Shirley Collins – Lodestar (Domino, 2016)

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Il recente disco della ottuagenaria Shirley Collins, “uno dei tesori nazionali della cultura britannica” (sono parole di Billy Bragg) ha conseguito importanti riconoscimenti da tutta la stampa specializzata: disco dell'anno per fRroots e per The Wire (rivista quest'ultima decisamante avant-garde come gusto e approccio) e recensioni mai meno che entusiastiche. “Lodestar” esce a trentotto anni di distanza dall'ultimo “Amaranth”, che segnava anche l'ingresso della cantante nel tunnel della disfonia, cioè della sopraggiunta impossibilità di cantare. Devo dire che il suo timbro vocale e l'intonazione spesso approssimativa (tratto comune questo ad altre grandi del revival britannico degli anni '60, dalla sublime Ann Briggs, a Norma e Lal Waterson) non hanno mai suscitato in me grande entusiasmo, pur trovando interessante l'abbinamento fra la sua voce e gli strumenti elettrici della Albion Band nell' acclamatissimo disco “No Roses” del 1971, mentre l'epocale e pionieristico “Folk Roots, New Routes”, condiviso con la meravigliosa chitarra di Davey Graham, è a tutt'oggi uno dei più interessanti e convincenti esempi di contaminazioni musicali: tradizione inglese, blues e jazz. Ma il ritorno sulla scena, dopo quasi quarant'anni, di una delle voci storiche del folk inglese è comunque motivo di interesse. Il nuovo “Lodestar”, va detto subito, è un capolavoro di raffinatezza. Arrangiamenti centellinati, dove si è lavorato per sottrazione per valorizzare una voce che si presenta ben diversa rispetto ai lavori che l'hanno resa famosa: 
decisamente più cupa e con un estensione che copre ottave decisamente più basse rispetto alle origini, più austera e assolutamente incastonata negli arrangiamenti minimali che Ian Kearey, polistrumentista ex Oysterband, e Ossian Brown (componente di Cyglobe, band che coniuga ambient e suoni world con un certo gusto e destrezza) hanno cucito attorno alla voce e all'indubbio carisma della Collins. L'album, che contiene brani inglesi, americani e la perla francofona di “Sur le Bord de l'Eau”, parte con il medley “Awake Awake/The Split Ash Tree/May Carol/Southover”, una suite di undici minuti con ghironda, mandolino e concertina in grande evidenza. La scaletta procede con una serie di classici, già sfruttati da varie generazioni di revivalisti ma, ripeto, sempre arrangiati ed eseguiti con gran gusto e passione, come “Banks of Green Willow”, l'americana “Pretty Polly” e “Death and the Lady”, già cantata da Shirley in tandem con la sorella dolly in un vecchio disco per la Harvest. Fra i brani da segnalare, sicuramente la murder-ballad “Cruel Lincoln” e la conclusiva “Rich Irish Lady”, impreziosita dalla reel finale. Un album bello e importante, all'uscita del quale è abbinato un tour che vedrà la Collins protagonista, fra l'altro, al festival Celtic Connections di Glasgow e in un concerto tutto suo al Barbican di Londra a metà febbraio. L'album è pubblicato dalla Domino, etichetta di area decisamente non folk, che ha nel proprio roster artisti diversissimi fra loro come Robert Wyatt, Bonnie Prince Billy, i Franz Ferdinand e Anna Calvi. 


Gianluca Dessì 

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