In queste ultime settimane da Expo sono transitati diversi musicisti e gruppi con rilevanza folclorica. Possiedono un tratto comune di humanitas e sono desiderosi di ben rappresentare la propria cultura. Spesso, i gruppi e i musicisti hanno l’opportunità di fermarsi a Milano solo per alcuni giorni e non sempre sono adeguatamente valorizzati dai media. Come ricercatori riteniamo importante dare loro almeno un breve rilievo giornalistico, proseguendo nel nostro viaggio musicale all’interno dei Padiglioni giunto, ormai, alla quinta puntata.
“Ttukunak” è il duo musicale delle sorelle Gómez, Sara e Maika, affermate suonatrici di “txalaparta”, tipico strumento a percussione basco. Anticamente tale strumento pare fosse composto di una sola asse di legno, sulla quale l’esecutore batteva le proprie bacchette lignee (palos) verosimilmente con funzioni di segnale in ambito agreste-pastorale. La “txalaparta” si è poi evoluta con più assi. Le due sorelle Gómez hanno realizzato la performance utilizzando strumenti di legno, di pietra e di metallo. Determinate e particolarmente affiatate, sono entrare in scena scalze, per meglio recepire le vibrazioni del terreno a seguito delle sollecitazioni impresse dai ritmi. Hanno chiarito che le bacchette a forma conica usate per la percussione possono essere realizzate con diverso materiale ligneo, ma ciò che conta è essere in armonia, per eseguire dei ritmi che, pur avendo rifermenti di base, seguono criteri improvvisativi, quindi sempre rinnovati in termini di espressività musicale.
Le due suonatrici sono attente nel contrappuntarsi ritmicamente, ottenendo effetti timbrici coinvolgenti. Alla fine di ogni esecuzione, sono solite abbracciarsi solidali, come segno affettivo di forte coesione musicale. Nei Paesi Baschi (e in Spagna) Sara e Maika sono assai conosciute e, in oltre venticinque anni di attività, hanno tenuto numerosi concerti nel mondo. Il “cuore” degli Ungheresi e la loro passione per la musica popolare sono rinomati. Il Padiglione magiaro continua a proporre performance di vario tipo, ma in questo contesto si ritiene utile concentrare l’attenzione su due carismatici personaggi. Il primo è Sándor Somogyi, costruttore di ocarine. Il secondo è Géza Jónás, virtuoso di “cimbalom”, da ritenere tra i maggiori interpreti della cosiddetta “ hungarian gipsy music”, la cui melodia è affidata all’“hegedű” (violino), sostenuto dalla “brácsa” (viola) e dal contrabbasso. Géza non ha seguito studi accademici, ma si è formato privatamente sin dall’età di cinque anni. Possiede una carica espressiva unica e una raffinatezza del tocco invidiabile. Particolare è anche la sua ricerca timbrica nell’accompagnamento. Negli assoli mostra di aver ben assimilato anche la conoscenza delle armonie tipiche del jazz.
Il suo repertorio è vasto e spazia dalla musica popolare a quella colta. Dall’uno al sei luglio, Géza Jónás si è esibito con un gruppo nel quale spicca la presenza di Pálházi Bence, giovane violinista, dotato di tecnica ma anche di grande sensibilità musicale. Alla viola ha suonato Lajti Ákos, mentre al contrabbasso Téth Gergö. Il Gruppo musicale ha eseguito alcuni brani esclusivamente strumentali, mentre altri erano di accompagnamento a movimentati balli tradizionali in costume.
Torniamo a scrivere di Sándor Somogyi, il quale per tutta la vita ha lavorato come ceramista e restauratore. Oggi ha settantadue anni ed è in pensione ma, da serio artigiano, con le mani in mano non riesce a stare. In particolare porta avanti una passione musicale, iniziata circa trent’anni or sono durante una visita a Budrio, patria dell’ocarina. Ha appreso la tecnica di realizzazione e, da allora, in Ungheria è divenuto il più apprezzato costruttore di questo strumento, tenendo anche corsi didattici. Somogyi fa il proprio lavoro con passione e discute con competenza tecnica. Ha mostrato la particolarità dei propri strumenti, contraddistinti da un marchio ricavato dall’incontro di tre “s”, che ha riunito artisticamente in un simbolo che ricorda quello di un “triskell”. Sándor è anche suonatore di violino nonché appassionato di argomenti religiosi che ha appreso dal padre sin da bambino. In particolare, ha parlato di un ritrovamento archeologico vicino alla città di Tata, nella quale è stato rinvenuto un particolare reperto testimoniante la testa di un “taltos” (figura sciamanica mitologica) di cui, al momento, pare esistano solo tre esemplari similari, tra cui anche quelli provenienti dal Giappone e dalla Mongolia. Il reperto possiede un buco sulla testa e la bocca aperta, tanto da poter essere suonato come un’ocarina. A beneficio dei visitatori, l’artista ha realizzato a tempo di record una copia personalizzata del “taltos” per far ascoltare le sue sonorità. Successivamente, egli ha impugnato un’altra copia in esposizione (già cotta al forno), che ha suonato melodicamente con una certa maestria. La sonorità di questo aerofono è vibrante, misteriosa e arcaica.
