Alla Bua – Salenticidio (Musicomania Produzioni Discografiche, 2016)

Storica formazione della scena musicale salentina, gli Alla Bua muovono il loro primi passi nel 1990 inizialmente tra le ronde della storica festa di San Rocco a Torrepaduli, nelle notti itineranti del canto pasquale di Santu Lazzaru, e nelle feste nelle corti tra vino, voci e tamburi a cornice, e pian piano si sono evoluti in una formazione più stabile, che li ha condotti nove anni dopo al debutto discografico con “Stella Lucente”. Animati dal desiderio di riproporre e valorizzare la tradizione musicale salentina, e seguendo la linea programmatica incisa nel loro nome - che in griko vuol dire altra cura, altra via - gli Alla Bua hanno improntato il loro cammino artistico verso l’esaltazione del potere curativo e liberatorio della musica sul palco. Ad una intensa attività live tra l’Italia e l’estero ha corrisposto un percorso discografico, progressivamente caratterizzato dalla presenza di brani originali, e che trova la sua espressione più compiuta nel recente “Salenticidio”. Nel corso dell’ultimo appuntamento della Rassegna La Notte Incanta, evento collaterale alla ragnatela di concerti del Festival Itinerante de La Notte della Taranta, abbiamo intervistato Gigi Toma, fondatore e percussionista degli Alla Bua, per approfondire insieme a lui questo nuovo lavoro che celebra i vent’anni di attività della formazione salentina.

Come nasce “Salenticidio”…
Nasce come sono nati tutti i dischi di Alla Bua, cioè attraverso un minuzioso lavoro di gruppo, tanto dal punto di vista musicale, quanto da quello della ricerca sui testi. In linea generale abbiamo seguito il metodo di sempre, senza aggiungere nulla di speciale, l’unica particolarità consiste in una maggiore attenzione verso i temi di attualità, come nel caso del brano che da il titolo al disco “Salenticidio”, nato su un testo di Giovanni Epifani. Dal punto prettamente musicale abbiamo cercato di sviluppare sonorità nuove, diverse anche per assecondare le tematiche impegnate di alcuni brani.

Dal 1990 ad oggi come si è evoluto il suono degli Alla Bua?
Il nostro suono si è evoluto in modo naturale, così come si evolvono i costumi e la società. E’ chiaro, però, che per aumentare sempre di più il livello qualitativo è stato necessario inserire man mano nuovi strumentisti in grado di misurarsi con difficoltà e contesti differenti. In questo non voglio parlare a titolo personale perché gli Alla Bua sono un gruppo forte, e solo perché sono il più anziano di età mi etichettano come leader, ma in realtà non esiste una guida unica, ma un lavoro di un gruppo costruito, negli anni, grazie a quei musicisti giovani che sono presenti attualmente nella line-up. 

Ci puoi presentare i musicisti di Alla Bua?
Cercherò di farlo seguendo l’anzianità in modo da non creare disparità. Alle chitarre abbiamo Dario Marti, Fiore Maggiulli ai tamburi a cornice e alla voce, Irene Toma alla voce e all’oboe, Francesco Coluccia alla fisarmonica e Michele Calogiuri al violino. 

Quali sono le principali differenze tra “Salenticidio” e i dischi precedenti?
Non credo ci siano grandi differenze, credo che questo nuovo album sia stato un po’ più pensato e ricercato e meno improntato all’improvvisazione. Abbiamo lavorato molto sulle musiche, curando maggiormente gli arrangiamenti, cercando di rinnovare in qualche modo il nostro suono. La particolarità degli Alla Bua è proprio questa, cercare di esplorare nuove sonorità senza dimenticare da dove arriviamo. Le nostre radici sono ben salde e non possiamo dimenticarle mai. Qualcuno diceva “chi dimentica il proprio passato è condannato a riviverlo” ed io sinceramente non voglio riviverlo. E’ inutile che stiamo qui a parlare del passato, della musicalità di una volta, perché quelle condizioni in cui si è sviluppata la nostra musica, non ci sono più fortunatamente. E’ impossibile pensare di ritornare nelle campagne e lavorare con la zappa per dodici, tredici, quattordici ore sotto al sole. Questo non esiste più, e di conseguenza non capisco perché la musica debba rimanere ancorata a quelle situazioni che non ci appartengono più non solo come salentini ma anche come popolo del Sud. 
Non abbiamo più bisogno del morso della Tarantola per andare in una piazza e ballare liberamente. Questo ritengo sia una reazione molto forte per un popolo sottomesso per anni in queste condizioni. Le donne non potevano uscire di casa, o ancora era assurdo vederle uscire senza il fazzoletto, il cosiddetto “maccaturo”, in testa. Se la nostra musica ha contribuito in qualche modo a tutto questo, io sono veramente molto fiero.

Torniamo più direttamente a “Salenticidio”, un brano legato ad una storia molto forte che ha segnato il vissuto dell’autore del testo…
Interpretare questo brano è stata per noi un’emozione fortissima, in quanto in esso è racchiusa una vicenda realmente accaduta. Ci ha colpito molto anche l’invito a reagire, alla resistenza, infatti ad un certo punto nel brano c’è un verso che dice: “alza la capu e difendi la terra” (alza la testa e difendi la terra), e questa voglia di proteggere il nostro territorio è un sentimento che sentiamo tutti all’interno del gruppo. Tutti coloro che hanno ascoltato il brano hanno sottolineato proprio questo significato duplice, non solo la storia toccante che racchiude, ma anche l’invito a difendere il Salento. In “Salenticidio” è racchiuso un po’ il lato scuro della nostra terra, i temi che tendiamo a dimenticare a favore del divertimento. Passate le vacanze estive, le feste in piazza, le sagre, noi torniamo ogni giorno a confrontarci con Cerano, con l’Ilva, con la provincia di Lecce che ha il tasso più alto di tumore ai polmoni, o ancora lo scempio della TAP. 
C’è un inquinamento nascosto, mascherato, ma in realtà esiste ed è tanto forte da sfregiare in modo irrimediabile questa terra. Il testo di Giovanni Epifani in questo senso lancia un messaggio molto chiaro e molto forte.

