Quarantun anni suonati, tanto ne sono passati dalla fondazione dei Suonatori della Valle del Savena, che più che un ensemble musicale è un nome ‘costruito’ negli anni ’70 del secolo passato per denominare un gruppo di musicisti che portò al pubblico urbano la cultura musicale delle valli bolognesi. Il gruppo scaturiva da quella confluenza propulsiva tra ricerca etnomusicologica accademica (pensiamo soprattutto agli studi di Stefano Cammelli) sui repertori coreutici più antichi nell’area dell’Appennino bolognese, autoconsapevolezza culturale e musicale e volontà espressiva interna alle comunità locali. Non si trattava di una semplice orchestra (appellativo che andava lasciato alla tradizione romagnola, che andava in quegli anni strutturandosi in orchestre spettacolo), ma di una sorta di comunità di musicisti che proponeva la danza più antica del ballo staccato delle comunità montanare appenniniche. La valle del Savena è, infatti, uno di quei luoghi dove a lungo si è conservata la pratica di orchestrine di violino, e delle bandelle, dell’organetto diatonico prima e della fisarmonica cromatica, poi. Agli inizi i Suonatori erano Melchiade Benni (violino), Primo Panzacchi (fisarmonica cromatica), Bruno Zanella (chitarra) e Ariodante Minarini (bassotuba). I loro repertori sono stati ampiamento documentati (i dischi Albatros “Emilia 1” ed “Emilia 4”,curati da Cammelli, le pubblicazioni dell’Associazione Culturale “‘e bene venga maggio” e quelle di Placida Staro). Da lì, sono seguite altre formazioni, con passaggi generazionali, che hanno mietuto l’interesse anche dei ‘cittadini’ per il ballo staccato (prima che mode danzanti latino-americane e pizzica-manie portassero altrove molti consumatori di ballo folk). Dagli anni Novanta, si assiste all’ingresso a pieno tiolo di “Dina” Staro, violinista, etnomusicologa ed etnocoreologa, autrice e agitatrice culturale, curatrice di molti documenti sonori per le stese edizioni Nota. Insomma, una figura centrale nel panorama folk italiano: speriamo che presto ci si ricordi di lei nel dare un riconoscimento a chi ha fatto la storia della musica e della ricerca sul folk in Italia. Staro è la curatrice dell’agile libro, edito da Nota, in collaborazione con l’associazione culturale “‘e bene venga maggio”, che ha pubblicato la maggior parte dei lavori de I Suonatori della Valle del Savena. Il volume (in italiano e in inglese), che porta come sottotitolo “Un’onda lunga quarant’anni. Quattro generazioni di balli staccati e liscio montanaro sull’Appennino Bolognese”, si configura come strumento di memoria e di testimonianza di un operato musicale e coreutico che attraversa quattro decenni nel solco dell’antropologia riflessiva. Tocca a Bruno Zanella, a Franco Benni e alla stessa Staro raccontare il loro diventare parte dei Suonatori, tra riflessione interna e racconto di esperienze, che rivelano pagine intense del folk revival italiano, magari meno noto di quello che si è mosso sull’asse metropolitano, e che da sempre ha gli onori della cronaca mediatica. Nella prima parte del lavoro (“L’onda lunga”), la sezione “Ritratti” ricostruisce le figure degli iniziatori: Melchiade Beni, Primo Panzacchi e Ariodante Minarini e poi di Annibale Barbieri, Adolfo Campelli, Ferruccio Fanti e Domenico Salomoni. Nella seconda (“Risonanze”) e nella terza parte (“Terzo Millennio”) si dà la parola alle nuove generazioni, soffermandosi, con contributi fotografici anche sui compianti, Riccardo Venier (violinista figlio di Dina e del musicista friulano Giulio Venier, prematuramente e tragicamente scomparso) e Massimo Zacchi (indimenticato maestro di canto e di danze). Peccato non siano stati allegati al volume un’antologia di brani musicali o un supporto multimediale comprendente anche riprese dal vivo che, nel ripercorrere la storia dei Suonatori, i passaggi generazionali di conoscenze e di pratiche nel canto, nella musica e nel ballo, avrebbero prodotto ulteriori emozioni e favorito un più completo apprezzamento di questo rilevante fenomeno musicale dell’Appennino bolognese .
Ciro De Rosa
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