Le ciaramelle e l’ottava rima: analisi dell’ “attualità orale” in Alta Sabina
È stata recentemente pubblicata la seconda edizione di “La sposa lamentava e l’Amatrice… Poesia e musica della tradizione alto-sabina”, un volume in cui i tre autori – Piero G. Arcangeli, Giancarlo Palombini e Mauro Pianesi – hanno organizzato i risultati di una serie di ricerche effettuate nell’area a partire dalla fine degli anni Settanta. La nuova edizione integra quella originale, risalente all’inizio degli anni Duemila, con una serie di approfondimenti, attraverso i quali emerge il profilo di uno studio articolato e, di riflesso, di una serie di repertori e forme espressive estremamente interessanti (tra cui ricordiamo la tradizione della poesia improvvisata in ottava rima – attestata ancora oggi, in un contesto socio-culturale evidentemente differente da quello legato alla pastorizia in cui si è generata e sviluppata – e le ciaramelle, l’aerofono bicalamo senza bordone attestato solo in quell’area, con il quale si eseguono pochi e specifici repertori). Tra le integrazioni più importanti segnaliamo – per parlarne più nel dettaglio nelle note a margine dell’intervista – il cd allegato, che mancava nella prima edizione. Raccoglie oltre trenta documenti sonori, per dare ulteriore spessore a un impianto analitico che nel volume poggia, oltre che sull’interpretazione “grandangolare” delle fonti, dei fenomeni e del contesto di indagine, su numerose trascrizioni, sia musicali che dei testi verbali. Abbiamo parlato della struttura del volume, dell’organizzazione delle informazioni che contiene e della storia dei repertori e delle indagini svolte nell’alta Sabina con Giancarlo Palombini, uno dei tre autori e docente di Etnomusicologia all’Università degli Studi di Perugia.
“La sposa lamentava e l’amatrice” è una nuova edizione di un lavoro pubblicato alcuni anni fa. Qual è la differenza con l’edizione originale e di cosa tratta il lavoro?
Intanto bisogna dire che sia la vecchia edizione che questa seconda edizione partono da una ricerca, anzi da ricerche che si sono succedute nel tempo. La prima ricerca comincia nel 1978 ed è concentrata sulle ciaramelle, il loro repertorio, gli elementi organologici dello strumento, condotta nella zona dell’Alta Sabina, cioè nell’estrema provincia di Rieti, ai confini con l’Abruzzo, le Marche e l’Umbria. Insomma in quel cuneo del Lazio che si insinua in queste regioni. Qui era rimasta questa tradizione delle ciaramelle, che sono una specie di zampogna. Da questa ricerca del 1978, che poi ha dato luogo allo studio per la mia tesi di laurea, che si intitolava “Le ciaramelle dell’Alta Sabina. Ricerca etnomusicologia sullo strumento e sul suo repertorio”, è venuto fuori tutto il materiale riguardante le ciaramelle. La cosa poi si è ampliata qualche anno dopo con la ricerca che ha fatto Mauro Pianesi su tutto il repertorio dell’Ottava rima, utilizzando anche registrazioni che io avevo realizzato precedentemente al suo lavoro. Quindi avevamo a disposizione parecchio materiale, sul quale abbiamo iniziato a lavorare con Piero Arcangeli e Pianesi. Da tenere presente che Arcangeli è stato il correlatore della mia tesi di laurea e che sono stato correlatore alla tesi di laurea di Mauro Pianesi. Quindi ci sono varie generazioni di studi. All’inizio degli anni Novanta il lavoro era già impostato ed era in massima parte già pronto. L’iter di pubblicazione è stato molto faticoso, perché con nessun editore si era arrivati a concludere. Per questo il lavoro è rimasto nel cassetto per almeno dieci anni, fin quando, nel 2001, è stato pubblicato nella prima edizione. Questa prima edizione, realizzata da un editore di Pescara, non aveva i documenti sonori in allegato. Perché n quel tempo non era così comune avere documenti audio allegati. Quindi, possiamo dire che questo libro, che era fondato su vari documenti sonori anche trascritti, non aveva un riscontro sonoro effettivo. Per questo la più grande differenza tra le due edizioni è la presenza dei documenti sonori nel cd allegato alla nuova, nel quale sono confluiti tutti i documenti sonori presenti negli esempi musicali e nelle trascrizioni riportate nel testo. Un’altra differenza tra le due edizioni è data dalle foto. Mentre nella prima edizione abbiamo inserito soltanto alcune foto storiche, che erano state recuperate da vari soggetti locali, nella nuova edizione abbiamo aggiunto tutte le foto scattate durante le ricerche che si sono succedute dal 1978. Ora le foto sono state organizzate in un blocco centrale del libro, mentre prima erano dislocate in vari punti del testo ma erano obbiettivamente poco valorizzate. Inoltre, un’altra aggiunta è rappresentata da uno studio realizzato con Piero Arcangeli nel 1984 e pubblicato in “Culture Musicali”, che rappresenta il primo studio sulle ciaramelle dell’Alta Sabina. Si tratta di un’analisi strettamente musicologica, con trascrizioni e analisi musicali, che imposta, per la prima volta, in maniera esaustiva e scientifica l’analisi del repertorio delle ciaramelle.
