Suoni dalla Polonia, dalla tradizione al crossover: Orkiestra Świętego Mikołaja – Mody i Kody (Dalmafon, 2016)/Dagadana – Meridian 68 (Karrot Kommando Records, 2016)/Maciej Rychły, Elisabeth Seitza e Mateusz Rychły – Uwolnione dźwięki/Released sounds (NRA, 2015)

Dopo tredici album in ventotto anni di attività, che sono un bel traguardo, non è facile trovare ancora parole per la band di Lublino, che è stata seminale nella scena neo tradizionale polacca. L’Orkiestra Świętego Mikołaja (vale a dire l’Orchestra San Nicola) è una vera e propria istituzione, un laboratorio musicale per la disseminazione delle espressioni etnofoniche (dalla Rutenia al resto della Polonia), curatori di un festival musicale (Mikołajke Folkowe) e propulsori di altre attività mediatiche che affiancano le produzioni discografiche. L’Orchestra è stata tra i primi a superare l’assetto degli ensemble di danza e canto vestiti di sgargianti costumi, istituzionalizzati nella Polonia del socialismo reale che, in realtà, traducevano l’ideologia sul mondo popolare e il pervasivo controllo culturale da parte dello Stato sull’identità nazionale e sull’espressione artistica. Se è vero che il movimento di folk contemporaneo si è sviluppato proprio in opposizione a quel modello, d’altra parte, suonatori e repertori, liberati dell’apparato folkloristico, si mostravano degni di essere protagonisti come testimoni vibranti della musica dei villaggi. In un certo senso è ciò che avviene con questo nuovo album “Mody i Kody” (la prima parola nella duplice accezione di ‘moda’ e di ‘modalità’, nel senso usato in informatica, la seconda parola significa ‘codici’), disco in cui si sostanzia la visione di chi il ‘codice sorgente’ della musica tradizionale lo ha appreso e se lo tiene stretto, ma costruisce musica in maniera personale, in una persistente tensione tra continuità e discontinuità con il passato. Nell’album l’Orchestra, composta da Anna Kołodziej (voce e violino), Bogdan Bracha (flauti, violino, voce), Agnieszka Kołczewska (percussioni e voce), Marcin Skrzypek (dulcimer, mandolino, chitarra, koboz e voce), Weronika Kijewska (violoncello e canto), si muove con creativa mobilità strumentale e buoni impasti vocali, esibiti fin dal brano d’apertura “Plon” (“Il raccolto”), che fonde una melodia appresa da un festival e un testo che proviene da un volume sul folklore, oppure in “Mazureczek” nel quale la band lavorando su uno standard, ha proceduto utilizzando loop, passaggi tra maggior e minore e di cambi di ritmo. Punte abrasive e derive rock e prog in “Maciek”, nella danza-ballata “Oberek” e in “Rutka”. 
 L’Orkiestra Świętego Mikołaja è sulla breccia da quasi tre decenni, eppure è ancora animata da verve e spirito d’innovazione. Si muovono su un’estetica crossover i Dagadana: Daga Gregorowicz (voce ed elettronica), Dana Vynnytska (voce e tastiere), Mikołaj Pospieszalski (voce, contrabbasso, basso elettrico e violino), Bartosz Mikołaj Nazaruk (batteria e percussioni), quartetto in attività da otto anni, che fonde elementi della tradizione ucraina e polacca con jazz, elettronica, classica e pop. L’album d’esordio "Malenka" (2010) ha ricevuto il premio "Fryderyk" ed è stato riconosciuto come miglior album world music dell’anno. Consensi anche per il successivo “Dlaczego nie” (2011). Quanto al terzo lavoro “Ciebie” (comprendente poesie di Janusz Różewicz), è stato ben ricevuto in Polonia in ambito letterario non solo musicale. Ora, i Dagadana pubblicano “Meridian 68” (esce in un curatissimo artwork contenente copertina e illustrazioni interne opera dell’artista ucraina Olya Kravchenko): l’album prende il titolo dal meridiano che si trova a metà strada tra Czestochowa e Pechino, le due città dove la band ha registrato. Sì, perché questo loro quarto disco è il frutto della collaborazione con las band North Lab, nello specifico con il canto armonico e il morin khuur di Hassibagen dalla Mongolia e il violoncello di Aiys Song dalla Cina; altri collaboratori nel disco sono Frank Parker Jr. (percussioni), Marcin Pospieszalski (violino), Szczepan Pospieszalski (tromba e corno), Lidia Pospieszalska (tamburi a cornice). L’eterogeneità di ambientazioni, le diverse soluzioni timbriche, strumentali e vocali (pop, psichedelia, jazz-rock, elettronica, inserti mongoli e cinesi) affascinano, pur rendendo arduo conferire un tratto unificante all’album, che tocca nel segno soprattutto con il canto della Podolia ”U poli bereza”, “Plywe kacza po Tysyni”, una canzone dei coscritti di origine rutena, che ha acquisto nuovi e pregnanti significati nel corso delle proteste del 2014 in Ucraina, e la ballata “Koby ne moroz”. I Dagadana sono una band da scoprire. Altro musicista visionario è Maciej Rychły (flauti e cornamusa polacca), nativo di Poznań, già noto come membro del Quartet Jorgi, ma anche psicologo, uomo di teatro che ha collaborato con la Royal Shakespeare Company di Stratford, il National Theatre di Londra, istituzioni polacche, nonché compositore di musica per film e programmi radiofonici. “Uwolnione dźwięki” (“Suoni liberati”) lo vede in trio con il figlio Mateusz (chitarra tipo Stauffer e tambura), soprattutto chitarrista folk-blues, e la strumentista bavarese, esperta di musica antica, Elisabeth Seitz (salterio), che vanta collaborazioni con Christina Pluhar (L'Arpeggiata), Philippe Pierlot (Ricercar Consort), Claude Michel (Aromates), Tone Kopmann (Amsterdam Baroque Orchestra). 
In un duetto con la sorella Johanna Seitz ha inciso un CD con la musica barocca. L’idea del progetto è di partire dalla decodificazione di notazioni musicali presenti in alcuni dipinti di artisti polacchi ed europei (tra i quali H. Bosch, Holbein, Caravaggio e Watteau) tra sedicesimo e diciottesimo secolo. Partendo dai quadri, dai contesti in cui i maestri della pittura hanno prodotto le loro opere e dalle scene musicali, Rychły ha composto sviluppando partiture in cui sono accostati frammenti di autori famosi (Händel), episodi tradizionali e brani di autore ignoto. Il lavoro è stato sviluppato nel corso di un programma residenziale al centro culturale Zamek di Poznań. Ne è scaturito un quadro sonoro in diciannove tracce per niente convenzionale, dove i tre musicisti sono abili nel combinare elementi barocchi, musica tradizionale (dalla Polonia all’area balcanica fino alle influenze irlandesi) e improvvisazione. Bella la “Doyna Vallacha” d’apertura: si tratta di una composizione inedita di Chopin annotata sul suo taccuino durante un viaggio in Valacchia; “Kolo” è un duetto tra flauto e salterio, mentre “Ground” e “Carravagio” (sic!) vedono protagonista la cornamusa sierszenki (strumento più arcaico, privo di bordone, dotata di una sacca fatta con una vescica animale, un chanter e una canna di insufflazione), “Szkocki”, invece, ha un feeling celtico. Un suggestivo viaggio nella storia della cultura europea. 



Ciro De Rosa

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