Il nuovo album di Badi Assad si intitola “Hatched” e si inquadra perfettamente nella produzione a cui ci ha abituati la chitarrista e cantante brasiliana. Lo sottolineo perché questa volta si tratta di una raccolta di cover. O meglio una raccolta nella quale la maggior parte dei brani di cui è composta la scaletta (per la precisione sei su un totale di nove) sono di artisti stilisticamente anche molto distanti dalla Assad (Mumford & Sons, Alt-J, Lorde, Skrillex). Nonostante questo tutto è ricondotto a uno stile preciso. Principalmente perché è un album chitarristico: lo si può riscontrare nelle strutture dei brani, nelle forme che questi assumono pur dentro un arrangiamento spesso ricco e stratificato con cura, nelle stesse linee melodiche della voce. E poi perché è un album i cui elementi più determinanti (ritmo, melodia, brillantezza, selezione della strumentazione) convergono direttamente sull’artista Assad, sulla compositrice, sull’assimilatrice. Sulla sua idea di musica e narrativa legate a una forte tradizione strumentale, che va dalla classica alla popolare passando per il jazz e il pop senza strappi vistosi né cadute di stile, trasfigurata diritta dentro una visione chiaramente personale e originale. “Hatched” arriva a suggellare un periodo molto prolifico, del quale le produzioni legate alle celebrazioni per i venti anni di carriera rappresentano solo la punta di un grosso iceberg. Un giro di boa importante, comunque, che garantisce sulla tenuta di questa bravissima chitarrista e sperimentatrice. Apprezzata in tutto il mondo non solo per la sua competenza tecnica e per il modo in cui è riuscita a convogliarla nel suo stile profondo e leggero, colto e delicato, quadrato pur dentro una visione cangiante e spesso rinnovata. Ma anche per il suo interesse alla sperimentazione, che può essere ricondotto a tutti gli album più importanti della sua ricca discografia (è stata inserita nella Rolling Stone’s Top 100 Guitarists, nel 2013 ha vinto la USA Songwriting Competition nella categoria World). Se si ascolta “Hetched” con attenzione, emerge in modo più netto qualcosa che ci suggerisce libertà, velocità, dinamismo. Una serie di elementi, cioè, che emergono da un processo creativo ancora in pieno svolgimento, mai imbrigliato dal formalismo o dal virtuosismo autocelebrativo. Al contrario, Badi riesce a sfruttare ogni millimetro di ogni corda, così come riesce a far risuonare letteralmente sé stessa (nell’album si incontrano ancora alcuni suoi esperimenti di vocal percussion). Lo stesso carattere del progetto, d'altronde, ci suggerisce la voglia di guardarsi intorno, di guardare anche lontano e confrontarsi con forme di espressioni che, nel loro insieme e nelle loro diversità, definiscono una buona parte dell'orizzonte delle musiche contemporanee. Il risultato coincide con una forma molto sfaccettata, nella quale convivono la forza espressiva, dialogica, (addirittura) simbolica, che accomuna una generazione di artisti con i loro ascoltatori, e la grazia esecutiva di una professionista esperta, che abbraccia morbidamente tutto ciò che in comune hanno quei suoni e quei brani. Tra i migliori della selezione vi sono “Entrelaçar”, “Spirit dog” e “Stranger”. Se i primi due ci riconducono a una produzione più caratterizzante dello stile di Badi e a uno scenario a lei più vicino (“Entrelaçar” cita “Copacabana” di João de Barro e Alberto Riberiro, mentre “Spirit dog” è un brano composto con il fratello Sergio e Daved Levitan), “Stranger” rappresenta in modo netto il modo in cui la Assad si è affacciata a questo nuovo repertorio. Il brano è di Skrillex, mantiene una tensione nella costruzione generale, retta da una linea di batteria ipnotica e ostinata, anche se deformata in superficie dal bayan (suonato da Oleg Fateev) e ammorbidita dalla chitarra. La parte finale è caratterizzata da una sovrapposizione molto piacevole e straniante di voci, tra le quali Assad inserisce le sue percussioni vocali e lascia emergere alcune melodie ascendenti sorprendenti.
Daniele Cestellini
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Sud America e Caraibi