Giulio Cantore & Almadira - Talea (Autoprodotto, 2016)
“Talea” รจ un album comprensibile nel quadro della sua produzione. Che comprende il processo di costruzione di tutte le parti, i musicisti che vi contribuiscono, l’ambito entro cui matura il progetto. Si tratta di elementi di carattere generale (si puรฒ dire), ma che assumono, a seconda dei casi e in misura certamente diversa, una preminenza nella definizione del profilo dell’insieme. L’autore dei sette brani in scaletta รจ Giulio Cantore, che accanto al suo nome aggiunge Almadira, a significare un piccolo ensemble - delicato e deciso in misura pressochรฉ uguale - composto da Stefano Fabbri alle percussioni e Fabio Mina ai fiati, a cui si aggiungono in alcuni casi Gioele Sindona al violino e Ciro Montanari alle tabla. Cantore determina l’assetto principale dell’album: non solo attraverso la scrittura, ma soprattutto attraverso il suo carattere di musicista, compositore e liutaio. In questo quadro i brani si succedono con attenzione, stabilendo un arco timbrico estremamente coerente (riconducibile a un’acustica straordinaria, equilibrata e piena), una profonditร armonica e un’articolazione melodica che rendono l’album piacevole e curioso. Piacevole perchรฉ la competenza tecnica di tutti i musicisti รจ eccellente e questo permette - pur dentro un flusso sonoro ricercato e una scrittura molto personale - di godere di ottime melodie, complesse ma coerenti (“Passo a passo”). Curioso perchรฉ le strutture dei brani sono elaborate con fantasia, ribadiscono una ricerca esemplare che ingrossa le esecuzioni, definendo un flusso sonoro articolato e sempre rinnovato. Non si tratta di un complimento gratuito. Anzi, รจ una forma di ammirazione da cui mi lascio consapevolmente trasportare. Innanzitutto perchรฉ - come dicevo sopra - i musicisti in campo sono pochi e, quindi, i suoni sono quelli che producono loro soltanto. Poi perchรฉ i brani sono stati registrati dal vivo. Sono anche stati sovraincisi in studio, ma il nervo delle esecuzioni si riconosce nitidamente, attraverso una convergenza di intenti che puรฒ essere ricondotta non tanto a un’estemporaneitร esecutiva, quanto a un’idea compresa da tutti i soggetti in campo ed elaborata con la coerenza necessaria. Infine, traspare dalla costruzione dei brani, dagli strati di cui si compongono sul piano armonico, ritmico, melodico, un bagaglio musicale (una consapevolezza) riconoscibile in alcuni punti fermi: il “personalismo”, cioรจ la traduzione in insieme di una visione intima e profonda, un cantautorato che non guarda alla storia ma piuttosto alla contemporaneitร , un influsso etnico senza vincoli formali. Quest’ultimo aspetto รจ riconducibile alla strumentazione scelta per affiancare le chitarre di Cantore (tabla, calebasse, shaker, congas, cajon, duduk, khaen, balafon, djambe, bansuri, dizi) e agli orizzonti espressivi che coglie il suo sguardo. Orizzonti piรน o meno mediterranei, anche se riportati nel quadro di una tecnica esecutiva originale e sempre equilibrata. Il chitarrista Cantore, d’altronde, non si nasconde e anzi รจ il primo a immergersi nelle strutture del suo strumento. Tirandoci dentro innanzitutto la voce e poi, in un gioco di riflessi circolari, tutti gli altri strumenti. In alcuni brani questo processo รจ piรน evidente, come ad esempio in “Pino e Maria”, uno dei momenti piรน interessanti dell’album. Il pezzo apre con un’introduzione del flauto traverso - dolce e ritmata - che si appoggia sulla chitarra. La voce รจ perfettamente aderente alla linea melodica delle corde, quasi come un prolungamento che lascia immaginare il momento della scrittura. Un momento che si รจ poi evoluto fino a includere le percussioni, che rimangono aggrappate al tema principale, suonato e cantato da Cantore praticamente in unisono.
Daniele Cestellini
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