E’ una fortuna per un musicista essere nato in the land of hope and dreams! Perché si può fare come Dwight Yoakam che, dopo aver contribuito a far rinascere un sano interesse verso quel country-rock vero e non sdolcinato, si è messo a fare dischi dando l’idea di una musica fatta in modo cristallino, piena di belle frequenze, chitarre che cantano, e ritmi scoppiettanti, il tutto con un attitudine che non lo fa mai apparire un dinosauro che non accetta la glaciazione, come accade in certi casi nel nostro paese. Negli ultimi venti anni in Italia non è arrivato al grande pubblico un solo disco che suoni in modo coraggioso. Il fatto è che se si ha sempre necessità di colpire nel mucchio, in quello che si definisce maistream (termine inglese usato per indicare una corrente culturale o artistica convenzionale o di tendenza), la possibilità di mostrare coraggio nelle scelte musicali cala vistosamente. Se è necessario riempire gli stati bisogna andare incontro ai misunderstanding che permettono di attirare pubblico, o quantomeno avvicinarlo il più possibile. In proposito si veda il caso di Bruce Springsteen che il sottoscritto ebbe modo di vedere dal vivo a Zurigo nell’aprile del 1981 durante il tour di “The River”, e che non appena si imbarcò nel carrozzone di “Born In The USA”, prestò il fianco al misunderstanding di un Ronald Reagan che travisò il senso della canzone identificandola con un inno all’orgoglio americano. Questo problema Dwight Yoakam non ce l’ha mai avuto, anche se continua a mietere successi nelle chart della country music, avendo scelto di dare un taglio molto personale e qualitativamente alto al suo songwriting. Negl’anni in cui il country era stato dato per spacciato surclassato dai suoni pop di Nasville, è stato lui a riproporre il sound di Bakersfield e la strada tracciata insieme a Steve Earle ha ridato senza dubbio valore ad un approccio molto chitarristico e molto rock a questo genere. Il suo nuovo album “Second Hand Heart” raccoglie dieci splendidi brani, coprodotti con il veterano Thom Lord Alge, una figura che chi si occupa di suoni conoscerà molto bene. Durante l’ascolto non si può lodare brani dal taglio perfetto come l’iniziale “In Another World”, la successiva “She” o ancora la splendida ballad “Dreams Of Clay”, ma è con il trittico finale composto da “Liar”, “The Big Time” e “V’s Of Birds” che si tocca il vertice del disco, un lavoro dal sound rock come non si sentiva da tempo, nel quale ammirare chitarre come in Italia non si ascoltano da tempo. Personaggi come Dwight sono lì per questo sound, quello vero, quello che li ha fatti crescere e sognare una new way... Grande Disco!
Antonio "Rigo" Righetti
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