Francesco De Gregori – Sotto Il Vulcano (Caravan/F&P Group Srl/Sony, 2017)

“Chi fa il mio mestiere ha la possibilità che per esempio il pittore non ha. Il pittore una volta che ha fatto un quadro, lo ha venuto, non può andare più ad aggiungere una pennellata. Anche il regista che ha fatto un film, una volta che è stampato, rimane quello. Invece chi fa il mio mestiere può anche cambiare una canzone, questo è il privilegio. Il mio mestiere ha tanti svantaggi, ma anche questo vantaggio, allora questo me lo prendo”. Così Francesco De Gregori sottolineava l’importanza della dimensione live nella sua concezione del fare musica, nel corso di una intervista rilasciata a Tutto oltre un ventennio fa. Seguendo il sentiero tracciato da Bob Dylan con il suo “Never Ending Tour”, il cantautore romano ha da lungo tempo sposato la concezione della forma canzone come materia viva assoggettata al continuo mutamento del tempo. Non esistono versioni definitive perché ciò che viene fissato in studio sul palco può assumere tratti, sfumature e persino significati differenti, riflettendo gli umori, le sensazioni e le emozioni del momento, e questo a prescindere anche dall’intenzione dell’autore stesso. A differenza, però, del cantautore americano, sempre restio a pubblicare live, Francesco De Gregori ha scelto di dar vita ad una vera e propria discografia parallela di album dal vivo con cui fissare su disco il continuo work in progress (locuzione scelta anche come titolo del famoso doppio live con Lucio Dalla) sulle sue canzoni. Dalla trilogia pubblicata nel 1990 passando per “Il Bandito e il Campione”, “Bootleg” e “La Valigia dell’Attore”, fino ai pregevoli “Fuoco Amico” e “Left & Right” abbiamo avuto modo di ascoltare istantanee sonore preziose in cui, più della cura verso i suoni, a colpire è sempre lo spirito che le attraversa. Così, a distanza di cinque anni da “Pubs and Clubs - Live @ the Place”, non ci sorprende la pubblicazione di “Sotto Il Vulcano”, doppio album live, registrato il 27 agosto 2016 nella splendida cornice del Teatro Antico di Taormina nel corso dell’”Amore e Furto Tour”. 
La genesi di questo progetto è stata, però, quasi casuale. Qualche giorno dopo il concerto, infatti, il cantautore romano parlando con il “capobanda” Guido Guglielminetti si era rammaricato per non aver registrato la serata, in tutta risposta il bassista gli rivelò che al contrario era stata effettuata, senza che lui lo sapesse. Dopo aver ascoltato le tracce grezze ed aver superato i dubbi sul pubblicare l’ennesimo disco dal vivo, l’idea di Francesco De Gregori era quella di farlo uscire solo in digitale, ma la coesione e l’intensità di suono raggiunta con il gruppo meritavano di essere documentate in modo più tangibile. Eccoci, quindi, tra le mani questo nuovo album live che solo in apparenza sembra non rivelarci nulla di nuovo, a partire dalla scelta dei brani che mescolano grandi classici a composizioni più note. Passando all’ascolto si scopre, però, una rinnovata densità del sound arricchito dalle nuance impresse dal recente innesto della sezione di fiati, già sperimentata in studio, ma soprattutto una intensità interpretativa come non ci capitava di ascoltare da tempo. Ad aprire il disco è l’incanto acustico denso di lirismo di “Pezzi di vetro” a cui segue una torrida “Agnello di Dio” con i fiati a giganteggiare sulle trame elettriche delle chitarre. Riascoltiamo, poi, la storia di Nino in “Leva calcistica della classe ‘68” e una “Vai in Africa, Celestino!”, tutta giocata sul dialogo tra pianoforte e chitarre, mentre “La Storia” calata nella realtà che ci circonda sembra assumere un tratto più amaro e riflessivo. Si prosegue con la rilettura in forma di country waltz di “Alice”, “Caterina e “Sempre per Sempre” che si lasciano ascoltare con piacere ed un pizzico di emozione. Non manca uno spaccato Dylaniano da “Amore e Furto” con “Servire Qualcuno”, “Un angioletto come te” e “Come il giorno”, mentre dal passato arrivano le eccellenti rese di “Abbigliamento di un fuochista”, con tanto di accento siciliano ad arricchire l’interpretazione, e la sempreverde “Generale”. Se il violino di Elena Cirillo ci guida nella cavalcata elettrica de “Il Panorama di Betlemme”, “Sotto le stelle del Messico a trapanar” risplende con la complicità dei fiati. Introdotta dall’ormai immancabile dixie “Titanic” ci conduce verso il finale con “Rimmel” e il ricordo dell’amico Lucio Dalla in “4 marzo 1943”: “L'estate scorsa, mentre ero in Sicilia, sono capitato vicino a casa di Dalla, ai piedi dell'Etna, e mi è venuta in mente "4 marzo 1943". Il giorno dopo l'abbiamo messa nella scaletta e la sera l'abbiamo spinta in alto. Non ho pensato a una celebrazione di rito, a un omaggio pubblico o a niente del genere. Solo a questa grande canzone, a come la cantava Lucio e al tempo che è passato senza toccarla”. La struggente rilettura pianistica de “La Donna Cannone” e “Buonanotte Fiorellino” sulla melodia di “Rainy Day Women #12&35” di Bob Dylan, chiudono questa splendida fotografia di Francesco De Gregori dal vivo, un album live come in Italia nessun altro sembra più essere capace di fare. 


Salvatore Esposito

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