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Quando si crea una coalizione di virtuosi non è detto che tutto fili sempre alla perfezione: con The Gloaming questo pericolo non si corre. Il quintetto di maestri irlandesi-americani – Iarla Ó Lionáird, Martin Hayes, Dennis Cahill, Caoimhin Ó Raghallaigh e Thomas Bartlett – che aveva sbancato pubblico e critica con l’album d’esordio, si ripresenta con un secondo capitolo, prodotto dopo due anni di studio e di verifica empirica sul palco. Perciò non siamo di fronte al sequel del precedente disco del 2014, ma a un lavoro ancora più corente e compatto, che marca l’integrazione assoluta dei musicisti. I tratti salienti di quest’opera superlativa? Eleganza, formidabile resa acustica (dopotutto, siamo negli studi della Real World), espressività, inventiva e tecnica sopraffina. Basta? Nelle dodici puntate di questo disco, The Gloaming rimodellano la materia (la musica tradizionale irlandese) disegnando un panorama sonoro che innesta con naturalezza elementi jazz e classici, sfumature post-rock, minimaliste ed ambient. Prendete l’iniziale “The Pilgrim’s Song”, con il piano di Bartlett e la voce di Iarla (interpreta due liriche di Seán Ó Riordáin, “Oilithreacht Fám Anam” e “A Shean Fhilí Múinídh Dom Glao”) che procedono fino a incontrare l’hardanger-viola d’amore di Caoimhin, poi l’ingresso di Martin Hayes fa decollare la composizione, mentre i tasti bianchi e neri assecondano il violino danzante: con un’apertura come questa, come si fa a non parlare di capolavoro? I sette minuti di “Fáinleog” si elevano per l’abilità dei cinque di costruire una magistrale relazione strumentale.
Superbo, poi, l’incrociare di archetti in “The Hare”. Tocchi delicati della chitarra di Cahill – uno dei grandi innovatori della sei corde – fanno da incipit a “Oisín’s Song”, dove il canto di Ó Lionáird transita con naturalezza dai registri gravi a quelli acuti e il piano di Bartlett ordisce il tessuto sonoro con efficace maestria, aprendo la strada al violino di Martin. Poi l’esplorazione procede con libertà espressiva, mai ridondante, sempre coinvolgente. Ancora i due violinisti si propongono nel pieno della loro azione nello strumentale “The Bouley House”. Il successivo brano è un jig molto familiare, ”Repeal The Union”: qui il piano si pone perfettamente nel ruolo di accompagnamento degli strumenti melodici. Bartlett sa cogliere tutte le sfumature espressive nel sostenere la voce gaelica di Iarla, che presenta la celebre “Casadh an tSúgáin”, tratta dal repertorio della sua prozia, la grande cantatrice Bess Cronin, che stregò anche Lomax. Il pianismo minimalista sulla scozzese "The Rolling Wave” esalta l’esplorazione melodica di hardanger (Ó Raghallaigh) e violino (Hayes). Il lilting di “Cucanandy” dialoga ancora Bartlett, il cui pianismo accentua l’atmosfera sospesa del brano, prima che il violino si pronunci esprimendo tutta la sua carica melodica. In “Mrs Dwyer’s Hornpipe”, il pianoforte del newyorkese porta l’andatura combinandosi la melodia principale, affidata alle variazioni del violino e agli inserti creativi dell’hardanger. La transizione alla seconda sezione è contrassegnata da accordi del piano, poi il tempo di reel si fa portatore di sequenze dall’organizzazione più complessa e maggiormente mosse dal punto di vista dell’organico. Voce e piano congiunti convertono la poesia settecentesca di Aindrias Mac Craith in un’intensa e struggente ballad. A chiudere questo discone i cinque pongono “The Old Favourite”, controllato equilibrio tra stilemi della tradizione, formidabile sapere tecnico unito alla scelta di percorsi inconsueti.
Ciro De Rosa
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