Si intitola “Finding anyplace” il primo album degli Ozere, band di base a Toronto guidata dalla violinista Jessica Deutsch. La formazione può essere ricondotta a uno string quartet (al quale si sono aggiunti, nelle session di registrazione, Eli Bender al violoncello, Mat Giffin al piano e Magdelys Savigne Carrion alle percussioni) e proprio da questa struttura nascono gli elementi più importanti e caratterizzanti della sua produzione. Inoltre, se escludiamo il mandolino (suonato da Adrian Gross, uno dei perni della band e tra i primi a unirsi al progetto della Deutsch), Ozere è un quartetto di stampo classico. Dal quale, a onor del vero, emergono alcune combinazioni che potremmo definire (lasciando per un momento uno spazio non del tutto pertinente a una generalizzazione) tradizionalmente “colte”: dall’impostazione al tocco, dalla raffinatezza dell’impianto armonico di molti degli undici brani in scaletta all’organizzazione melodica e agli arrangiamenti (“Anyplace”). Quello che però Jessica Deutsch ha voluto promuovere è sostanzialmente una deformazione, maturata dentro l’interazione tra il suo violino, il violoncello, il contrabbasso e il mandolino (“This and that set”/“Macarthur road”). O, ancora meglio, il prodotto del lavoro a metà strada tra scrittura e improvvisazione, inquadrato in una prospettiva sperimentale. Nella quale gli elementi più caratterizzanti sono sia di carattere stilistico che progettuale. In riferimento allo stile si può considerare il richiamo a diverse sfumature del folk internazionale: il bluegrass, il jazz, la musica klezmer, celtica e afrocubana. La progettualità, invece, si riconosce in alcuni passaggi particolari e in una struttura di fondo che abbraccia tutti brani. Una struttura da cui emerge la volontà di sostenere la tensione che l’impianto compositivo genera dentro l’impostazione di uno string quartet così composto. Questo è probabilmente l’elemento più caratterizzante, che prende forma dentro lo scorrere del flusso musicale, attraverso una serie inevitabile di piccole divergenze. Le quali assumono un significato preciso una volta che si riconoscono e incastrano l’una con l’altra, determinando, come detto, quella tensione che determina lo sperimentalismo di “Finding anyplace”. Si può anche dire che la confluenza in scaletta di brani cantati (sei in tutto, nei quali alla voce di Jessica Deutsch si è aggiunta quella di Emily Rockarts) e strumentali contribuisca alla definizione del profilo sonoro dell’album. In questo senso “Wayfaring stranger” (uno dei due brani tradizionali selezionati nel repertorio americano delle folk songs) rappresenta uno dei poli dove convergono molte delle idee più interessanti dell’album. Si tratta di un brano tradizionale, caratterizzato da un andamento ipnotico (soprattutto nella linea melodica della voce), puntellato dai colpi di contrabbasso cadenzati a ogni quarto e da un mandolino molto ispirato, che interviene in alternanza alla voce, riconducendo l’atmosfera piana a una brillantezza inaspettata. Il polo opposto, più lineare e sognante, ma anche più profondo e denso, è costituito da brani come “Someday soon”, “The sun ain’t down”, “Song for Tina” e “Wind tunnels”.
Daniele Cestellini
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