Facciamo un cenno alle ciaramelle di Amatrice, per presentarle sia sul piano organologico (ci sono alcuni aspetti che le riguardano che le differenziano dagli altri aerofoni diffusi in Italia) che sul piano del repertorio.
Dal punto di vista organologico le ciaramelle sono particolari perché sono l’unico tipo di zampogna che non hanno bordoni. Questo è sempre stato un problema dbattuto tra i vari studiosi. Ne abbiamo parlato molte volte con Leydi. Questo fatto di non avere bordoni da cosa dipende? Può essere che un antico bordone sia stato tappato, oppure le ciaramelle provengono da una fase precedete all’introduzione dei bordoni? Diciamo che la conclusione non è facilmente individuabile, dal punto di vista organologico. Bisogna analizzare il repertorio per capire. La musica per ciaramelle ha un repertorio molto limitato, non comprende, come altre zampogne, il repertorio natalizio ed è fondata strutturalmente su dei sistemi scalari modali. Anche questo la differenzia da tutti gli altri tipi di zampogne, che hanno un impianto tonale. Quindi questo sistema modale non sarebbe coerente con la presenza di bordone e in realtà, sulla base dell’analisi dei sistemi scalari, la non presenza di bordoni coinciderebbe con una fase antecedente, perché i bordoni favoriscono dei sistemi scalari più moderni. Questo fatto è dirimenti nel considerare le ciaramelle come strumento arcaico. Uno strumento che si va ad attestare in un’isola circondata da monti ma non isolata dal punto di vista geografico. Il suo isolamento coincide soprattutto con un isolamento culturale che si è formato all’interno della città di Roma. Quindi il rapporto con la città di Roma e la campagna romana tramite la transumanza, in cui si spostava tutta la società pastorale, ha portato a far sì che si ricreasse tutta la struttura culturale della società amatriciana. Quindi lì sia le ciaramelle che i poeti si attestavano come marcatori culturali moto forti rispetto a tutte le altre popolazioni che venivano dalle campagne romane, come i norcini, i casciani, i preciani ecc. quindi lo spostamento a Roma e il ritorno successivo nei luoghi di origine ha permesso a questo strumento di conservarsi: questa è l’ipotesi che nel libro è chiaramente espressa.
Il fatto cioè che l’utilizzo delle ciaramelle sia perdurato fuori dal contesto di origine? La decontestualizzai zone ha mantenuto l’uso dello strumento e quindi anche i repertori?
Sì tutti i repertori, e non ha permesso l’introduzioni degli usi innovativi come nelle altre zampogne, con le quali può capitare che vengano eseguite delle canzonette, ad esempio, dagli anni Cinquanta. Non è possibile perché la struttura modale dello strumento non lo consente e quindi esegue solo quei repertori tradizionali. Giacomino, uno dei ciaramellari più vecchi che io ho intervistato mi diceva: “figlio mio, con le ciaramelle solo questo ci si può fare”: la sonata per la sposa in tre parti, l’accompagnamento per i poeti e poi la sonata per il ballo. Ma in queste tre divisioni funzionali i moduli si mischiano e ce ne sono soltanto alcuni particolari per il canto a alcuni per la sonata della sposa. Ma per il resto è tutto un gioco di incastri di moduli armonico-melodici che vengono fatti sulle due canne dello strumento.
Dicevi che la ricerca sui repertori di quel contesto culturale è iniziata molti anni fa. Ci sono anche documentazioni più datate di questi repertori?