Appena verrà fatto conoscere in modo adeguato, siamo certi che lo strumento sarà utilizzato dai musicisti per ottenere particolari effetti sonori anche in ambito cinematografico e documentario.
Spostiamoci in Irlanda, altro Padiglione nel quale a Expo sono spesso invitati Gruppi musicali tradizionali di rilievo. Tra i vari arrivi, alla fine del mese di giugno, si evidenzia quello dei “Brú Ború” provenienti dalla cittadina di Cashel. Il Gruppo fa parte di una nota Associazione che si propone la diffusione della cultura tradizionale irlandese, spesso chiamata dal Governo per rappresentarlo musicalmente in manifestazioni internazionali. I musicisti sono tutti rigorosi e ben preparati, tra cui Bobby Gardiner uno dei più prestigiosi suonatori irlandesi di organetto, strumento cui è legato sin dalla infanzia. Il Gruppo ha riscosso successo grazie anche alle scattanti esecuzioni dei ballerini e delle ballerine. Il primo di luglio, nello stesso Padiglione, si è esibito il Gruppo triestino dei “Claddagh”. Nella stessa giornata, a Expo 2015, si sono potuti ascoltare anche due Gruppi italiani. Il primo è una rappresentanza del “Folclorico Teatino” (Chieti), specializzato in canti e balli popolari (saltarello, palo dell’amore, quadriglie etc.), per lo più eseguiti in tempo composto (6/8). I due fisarmonicisti, Eugenio Luciano D’Ascanio e Canonico Fiorino, si sono esibiti con strumenti dei liutai Giustozzi e Di Leonardo (Antonio). Dal Cilento (Novi Velia, Salerno) proviene il Gruppo giovanile dei “Rittantico”, il quale si cimenta in un repertorio rivisitato di musiche tipiche della propria area d’origine e di altre riferibili a varie zone dell’Italia meridionale.
La loro esecuzione è avvenuta in un contesto familiare, a seguito di una conferenza sulla figura di Parmenide e di una cena a base di cibi locali generosamente offerti agli astanti, in seguito coinvolti nell’esecuzione di dinamici balli estemporanei.
Muovendoci verso Oriente, abbiamo incontrato i componenti di un Gruppo turco, proveniente dalla città di Trabzon (Trebisonda, sul Mar Nero), denominato “Folklor Kulübü”. Tre gli strumenti locali per l’accompagnamento del ballo, detto “Horon”, con danzatori esclusivamente maschili. Tali strumenti sono: “kemence” (cordofono a sfregamento), “davul” (a percussione) e “zurna” (aerofono ad ancia doppia). I suonatori del Gruppo sono Ömer Gaydan (zurna), Sinan Güneysu (davul) e Adnan Koghor (kemence). Hanno spiegato che il loro ballo è unitario, ma prevede la suddivisione in sette parti dette (secondo la loro trascrizione manuale) “Haran kurma, Sallana, Kozargef, Siva-siva, Parnatcucu, Kozargel Sallana, Silcsara”. Dal Padiglione turco, il Gruppo si è spostato in processione sul Decumano, dove hanno eseguito le danze che prevedono varie figurazioni, di volta in volta accompagnate dagli strumenti più idonei. Al termine hanno coinvolto diverse spettatrici in una danza a cerchio, ritmata dal suonatore di “kemence”, impegnato a spostarsi vicino ai singoli ballerini per incoraggiarli nei passi.
Tutto maschile è anche il Gruppo “Shams” (proveniente da Khaaf nel Khorasan”, zona orientale desertica dell’Iran), esibitosi nel ballo dei “bastoni” il 18 giugno, accompagnato melodicamente da un suonatore di “zurna” e ritmicamente da un drummer di “dohol” (o “dhol”), tamburo che si percuote con due distinte bacchette (dette “sia-choub”, una molto sottile, l’altra più robusta). Difficile comunicare in inglese con i componenti tuttavia, se abbiamo ben compreso, il ballo eseguito con il costume tradizionale è quello tipico dei momenti di siccità, nel quale gli esecutori utilizzano anche dei bastoni di legno, lasciati a terra quando ballano in cerchio, rispettando precise forme geometriche.
