Il nuovo lavoro di Giovanna Marini si intitola “L’Italia in lungo e in largo” e raccoglie una serie di brani che rappresentano il viaggio e sopratutto i racconti che l’hanno appassionata fin dall’inizio della sua carriera di compositrice e ricercatrice. Si tratta di un disco denso, cantato (e da ascoltare) tutto d’un fiato, nel quale la Marini è accompagnata, oltre che dalla sua chitarra, dalla splendida voce di Francesca Breschi. La struttura della scaletta, composta di ventuno brani, sta tutta qui. Da un lato le due voci che si sovrappongono, si rincorrono, si stringono, si allontanano, definendo i profili di melodie piacevoli e stridenti. E, dall’altro, le corde pizzicate e percosse da Giovanna, che accompagnano e puntellano il canto in modo sempre deciso, richiamando, in alcuni passaggi (come, ad esempio in “Un po' di qua un po' di là”), un modulo percussivo vagamente blues. La formula della sintesi strumentale è straordinaria, oltre che efficace sul piano timbrico e funzionale a spingere sempre in primo piano la voce, le voci. Anzi non solo: a mettere in primo piano una narrativa estremamente densa, empatica e, in un certo senso, irriverente. Nei confronti dell’abbellimento (e quindi della reificazione) del canto popolare e, allo stesso tempo, nei confronti di un’elaborazione melodica di maniera, più morbida e dolce della matrice popolare che la ispira. Ogni brano potrebbe dimostrarci questa sospensione anti-retorica, ma “Sento il fischio del vapore” (che la Marini, come è noto ai più, ha cantato qualche anno fa con Francesco De Gregori nell’album che da quel brano ha preso il nome), è probabilmente il più rappresentativo di questo procedimento. Forse anche perché sfrangia una volta per tutte quella riproposta che con De Gregori lo aveva ammorbidito e trasfigurato in una ballata cordiale, melodica e cadenzata, sebbene coerente con la scelta narrativa dell’album che, in termini generali, puntava a sottolineare le melodie dei brani popolari che conteneva dentro una cornice musicale più folk e cantautorale. Più probabilmente perché qui riemerge dentro le armonie delle due voci, che si scacciano a vicenda, nel quadro di una linea di intervalli armonici che rappresenta al meglio il contenuto testuale: la tensione, la divergenza, il disequilibrio irriducibile tra la passione e il costume, tra la regola e il sentimento, le pulsioni e il formalismo, la norma. Anche sul piano ritmico il brano può ben rappresentare il lavoro che la Marini e la Breschi hanno compiuto. Siamo fuori dalla convenzione e ci sentiamo risucchiati da una forte estemporaneità performativa, alla quale i lavori della Marini (compresi quelli con il Quartetto vocale di cui la Breschi fa parte dagli anni Novanta) ci hanno abituato. E che qui trovano una spinta nuova in brani come “L’Italia in lungo e in largo”, “Italia quanto sei lunga”, “Un giorno ci”, che diventano manifesti espliciti dell’impianto generale di un album sviluppato dentro la prospettiva del racconto. Ritorno a questo elemento per rimarcarne la centralità. Dovuta sopratutto al fatto che in alcuni casi - dai quali emerge il perfetto equilibro delle espressioni selezionate e convogliate in scaletta e, quindi di riflesso, della rappresentazione che le due voci riescono a darne - è quasi impossibile distinguere tra canto e dialogo, cioè racconto raccontato, parlato. E questo nonostante il lavoro sia puntellato da melodie interessanti che, come nel caso del “Contrasto tra l’aristocrazia e la plebea” in ottava rima, rimandano alla tradizione orale. O come nel caso di due dei brani più conosciuti del repertorio di Giovanna - “I treni per Reggio Calabria” e “Lamento per la morte di Pasolini” - riflettano un’organizzazione melodica e un’esecuzione molto complesse.
Daniele Cestellini
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