Le prime registrazioni delle ciaramelle le possiamo fari risalire agli anni in cui Lomax fece la campagna di registrazione in Italia accompagnato da Carpitella. Proprio passando per la zona dell’Alta Sabina, nei dintorni di Cittareale, incontrò Raffone, che è stato forse il suonatore più importante di Ciaramelle. Questo succede nel 1954. Queste registrazioni sono state pubblicate anche in dischi vinili, ad esmepio nella raccolta che fecero Carpitella e Lomax alla fine degli anni Cinquanta, dal titolo Folclore musicale italiano. In una delle varie tracce del disco compare una marcia per la sposa registrata da Lomax nel 1954. Soltanto che c’è un difetto, cioè la traccia è stata montata su disco al contrario. Cosa che può sembrare assurda, ma nessuno se ne era accorto prima che io sentissi il disco. Nessuno di quelli che si erano occupati di ciaramelle aveva pensato che si trattasse di una traccia difettosa. Anche Constantin Brăiloiu aveva sentito la registrazione e proprio dopo averla ascoltata ha affermato che le musica delle ciaramelle assomiglia alla musica di Vivaldi. Quando io ho comunicato a Carpitella – che è stato uno dei miei maestri – l’errore che avevo rivelato, lui disse che era impossibile, perché, insieme a Lomax, avevano ascoltato il nastro decine di volte. Ma qual è il fatto che non ha permesso di individuare l’inizio e la fine di questo breve pezzo? Le ciaramelle, avendo un suono continuo, non hanno attacchi (come ad esempio il pianoforte) con il loro decay. Il suono è sempre uguale e quindi una scarsa competenza da parte di Lomax e Carpitella, dovuta al fatto che si trattava delle prime registrazioni che venivano fatte di questo strumento, non h apermesso loro di individuare quello che dal montatore, cioè da chi ha fatto il master dell’LP era stato montato al rovescio. Quindi non ne facciamo una colpa a Lomax e Carpitella, ma piuttosto a chi ha studiato in seguito e non ha capito il difetto. Questa è la parte della sonata per la sposa. Poi la parte del saltarello è stata pubblicata in un altro disco che pubblicò Lomax. Ho poi scoperto, in seguito, che lo stesso pezzo, queste stesse registrazioni, compaiono in un disco dal titolo Zampogne in Italia. Leydi indica che il pezzo è suonato da sconosciuti e lo localizza in un paese della conca amatriciana, in particolare San Lorenzo a Flaviano. In realtà, ascoltando la registrazione si evince che è la stessa del ’54. Altre registrazioni furono fatte precedentemente a Preta da Alberto Mario Cirese nel 1951, in cui registrò un suonatore – che io ho registrato successivamente nel ’78 - che si chiamava Giacomo Blasi. È certo che raffone, rispetto anche a questa tradizione di Preta, era sicuramente considerato uno dei maestri. Tra l’altro, io sto lavorando su questa campagna di Cirese e su quella di Lomax e Carpitella del ’54 e sulla successiva di Nataletti, del ’71, per pubblicare, nella collana degli archivi dell’Accademia di Santa Cecilia, questi documenti sonori. Altre registrazioni di cui ho notizia sono quelle che fece Sandro Portelli e che sono apparsi nel disco La Sabina. Fece alcune registrazioni dal vivo e riportò anche alcune registrazioni fatte da Amedeo Albani negli anni Sessanta. Albani è stato uno dei più appassionati documentatori: aveva un grande archivio che è andato completamente perso di registrazioni su nastro. Albani registrava anche i poeti improvvisatori, di cui la zona dell’Alta Sabina era molto ricca, come oggi. Questi poeti sono documentati sin dagli anni Sessanta, se si escludono due registrazioni effettuate da Cirese negli anni Cinquanta. Io ho abbondantemente documentato tutti questi incontri poetici, gare poetiche e incontri in osteria, registrandoli su cassette – non su nastro, come feci con le registrazioni delle ciaramelle – e ne è venuto fuori un archivio molto consistente. Questo archivio era a rischio di deperimento e per questo abbiamo fatto un progetto di riversamento in digitale, secondo gli standard internazionali, con l’aggiunta di metadati. Questo archivio è conservato in copia anche presso la Discoteca di Stato.