Tra i tanti possibili, un ultimo intervento desideriamo dedicare ai suonatori africani e ai loro ritmi. Di passaggio dalla Cascina Triulza, presso la quale si svolgono giornalmente conferenze, laboratori, degustazioni e un piccolo market etnico, ci siamo imbattuti in un gruppo di percussionisti che invitavano a provare i loro strumenti per performance estemporanee. Una cosa è ascoltare la musica, altro è viverla dall’interno. I suonatori insegnavano i movimenti di base, poi iniziavano il “viaggio” ritmico, di volta in volta variato da uno degli esecutori. I tamburi parlano, attraverso sguardi e battiti sonori si comunica. Tuttavia alcune donne hanno presto deciso di abbandonare l’esperienza musicale, perché con i palmi delle mani intensamente arrossati. Intorno agli esecutori alcuni spettatori ballavano con spirito liberatorio.
Esperienza professionale significativa è stata quella dei “Kina Ku Moxi”, provenienti da Luanda (Angola). Unici strumentisti del gruppo sono due percussionisti di colore i quali, senza sosta, hanno incantato con i loro ritmi. L’effetto è stato ipnotico e coinvolgente. A un certo punto si è udito il suono di un fischietto. Da dietro al palco sono comparse le ballerine scalze del “Kina Ku Moxi”, le quali hanno mostrato agilità e destrezza nei movimenti tipici della spettacolarità coreutica africana. Nelle performance da soliste, ognuna si è virtuosamente distinta con mosse e gesti del corpo personalizzati. I suonatori e le ballerine hanno il ritmo nel sangue e lo sanno trasmettere agli spettatori con vigore. Diverse donne occidentali hanno provato a farsi coinvolgere nel ballo. Da spettatrici sembrava tutto facile, ma all’atto pratico si sono rese conto che per quei movimenti è necessaria un’avanzata scioltezza degli arti e dei muscoli. Tuttavia il divertimento è stato assicurato. I due percussionisti del gruppo angolano si chiamano Swiende e Claudio, applauditissimi.
Seppur fugacemente, concludiamo citando la presenza ad Expo dell’affermato bandoneonista argentino Rodolfo Mederos (4-5 luglio), della Compagnia flamenco di Rosario Toledo e di altri Gruppi folclorici, tra cui: il bielorusso “Talaka” proveniente da Vitebsk (con bravi suonatori di cymbalom e di un aerofono a sacca chiamato “duda”); il folk ensemble lituano “Vydraga”, fondato dal musicista Algirdas Klova; il gruppo di musica balcanica “Veseli Momci Brass Band” (esibitosi presso il Padiglione Slovenia); i suonatori “gnawa” del Marocco (a distanza di alcune settimane, gradito ritorno); diversi Gruppi coreutico-musicali cinesi, thailandesi, africani e … altri ancora.
A Expo l’avvicinamento tra i popoli con la musica etnica sembra vincente. Come sempre è avvenuto in passato, la musica può rappresentare un efficace mezzo di comunicazione e di unione sociale. Grazie ai suoni, tutto sembra scorrere senza intoppi nei rapporti di pacificazione umana. Tuttavia l’Esposizione non è solo luogo di divertimento, essendo ricca di stimoli e di spunti critici per illustrare (anche in modo tecnologico e creativo) le aberrazioni compiute (in pochi decenni) dall’uomo ai danni dell’ambiente e della sua sostenibilità. Il delicato equilibrio riferito alla biodiversità, frutto di una lunga evoluzione, dovrebbe sempre far riflettere in termini di sfruttamento delle risorse e del rapporto vitale con la natura. Da qui, il rinnovato invito per visitare Expo ricercando un felice connubio tra cultura e natura, proponendosi di scoprire anche i luoghi nei quali i suoni dell’ambiente permettono di ritrovare il senso di equilibrio interiore, indipendentemente dalle diversificazioni musicali che i vari Stati sono in grado di mettere in risalto a favore della propria promozione culturale, politica e commerciale. Esempi di suoni naturali in apprezzabili ambienti scenici potranno essere criticamente ascoltati nel Padiglione Zero (ONU), nella foresta austriaca, nei campi inglesi, negli orti di Slow Food, davanti al “laghetto” ittico del Kazakistan, vicino ai canali delle marcite e agli zampilli idrici, oppure di fronte ai graffiti dell’arte rupestre di Huashan (Cina), nel Padiglione tedesco o in quello svizzero, nel quale si rimane meravigliati ad ascoltare il gocciolio trasudante dei caratteristici canali idrici del San Gottardo. “Panta rei” … anche la musica di Expo scorre incessantemente, ma una domanda finale è d’obbligo. Nei prossimi mesi, secondo coordinata regia, si riuscirà ad organizzare un’intera giornata dedicata alla musica etnica internazionale e alla musica popolare italiana, a favore di un unificante dialogo fra i Popoli della Terra del quale, in questo momento storico, c’è particolare bisogno?
Paolo Mercurio
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