Accogliamo con piacere un disco che riporta in vista le musiche tradizionali dell’area bergamasca. Smorfiàcc significa suonatori in ‘gài’, l’argot dei pastori bergamaschi e bresciani nonché di frange di contrabbandieri e vagabondi, in uso soprattutto nella val Seriana e nella valle Camonica; è il nome secco e diretto scelto dall’originale trio composto dall’attivissimo Vittorio Grisolia (violino e baghèt), musicista di esperienza, ricercatore di materiali popolari e storico co-fondatore del festival Isola Folk, e dai più giovani Giovanni Baronchelli, valsabbino, studi classici di pianoforte alle spalle prima dell’approdo agli strumenti popolari (fisarmonica e baghèt; per altro, autore della grafica e delle illustrazioni del booklet che sono il portato del suo coté artistico di pittore) e Fabio Brivio (musette du centre e baghèt), bergamasco da sempre appassionato del mondo tradizionale e cultore di aerofoni a sacco. Siamo di fronte ad un organico di recente formazione, nato solo quattro anni fa, che si produce in arrangiamenti per fisarmonica, cornamusa (il baghèt è costituito dal “bochì” con cui si riempie la sacca, la “baga”, dal chanter, la “diana”, e dai due bordoni detti “orghègn”) e violino di quanto si è a lungo ascoltato, assimilato e suonato, senza prodursi in quel ricalco che talvolta si rivela gabbia di creatività, ma anche lontano da seduzioni world. I materiali tradizionali del disco provengono dai repertori dei campanari, da raccolte pubblicate e da ricerche del veterano Grisolia. Inoltre, due brani in stile popolare (uno scotis e una mazurka) sono stati composti dallo stesso Grisolia e da Brivio. Coinvolgenti le tracce d’attacco del CD: “Giga Castelli”, una “suonata d’allegrezza” (che è il suono delle campane a distesa e a festa, quest’ultimo ottenuto collegando i batacchi ad una tastiera meccanica mediante una trasmissione di cavi, leve e ganci) a cinque campane, e il set di “Melodie Lombarde”. Favoriscono il ballo, invece, “Scotis Castelli e Scotis La lune”, mentre si gusta alla grande il “Concerto di Campane di G. Pegurri”, brano raccolto da Valter Biella, il ricercatore più attivo nell’area della bergamasca, studioso protagonista della riscoperta e del revival del baghèt bergamasco, punto di riferimento imprescindibile per chiunque si avvicini ai repertori dei campanari. Apertura lirica con la versione strumentale della canzone “Dolce Madonna Bionda”, cui segue ancora la rielaborazione di una bella suonata per campane, imperniata sulla cornamusa bergamasca. Dopo altre suonate d’allegrezza (due valzer), la celebre “Marietìna”, una mazurca, un valzer e uno scotis, gli Smorfiàcc chiudono alla grande con “Marcia 16”, dove si affiancano tre baghèt. Se è vero che l’architettura timbrica non permette impennate e che l’assetto unicamente strumentale non favorisce la variabilità del repertorio, al trio, che ha fissato il suono in presa diretta, va riconosciuta la tenuta strumentale che non mostra smarrimenti. Non secondaria, poi, la loro volontà di divulgazione del patrimonio musicale orobico, ancora troppo ignorato nella mappatura del folk d’Italia.
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