Lo scenario che si apre ascoltando “Ho abbracciato il vento” di La Sornette, è abbastanza variegato. Fin da subito si ha l’impressione di trovarsi in uno spazio sospeso tra riferimenti musicali che potremmo definire world (nel senso di una combinazione libera di elementi che rappresentano espressioni musicali differenti e che fanno ricorso a una strumentazione tradizionale in alcune aree, come la ghironda, il bouzouki e la fisarmonica, insieme al violino, chitarra elettrica, ritmiche e grooves), ma anche strutture più etno-pop. Queste ultime si riconoscono nelle forme generali dei brani e in alcune soluzioni delle voci, in cui, ad esempio in “Legadigadeo”, intervengono in cori molto melodici e piacevoli. Questo brano in particolare ricorda molte produzioni world della prima ora, soprattutto africane o sudamericane, caratterizzate da una brillantezza che avvolge l’intero andamento delle musiche. Con “La principessa e l’arcobaleno”, il brano successivo, ci si attesta su combinazioni meno elaborate sul piano ritmico, in cui ci sono due elementi che emergono sugli altri. Uno è il testo e l’altro è, invece, la linea melodica delle tastiere, a cui è affidata l’organizzazione armonica che sottende il canto e gli intermezzi musicali che si susseguono e alternano alla voce. In generale, la ricerca sul timbro ha definito un’atmosfera che si può definire moderna, ispessita ed elaborata attraverso gli strumenti più tradizionali (“Vargnata”). “Il viaggio” risponde pienamente a questo schema: il suono è aperto e brillante, contrassegnato da una ritmica costante e alcune incursioni di chitarra elettrica e tastiere. Ma il brano lascia spazio anche alla fisarmonica, che sviluppa una melodia più tradizionale, alla quale si sovrappone il violino, che chiude il brano in modo deciso e unisono con gli altri strumenti. In generale il disco, composto di otto tracce, è molto curato soprattutto negli arrangiamenti. Tutte le linee melodiche strumentali trascinano i brani, nei quali si riesce a individuare spesso qualche suono interessante e inatteso (come in “Ouvertoure”). Il brano migliore è “Fiete”. Si tratta di un testo tradizionale e cantato in dialetto, elaborato in uno schema in cui emerge, sotto un flusso reiterato di chitarra acustica arpeggiata, la chitarra slide. Questa allunga il brano in sospensioni equilibrate, lasciando spazio, soprattutto nella parte finale, anche al pianoforte e al violino, grazie ai quali il brano si apre in una melodia molto lirica.
Daniele Cestellini
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