“Anyway it’s all lies, what else do you expect from The Kings of Lies?” (“Tuttavia sono tutte bugie, che cos’altro potreste aspettarvi dai Re delle bugie?”). Leggendo nel booklet di un album un così curioso monito, la mente ritorna a certe stravaganti copertine “parlanti” di Frank Zappa (ricordate la singolare scritta che campeggiava su “The Perfect Stranger”, disco realizzato con il grande Pierre Boulez: “Tutto il materiale qui contenuto ha esclusivamente lo scopo di divertirvi e non deve essere confuso con nessuna forma di espressione artistica”).
In realtà non si tratta dell’ennesima ristampa del bizzarro maestro di Baltimora, e neanche di un suo progetto cavato finalmente fuori dalla casa-bunker di Los Angeles. Francis Kuipers (chitarra), Sam Tjioe (basso) e Franc auf dem Brinke (batteria e percussioni) sono i Kings of Lies, creatori ed esecutori dell’omonimo album uscito per la False Memories Records e registrato ad Amsterdam nel febbraio dello scorso anno. Sarebbe superfluo soffermarsi eccessivamente sulla carriera di Francis Kuipers noto agli esperti di musica come ai patiti di cinema; un po’ olandese e un po’ inglese, ma soprattutto innamorato dell’Italia (abitué del Lago di Bolsena e della Tuscia in particolare). Musicista globale e di grande notorietà internazionale, nel nostro Paese ha trascorso gran parte della sua vita esibendosi nei locali (il Folkstudio di Roma), in radio (Radio 3), sui palchi delle maggiori città con cantanti nostrani (i fratelli De Gregori) e nei festival blues (Pistoia, Sardegna). Per quanti – stranamente – non avessero familiarità con Kuipers e la sua chitarra, è sintetizzabile, sulla base della sua carriera, con due parole: esploratore sonoro.
“Kings of Lies” può essere presentato senza troppi giri di parole come un album di blues, con le sue asprezze di tutti i giorni, le sue storie alienanti o di presunti alieni. Se “Alien Invasion” ne è il manifesto, non si discostano da questa atmosfera la sfortunata esistenza del gigante protagonista di “Size and Lies” o l’ansiosa “Ooga Moogoo”. Minuto dopo minuto, cresce l’attesa per una prodezza della chitarra, purtroppo solo accennata e quindi puntualmente disattesa, d’altronde non bisogna dimenticare che “sono tutte bugie”. Diverso il clima di “Momories of the Faith” dove la voce di Kuipers ricorda Johnny Cash nella sua malinconica versione di “One” degli U2, e “House of Flames” che rompe una certa monotonia mediante un ritmo tribale incessante e avvolgente.
Prima del finale con “Blindfold Blues” dal film “Last Day On Earth” di Abel Ferrara, c’è “Big Joe and the man with 3 arms”, un brano dal sound fortemente freak, ancor più perché quella voce sporca (e talvolta goliardicamente “da nero”) ricorda Captain Beefheart. È d’obbligo fermarsi qui, ogni altra valutazione sul disco risulterebbe probabilmente fuorviante e non rispettosa delle intenzioni degli autori: “We could say a lot about the lyrics on this record, but we like that listeners to make up their own minds about their meaning”.
Guido De Rosa
Tags:
Strings