CONSIGLIATO BLOGFOOLK!!!
Una raccolta di undici brani registrati a Hanoi, capitale del Việt Nam, inaugura la collana Hidden Music della label Glitterbeat. A produrre il disco è il californiano di Oakland Ian Brennan, produttore musicalmente onnivoro (tra i tanti artisti che ha prodotto, ricordiamo Jonathan Richman, David Hidalgo, Richard Thompson, Lucinda Williams, Bill Frisell, Tinariwen, Malawi Mouse Boys, The Good Ones, Canzoniere Grecanico S. e perfino Jovanotti), interessato a esplorare come il tema della terribile guerra che ha segnato questa terra dell’Estremo Oriente si sia riflesso sulla musica locale, il tutto con spirito libero di conoscenza, senza patente di etnomusicologo. Nella sua biografia online Brennan dichiara: «Come può essere che a decine di migliaia di “artisti” provenienti da città come Los Angeles e Londra sono messi sul podio, ma interi paesi sono rimasti senza voce a livello globale? Questa assurdità matematica di superiorità rispecchia solo maggiori ingiustizie sociali». Da qui l’idea della collana Musiche Nascoste, concepita per favorire diffusione e apprezzamento di espressioni e stili affatto diffusi presso il pubblico occidentale.
Le musiche del Việt Nam si fondano su una tradizione antica che presenta affinità con Paesi dell’Asia Orientale come Mongolia, Corea, Giappone, ma soprattutto Cina. Musiche, colte e popolari che nonostante le tragiche vicende storiche vissute dal Paese indocinese presentano una varietà di generi e forme, di cui alcuni davvero unici, come il Teatro delle Marionette sull’acqua, espressione millenaria dei contadini del Nord o il “Don ca tai tu”, musica folklorica del Sud, entrata a far parte del patrimonio immateriale dell’Unesco. Se si considerano gli strumenti, la notazione musicale, le scale, gli organici di quella che era la musica di corte (che lo Stato cerca ora di preservare come patrimonio culturale del Paese) o le rappresentazioni di teatro tradizionale l’influenza cinese meridionale è evidente, ma anche elementi proto-indocinesi e indiani sono entrati nella formazione della musica popolare vietnamita, che ad ogni modo conserva una propria impronta originale. Inoltre, occorre tenere presente che ci sono almeno sessanta le minoranze stanziate sulle montagne e sugli altopiani del Paese ad accrescere la ricchezza sonora vietnamita. Per chi desidera saperne di più, rinviamo al classico volume di Trân Văn-Khê “La musica del Viêt-Nam” (Ricordi, 2006) o al numero monografico sulla musica di “Quaderni Vietnamiti” (n. 8/9 Anno VIII/IX-2009/2010), per la curatela di Vincenzo Della Ratta e con la prefazione di Giovanni Giuriati.
Seppure in minor misura rispetto ad altre, le musiche tradizionali vietnamite partecipano di quel movimento di diffusione, nuova elaborazione e contatto che va sotto la denominazione di world music. Per quel che riguarda le registrazioni, a parte i documenti etnomusicologici (segnaliamo gli storici elleppi Lyrichord, quelli della collezione di musiche tradizionali dell’Unesco e l’album “Ca Trù - The music of North Vietnam” su Nimbus. E ancora “Viet-Nam: Nouvelle Musique Traditionnelle”, “Viet-Nam - Le Dan Tranh”, “Nguyên Vinh Bao et Trân Van Khê – Musique Du Viêt-nam - Tradition Du Sud”, tutti su su Ocora / Radio France), ricordiamo le produzioni del maestro di canto armonico Trân Quang Hai, quelle dell’eclettico chitarrista Nguyen Le, di interpreti come Bac Yên, Huong Thanh e Phong Nguyen. Poi ci sono recenti “incursioni”, sorta di “safari” sonori occidentali, che testimoniano musiche tradizionali e sviluppi pop e rock. Parliamo del trittico di antologie realizzata dall’etichetta di Seattle Sublime Frequencies (“Radio Vietnam”, “Saigon Rock & Soul: Vietnamese Classic Tracks 1968-1974” ed “Ethnic Minority Music of North Vietnam”).
Aprile 1975, con la caduta/liberazione di Sài Gòn (poi ribattezzata Thành phố Hồ Chí Minh) termina la “Guerra Americana”, come nel Paese del sud-est asiatico è chiamato il tremendo conflitto che ha segnato questa terra per numero di morti e per le devastazioni causate dalle bombe e dal napalm americani, dei quali ancora restano le cicatrici sull’ambiente e sulla popolazione. A quarant’anni dalla guerra, Brennan ha voluto documentare la prospettiva dei reduci dall’altra parte del conflitto, ma non recandosi nel Sud a Hồ Chí Minh City (dove per esempio vive il 95enne maestro di zither Nguyen Vinh Bao), ma registrando nella capitale Hanoy durante l’estate del 2014. Siamo di fronte a un documento sonoro non solo affascinante, perché in un certo senso mette al centro un immaginario altro, come risalta anche dal sottotitolo: “La guerra è una ferita, la pace è una cicatrice”, ma che è anche una testimonianza, seppure parziale, di una civiltà musicale molto composita (che ha inventato distorsori e modificatori del suono una dozzina di secoli orsono, alla faccia dei rockettari occidentali del XX secolo).