Piero G. Arcangeli, Giancarlo Palombini, Mauro Pianesi, La sposa lamentava e l’Amatrice… Poesia e musica della tradizione alto-sabina, Morlacchi Editore U.P. 2015, pp.283, Euro 16,00
L’editore Morlacchi di Perugia ha recentemente pubblicato la seconda edizione di “La sposa lamentava e l’Amatrice… Poesia e musica della tradizione alto-sabina”, volume con cd allegato a cura di Piero G. Arcangeli, Giancarlo Palombini e Mauro Pianesi. Si tratta di uno studio fondamentale sui repertori, le strutture e il paesaggio sonoro di un’area che può essere ricondotta alla provincia di Rieti, ma che interessa, oltre alla zona settentrionale del Lazio, una parte dell’Umbria, delle Marche e dell’Abruzzo. La prima edizione del volume risale all’inizio degli anni Duemila e ha rappresentato il primo tentativo di raccogliere, in un volume articolato e strutturato secondo criteri etnomusicologici e antropologici, l’analisi di un corpus documentario molto vasto e, soprattutto, raccolto attraverso varie campagne di documentazione, che sono state avviate sul territorio a partire dagli anni Settanta. Questa seconda edizione – come ci ha confermato Giancarlo Palombini nell’intervista – contiene alcuni aggiornamenti fondamentali, sia sul piano dei contenuti che della struttura generale del lavoro. I tre autori – i quali, come Palombini, che ha dedicato gran parte dei suoi studi ai repertori dell’Alta Sabina, hanno tutti svolto ricerche nell’area – hanno, innanzitutto, integrato la sezione documentaria, aggiungendo una selezione di trentadue documenti sonori confluiti nel cd allegato al volume. Il disco, oltre ad assolvere a una funzione esplicativa e di “supporto sonoro” (come è specificato nell’introduzione ai brani raccolti), diviene un elemento centrale del lavoro, nella misura in cui riconnette la riflessione degli autori sia alle analisi specifiche riguardanti i brani (come, ad esempio, le trascrizioni musicali e dei testi verbali), sia al contesto di documentazione (in riferimento alle informazioni sulle circostanze in cui hanno preso forma le indagini, lo svolgimento delle ricerche, i rapporti con gli intervistati, i suonatori, i poeti). Per il modo in cui è stato organizzato, il disco può anche essere considerato come parzialmente autonomo dal libro, in quanto “la sequenza dei brani non segue comunque l’ordine che hanno le trascrizioni riportate nel volume” e, come si può immaginare, “la disposizione dei brani suggerisce […] accostamenti sonori e ulteriori connessioni di senso”. I documenti raccolti nel cd, oltre a essere quantitativamente rilevanti, rappresentano la ricchezza e le articolazioni dei repertori in esame e comprendono le esecuzioni tradizionali per ciaramelle (Sonata per la sposa, “piagnareccia”, “camminareccia”, “crellareccia”, saltarello), terzine e quartine di endecasillabi improvvisate e accompagnate con ciaramelle, poesie improvvisate in ottava rima, alcuni esempi di lamento funebre (registrati tra la fine degli anni Settanta e la seconda metà degli anni Ottanta come attestazioni più settentrionali del genere), serenate, canti “all’arianella”, interviste. Tra queste ultime è stato selezionato un frammento di un’intervista al poeta in ottava rima Virginio Di Carmine (effettuata nel 1986) e due colloqui (registrati nel 1979) con i suonatori di ciaramelle Giacomo Blasi (detto “Giacomino”) e Alfredo Durante (detto “Raffone”). Oltre alle ciaramelle – su cui Palombini propone nell’intervista alcune riflessioni sia in relazione ai repertori che alle caratteristiche organologiche – il volume analizza il fenomeno dell’improvvisazione poetica in ottava rima. Come sappiamo si tratta di una forma di espressività popolare che si pone in uno spazio sospeso tra la cultura orale e quella scritta. Una verosimile sospensione che confluisce nella figura dei poeti-pastori tradizionali (ma, in misura differente e invariabilmente coerente, anche in quella dei poeti improvvisatori contemporanei), i quali non solo hanno letto e memorizzato alcune delle opere più importanti della storia della letteratura italiana – in particolare i poemi della tradizione cavalleresca del sedicesimo secolo – ma ne hanno incorporato la struttura, vale a dire l’organizzazione del verso in endecasillabi e delle strofe in ottava rima, esprimendola attraverso la forma della poesia estemporanea (che ancora oggi è declamata in occasione di gare poetiche e incontri conviviali in riferimento a temi estremamente vari, sia storici che di attualità). Come ci dicono con efficacia gli autori, siamo di fronte a una “resistente attualità orale, che è riuscita a trasmettere bagliori poetici e lunghe ombre sonore fin dentro la Roma popolare di oggi, dove ha trovato una nuova vita, capace di riflettersi – felicemente insospettata – sui luoghi d’origine”.
Daniele Cestellini
Tags:
Letture