Quali sono gli altri temi del disco?
Innanzitutto c’è quello più scontato che è l’amore inteso come passione verso la persona amata, ma anche verso la propria terra, poi ovviamente c’è anche il tema del lavoro. Abbiamo inserito anche un brano strumentale per evidenziare proprio questa fase di ricerca sulla musicalità che ha caratterizzato il disco. 

Nel dico è presente anche una bella versione di “Klama” di Franco Corlianò, poeta ed autore della Grecìa Salentina, scomparso qualche anno fa…
La scelta di questo brano è stata di Dario Marti che rappresenta l’anima grika del gruppo, personalmente non avrei mai potuto interpretarlo, non avendo la conoscenza della lingua. Dario conosceva personalmente Franco Corlianò, il quale lo ha sempre invitato a cantare questo brano, e finalmente in questo disco abbiamo deciso di inserirla. I brani della Grecìa Salentina hanno un anima profonda, da riscoprire, qualcosa che va ben oltre il ritornello cantato in coro di Kalinifta. Interpretare questa canzone ha significato riscoprire l’anima profonda di questa canzone, non so se ci siamo riusciti ma certamente ci abbiamo provato.

L’attitudine degli Alla Bua è quella del palco. Ci puoi raccontare com’è il vostro concerto di presentazione di “Salenticidio”?
Gli Alla Bua sono quelli di sempre con il loro grande e forte ritmo. Ad agosto abbiamo suonato ogni sera per trenta giorni, e continueremo così fino alla fine di ottobre, quando saremo a Zurigo per l’ultima data di questo tour, per quest’anno. Poi non sappiamo cosa accadrà. Prima di essere un gruppo, gli Alla Bua sono un gruppo di amici nella vita, e questa è la nostra forza. Basta solo uno sguardo e sul palco ci capiamo al volo. Il nostro tour non finisce mai, è come incontrarsi ogni giorno, raccontarsi le storie, le cose. Non ci pesa per niente andare in giro, e siamo molto presi dalla nostra attività dal vivo, perché si può andare in una piazza dove ci sono diecimila persone e quella in cui arrivi a poco meno di duecento, o dove trovi solo gli anziani del paese. La gioia di suonare per queste persone è talmente grande, che finito il concerto ti senti veramente bene, e riprendi la carica. 



Alla Bua – Salenticidio (Musicomania Produzioni Discografiche, 2016)
A tre anni di distanza da “Russu Te Sira”, i salentini Alla Bua tornano con “Salenticidio”, nuovo album nel quale hanno raccolto undici brani di cui ben dieci originali, che nel loro insieme compongono una sorta di concept album, nel quale il travolgente ritmo dei tamburi a cornice, diventa lo strumento per “per trasmettere l’importanza fondamentale della tutela e salvaguardia del nostro ambiente”. “Questo disco nasce con l’intento di trasmettere la necessità di andare oltre la bellezza del mare e l’esigenza di far corrispondere alle acque cristalline lo specchio di una società sempre più consapevole e protagonista del proprio futuro”, si legge nelle note di presentazione dell’album, e per comprendere tutto ciò basta ascoltare la title-track, il cui testo di Giovanni Epifani rappresenta il crudo e struggente ritratto di un Salento sfregiato dai fumi tossici di Cerano e dell’ILVA di Taranto e segnato dall’aumento dei tumori, un Salento diverso da quello delle estati da cartolina. Ben lungi dalla museizzazione della tradizione, gli Alla Bua attraverso i brani di “Salenticidio” intendono esorcizzare i mali e le sofferenze del presente, proprio come la pizzica pizzica liberava i tarantati dal morso del ragno. L’ascolto rivela un lavoro sincero, intriso di amore e passione per la tradizione, ma allo stesso tempo animato dal desiderio di raccontare il presente, intrecciando gli stilemi della tradizione con le sonorità del presente. Gli arrangiamenti si reggono sull’intreccio tra la fisarmonica di Francesco Coluccia, il violino di Michele Calogiuri e la chitarra di Dario Marti, sostenuti dal ritmo incessante dei tamburi a cornice di Fiore Maggiuli, che fanno da cornice perfetta per le voci di Irene e Gigi Toma. Aperto dal canto alla stisa di Irene Toma che intona il tradizionale “La Tabaccara”, il disco mette subito in fila “Chiazza”, “Maletiempu” e “Terra Russa” tre pizziche trascinanti ed intense che fanno da preludio al canto d’amore “Core Meu” e alla già citata “Salenticidio”. La seconda parte si apre con il ritmo coinvolgente della pizzica pizzica d’amore “Eccume” e con la bella versione del canto in griko “Clama” di Franco Corlianò. Il gustoso trittico composto da “Strignu”, “Suspiri” e “Ceddru” completano un lavoro che certamente verrà ricordato per essere uno dei più rappresentativi della formazione salentina.


Salvatore Esposito

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