Eppure, quella di “Hanoi Masters” è musica quasi dimenticata anche nello stesso Paese della penisola indocinese, dominato da pop globalizzato e devastanti e invasivi karaoke.
Tutte le canzoni del CD sembrano pervase da un forte senso di smarrimento, di nostalgia, di perdita (per esempio, si ascolti la ballata “I Long to Return to My Hometown”, per voce e chitarra eseguita da Võ Tuấn Minh); alcune composizioni sono scaturite come diretta risposta alla guerra, altre sono dei riadattamenti di canzoni tradizionali vietnamite. A fare da consulente e mediatrice culturale è stata la compositrice e strumentista Vân-Ánh Võ, residente in California, virtuosa della cetra a sedici corde đàn tranh – strumento della famiglia delle cetre a tavola (affine a koto, ghuzang, yatga, kayagŭm –, ma anche percussionista e già collaboratrice del Kronos Quartet. Con il suo aiuto sono stati scelti i musicisti, ai quali si è chiesto di proporre motivi che imperniati sulle loro esperienze belliche. In molti casi, i musicisti hanno ripreso in mano lo strumento abbandonato da anni. Tra le storie portate alla luce quella del padre di Vân-Ánh Võ, che pur di non diventare soldato era stato ingaggiato come musicista, pronto ad entrare in azione dopo gli scontri a tenere su il morale delle truppe: meglio rischiare il fuoco dei cecchini che sparare al prossimo, ricorda egli stesso. Il disco è aperto da “For the Fallen” per voce, percussioni (Phạm Mộng Hải) e cetra đàn tranh (Võ Vân-Ánh): un lamento propiziatorio che serve ad aiutare l’anima del trapassato a raggiungere il cielo. “Segue “Help Us in This Life”, un canto dedicato agli eroi nella storia vietnamita, ancora per la voce di Phạm Mộng Hải, che si accompagna al đàn nguyệ, il liuto a due corde a forma di luna, mentre alle percussioni c’è Võ Vân-Ánh . La stessa artista è alla cetra a sostenere l’interpretazione di grande effetto di Nguyễn Thị Lân in “Road To Home”: una voce che da quarant’anni era silente. Avanzando nell’ascolto, si rivelano scenari sonori inauditi, come nell’esperienza del k’ni, uno strumento ad arco monocorde non dotato di cassa di risonanza propria. Collegato alla cordiera c’è un filo, alla cui estremità è posto una sorta di bottone che si tiene in bocca. In questo modo il suonatore è in grado di modificare altezza e gamma delle note, usando la propria testa come cassa armonica. Uno strumento dalle sonorità incredibili suonato da Nguyễn Quốc Hùng nel breve “The Wind Blows It Away”. Invece, nella vivace “Heroine Song” ci si apre al mondo magico della principessa Thuong Ngan. Il canto si articola in due voci, una maschile ed una femminile: sono quelle di Xuân Hoạch e Võ Vân-Ánh, con liuto (Xuân Hoạch) e percussioni (Xuân Hoạch e Võ Vân-Ánh). In “Doomed Love”, ascoltiamo il liuto đàn bầu, strumento a corda unica che prevede un ampio uso di armonici. Di diverso spirito è “The Rice Drum”, il cui titolo deriva dal nome con cui è conosciuto un tamburo tradizionale le cui membrane sono spalmate da farina di riso o riso cotto per favorire l’intonazione. Dall’antico repertorio hàt xam dei musicisti orbi girovaghi arriva un altro magnifico brano, che è intitolato “Graditude”, dove il canto è quello di Xuân Hoạch che imbraccia in un dialogo responsoriale il đàn nhị hồ, una viella ad arco con due corde dal suono grave ed accompagnato dal ritmo del cập kè (sorta di castagnette) percosse da Võ Vân-Ánh. Il đàn k’ni, di Nguyễn Quốc Hùng ritorna in “Please Wait For Me”, storia di un segreto incontro d’amore notturno tra due giovani. In un certo senso, in consonanza con l’atmosfera che aleggia nel lavoro, la chiusura è affidata a un canto in onore dello spirito della morte (“Taking Your Spirit to the Next World”), per voce e percussione, eseguito da Phạm Mộng Hải. Sono solo trentacinque minuti, ma vale la pena di scoprire questi tesori musicali nascosti!
Ciro De Rosa
Tags:
Asia