles Cros come uno dei migliori dischi dell'anno, premio consegnato a Rassegna durante l'ultimo Babel Med Expo a Marsiglia.
Gianluca Dessì