“Colores del tango. Historias” è un album innanzitutto bello. Suscita una precisa sensazione di piacevolezza. Dovuta principalmente al fatto che, già al primo ascolto, si percepisce un’ottima competenza musicale, e quindi la “presenza” di musicisti accorti (Daria Rossi Poisa al violoncello e Gianni Ventola Danese alla fisarmonica diatonica). I quali, oltre a essere evidentemente raffinati, hanno ben chiara in testa l’idea di una rappresentazione non scontata. Di una rappresentazione che riesce a insinuarsi in uno spazio stretto ma ricco di potenzialità: sospesa tra il riferimento a una produzione tradizionale ma allo stesso tempo internazionale e trasversale, e la possibilità di riconfigurarne i tratti più determinanti nel quadro di un progetto di studio e riproposta. L’album contiene un repertorio di tango tradizionale, inquadrato in una scelta di riproposta compiutamente contemporanea e contaminata. I quindici brani di cui è composta la scaletta sono differenti e diversamente rappresentativi della tradizione del tango. In alcuni casi sono molto conosciuti e possono essere considerati dei punti di riferimento del genere nell’immaginario internazionale: “Oblivion” e “Libertango”di Astor Piazzolla, ma anche “Le valse d’Amélie” (con cui il duo tocca uno dei punti più alti dell’album). In altri casi i brani riflettono il lavoro di artisti che si sono confrontati con il genere tango. Tra questi dobbiamo senz’altro citare “Il postino” di Louis Bacalov e Sergio Endrigo, “Underground tango” di Goran Bregovic e “Tango to Evora” di Loreena McKennitt . In due casi, invece, il duo propone dei brani composti da Gianni Ventola Danese (il quale ha curato anche gli arrangiamenti del disco): “L’Amour à Vingt Ans” e “Plaza de Mayo”. Ciò premesso, per comprendere e godere a pieno delle musiche di “Colores del tango. Historias”, è necessario (provare a) entrare (noi lo facciamo da non specialisti del genere) nella costruzione del progetto. E inquadrare, così, il disco in quell’idea precisa che ha orientato le esecuzioni, la selezione dei brani e la definizione del suono. Il quale, per la sua natura e per l’ampio spettro che riverbera, rimanda diritto a alle sensazioni di cui dicevo prima, alla coerenza di un’interpretazione profonda e raffinata, oltre che piacevole. Qui ci viene in aiuto il duo il quale, nel sito dedicato al progetto, specifica che l’album “vuole interpretare la musica per tango secondo la prospettiva dell’incontro a due, che è il punto di partenza irrinunciabile della danza in milonga, per cui il progetto originariamente nasce”. E quindi l’elemento più determinante: la sintesi tra il violoncello e la fisarmonica diatonica, due strumenti formalmente distanti e per la prima volta utilizzati in un progetto di interpretazione di questo repertorio. Una sintesi che, a ben vedere, amplifica gli elementi evocativi del tango, allo stesso tempo in cui produce un momentaneo ma irriducibile straniamento. Al di là, infatti, di un accostamento orientato dalle qualità timbriche dei due strumenti, ciò che colpisce è la capacità di entrambi di produrre un suono molto differenziato e coerente con il panorama sonoro del tango tradizionale: “il suono spiegato e virtuoso” ma anche “gutturale” del violoncello. E la lirica della fisarmonica, “diatonica come il bandoneon tradizionale argentino con cui il tango è nato”.
Daniele Cestellini
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