Intervista con Otello Profazio, Premio Tenco 2016 alla carriera

Dal 20 al 22 di ottobre torna il Premio Tenco, ovvero la rassegna della canzone d’Autore organizzata dal Club Tenco al Teatro Ariston di Sanremo, per consegnare le Targhe Tenco alle migliori uscite discografiche dell’anno, ed i Premi Tenco alla carriera. Ed il Premio Tenco quest’anno sarà assegnato ad uno dei cantautori più importanti del panorama musicale italiano. Ottanta anni di età e più di cinquanta di carriera, uno dei padri della riscoperta della musica popolare del sud Italia, autore di canzoni talmente famose da essere sovente considerate a loro volta brani tradizionali. E’ stato definito l’ultimo dei cantastorie: Otello Profazio. “L’ultimo dei cantastorie, speriamo di non essere l’ultimo e che qualcuno segua la mia pista, dopo quella dei grani Orazio Strano e Ciccio Busacca. Io sono molto contento perché è la prima volta che un italiano, per giunta calabrese, vince questo premio che era monopolio degli americani”, sottolinea il cantastorie calabrese, prima di cominciare la nostra intervista nella quale abbiamo ripercorso le tappe principali della sua carriera, senza dimenticare il disco con cui gli ha reso omaggio Peppe Voltarelli

Partiamo dal Premio Tenco: cosa ha provato quando l’hanno chiamata per annunciarle che quest’anno il premio sarebbe andato a lei?
Sono rimasto contentissimo, anche perché con me sarà premiato con la Targa Tenco anche Peppe Voltarelli che ha fatto un disco dedicato a me, “Voltarelli canta Profazio”, che ha sconfitto perfino Peppe Barra e Francesco De Gregori. La contentezza lì per lì non mi ha fatto dire però che io questo premio me lo aspettavo quindici anni fa. Non è che è cambiato niente, però allora c’erano gli antropologi e gli etnologi che avevano delle remore sulla mia attività, mi accusavano di edulcorare. Mi dicevano che la mia attività più importante è stata quella di ricercatore, perché io ho registrato 300 ore di documenti audio autentici, oltre alle cose che ho poi riproposto io. E poi ho fatto trasmissioni alla radio (“Quando la gente canta”) e alla televisione per venti anni. Ho tenuto a battesimo cantastorie eccezionali, come Matteo Salvatore, Rosa Balistreri, il Duo di Piadena

Molto importante è stato anche il lavoro su Ignazio Buttitta, uno dei primi esempi in Italia in cui un cantante decide di scrivere sui testi di un poeta.
Non solo sui suoi, ho scritto anche sui versi di Quasimodo, in particolare ho musicato L’alto veliero. Per quanto riguarda Buttitta, per me è veramente un grandissimo poeta, e chiamarlo poeta dialettale è vergognoso. Per me è il Dante Alighieri siciliano. Quando io prendo nel mio repertorio un testo, deve “essere mio”. Buttitta scriveva di getto, e scriveva delle cose immusicabili. Io, tranne alcune che ho lasciato integre come le aveva scritte Buttitta, ho sintetizzato i suoi testi, e se non erano già capolavori prima, lo sono diventati dopo. Tra l’altro, i traduttori di Buttitta hanno tradotto le sintesi che io ho fatto di Buttitta stesso, il quale era contento di questa mia manipolazione, di questi abbellimenti. Però ci sono dei capolavori di Buttitta, come “Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali”, che poi dopo di me incise anche Ciccio Busacca, oppure “Il treno del sole”, che riguarda la tragedia di Marcinelle, dove morirono moltissimi italiani nella miniera in Belgio, e tante altre bellissime ballate, che erano dei poemi, e io le ho ridotte a canzone. Una di queste, tra le più belle, con una musica che poi è stata la colonna sonora de “Le terre del sacramento”, la canta anche Voltarelli nel suo nuovo disco.

Un altro dei  suoi tanti capolavori è stato “L’Italia cantata dal Sud”, ristampato qualche anno fa per il quarantennale dell’uscita...
Prima di tanti altri, che poi hanno scritto libri spiegando come l’intervento piemontese sia stato distruttivo per il Sud, io già prima, negli anni ’60, ero uscito con il disco “L’Italia cantata dal Sud”, che era piaciuto tanto a Carlo Levi che ne aveva fatto la presentazione. Un disco in cui si parla di Garibaldi, emigrazione, brigantaggio, e si dice, violentemente, che “li piemontesi so come li pulci, vannu unni vonnu e sucanu a unni ponnu”.

Un altro dei temi importanti è quello dell’emigrazione. Ne La canzone dell’emigrante descriveva la società dei primi del ‘900, ma sembra che parli di oggi.
Ce ne sono in realtà due. Una antichissima, La canzone dell’emigrante, che fu ripresa da Ennio Morricone come colonna sonora di un film in cui si parlava anche di emigrazione, e poi c’era, famosissima, la ballata epica dell’emigrazione, come l’ho chiamata io, che ha come titolo “Mannaja all'ingegneri”, “Mannaggia all’ingegnere che ha inventato la ferrovia” dicevano i nostri emigranti, “che se non faceva i mezzi, all’America non se ne ia”. E poi se la prendevano con Cristoforo Colombo: “Cristofiru Culumbu, chi facisti? La mugghi giuvintù tu rruvinasti. Ed èu chi vinni ‘mi passu lu mari Cu chiddu lignu niru di vapuri!/L'America ch'è ricca di danari/è girata di paddi e cannuni, e li mugghieri di li "mericanni"/chianginu forti chi rristarusuli.

Nelle sue canzoni ha sempre usato molto più l’arma dell’ironia che non quella della retorica. C’è anche nostalgia dell’emigrante per il proprio paese? 
Io credo di essere il più anti retorico che si possa essere. Noi del sud ci vantiamo e diciamo sempre di essere nostalgici, quasi fossimo i proprietari della nostalgia. E’ vero, c’è la nostalgia, ma non per il sud com’è oggi, ma del paese di una volta, e della gente che c’era una volta, quando eravamo bambini. Siamo nostalgici della fanciullezza, ancorché povera. Ma non siamo i proprietari della nostalgia. Io ho visto Americani piangere di nostalgia per New York. La nostalgia è proprietà di tutti. 

Un altro tema che non è mai mancato nelle sue opere, ed è un tema centrale non solo per il sud Italia ma per tutto il nostro paese, è quello della mafia. E’ cambiato qualcosa da cinquant’anni fa ad oggi?
No, purtroppo io da Calabrese, credo che non sia cambiato granché, e che sia difficile che cambi qualcosa, perché anche la classe politica non aiuta. Intendiamoci, non è che la classe politica del sud sia peggiore di quella del nord, quella del nord magari è più fine. Un po’ come la DC di una volta, in cui le ruberie non si vedevano, invece quelle del PSI erano evidenti. Voglio aggiungere che io, di ideologia, sono socialista, non comunista, ma sono forse il cantante che più si è esibito nei festival dell’Unità, compresi quelli nazionali di Firenze, Milano e Torino, e perfino quello di Novellara, il più grande festival dell’Unità al quale ho partecipato. Io non sono comunista, e non credo al comunismo, però mi hanno sempre commosso quelli che ci credevano, non i “dalemi”, parlo dei comunisti veri, come Pietro Ingrao. Il mio prossimo disco si intitola La Storia, e inizia con la ballata consolatoria del popolo rosso: “ non t’avvilire compagno, quanto ti sembra di arrivare, sei ancora all’inizio”Ecco, per cambiare le cose ci vuole del tempo, secondo me è difficile arrivare al comunismo, ma sono lodevoli quelli che ci credono. 

Al Tenco a Sanremo nella serata del 20 ottobre ci sarà anche Peppe Voltarelli, premiato con la Targa Tenco per il disco “Voltarelli canta Profazio”, dedicato alle sue canzoni. Sarà l’occasione anche per suonare insieme?
Si, ci saranno tre parti. La mia, poi Voltarelli che canterà due canzoni del disco, e poi faremo in chiusura, insieme, alcune canzoni mie.


Giorgio Zito
in collaborazione con RadioGold

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