Siamo nell’ottobre del 1979, e presso lo Stone Castle Studio, di Carimate (Co) prendono il via le registrazioni di “Nero A Metà”, terzo disco di Pino Daniele. Il cantautore napoletano ha appena venticinque anni, e solo due anni prima ha debuttato con “Terra Mia”, in cui brillavano i primi successi “Napule è” e “Na Tazzulella ‘e Cafè”, subito segnalatasi tra i brani più gettonati di “Alto Gradimento”, la trasmissione del momento condotta da Renzo Arbore. Solo pochi mesi prima, a febbraio del 1979 è uscito il suo secondo album, intitolato semplicemente “Pino Daniele”, e tanto è bastato per pubblico e critica per individuare nel suo songwriting un forza prorompente pronta a travolgere il languire borghese della canzone napoletana. L’esperienza maturata prima nel gruppo jazz-rock Batracomiomachia al fianco di Enzo Avitabile, e successivamente come bassista nei Napoli Centrale di Mario Musella e James Senese, sono una solida base esperienziale, ma la marcia in più è la sua creatività ribelle, che mescola la lava incandescente del Vesuvio che scorre nelle sue vene, con le acque limacciose del Mississippi. Ad attrarlo sono le possibilità ritmiche ed armoniche della musica nera, il blues, il funk, il jazz, così come fortissimo è il legame con le radici della tradizione musicale napoletana. I nuovi brani prendono forma da una sorprendente commistione tra napoletano ed inglese, una necessità diventata virtù per ragioni liriche e di musicalità, ma l’intuizione è vincente. Il dialetto partenopeo come l’inglese gli consente di muoversi con agilità tra elisioni, contrazioni fonetiche, assonanze, adattando in modo sorprendente i testi alla musica, quasi fosse quest’ultima ad ispirarli, a dettarli.
“L’importante è suonare, lasciarti andare per poter dare tutto te stesso. La musica è libera, non deve avere limiti”, così Pino Daniele si racconta a Maria Laura Giulietti in un' intervista del marzo 1980, e questo basta per immaginarlo intento a studiare, a comporre con la sua chitarra, per ore, senza sosta, in modo quasi febbrile. In studio, il disco prende forma in modo quasi naturale nell’arco di pochi mesi, grazie anche ad un gruppo di eccellenti musicisti che sono al suo fianco sin dal primo album: Ernesto Vitolo (pianoforte, Rhodes e tastiere), Gigi De Rienzo (basso), Agostino Marangolo (batteria), James Senese (sax tenore), Rosario Jermano (percussioni) Tony Cercola Astà (percussioni), Karl Potter (congas), Vito Mercurio (basso), Mauro Spina (batteria), e qualche ospite come Bruno De Filippi all’armonica e il vecchio amico Enzo Avitabile ai cori. Visto in retrospettiva il suono che prende forma allo Stone Castle Studio è quello di una band, più che di un solista, di un gruppo solido ed affiatato di musicisti, che hanno condiviso strada, palchi, serate, ma che incarna e coglie nella sua complessità quello che Federico Vacalebre nelle note di copertina della Special Expanded Edition ha definito “un spleen partenopeo che assomiglia al blues dei neri d’America, alla saudade brasilera, al fado portoghese”. In questo senso per nulla casuale è anche la scelta di dedicare il disco a Mario Musella, vecchio amico e cantante degli Showmen scomparso poco tempo prima, definito dal cantautore napoletano “nero a metà”, in quanto figlio di madre napoletana, di un nativo americano Cherokee, arrivato in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Il bluesman made in Naples, ritratto di profilo in un disegnino sulla copertina dei provini del disco, aveva raggiunto la sua maturità artistica, e il capolavoro a gennaio 1980 è finalmente pronto per raccogliere il successo che merita.
Quando l’album arriva nei negozi è un successo, ma Pino Daniele è già pronto per nuove esplorazioni sonore, che di lì a poco lo avrebbero portato a cristallizzare il “Neapolitan Power” con “Vai Mò”, e ad aprire una nuova fase della sua carriera, costellata da collaborazioni internazionali sempre più prestigiose. A distanza di quasi trentacinque anni dalla sua pubblicazione, nel 2014 il disco è ritornato nei negozi in una splendida “Special Expanded Edition”, che affianca al disco originale, rimasterizzato per l’occasione, due inediti e i demo di sette brani, aprendo una sorta di porta spazio-temporale che ci ha consentito di entrare in studio con il cantautore napoletano, per carpire i segreti del suo work in progress creativo. Riascoltare “Nero A Metà” vuol dire, così, ritrovare ogni volta intatta la freschezza e l’immediatezza di un sound irripetibile in Italia, un feeling e una unicità, che emergono con forza prepotente nell’iniziale “I Say I’ Sto Ccà”, con l’armonica di Bruno De Filippi a guidare la linea melodica strizzando l’occhio a Stevie Wonder. Si prosegue con la trascinante “Musica Musica”, brano manifesto del far canzone del cantautore napoletano, che a cuore aperto canta “per la musica musica/quanto ho pianto non lo so/ma la musica musica/è tutto quel che ho”. Di pura poesia è intrisa la canzone d’amore “Quanno Chiove” incorniciata dal sax di James Senese, e che a buon diritto può essere definita come una delle perle del disco. Il blues viscerale “Puozze Passà Nu Guaio” è uno dei momenti in cui la chitarra di Pino Daniele brilla maggiormente, ma è curioso davvero scoprire che ne esisteva anche una versione reggae, riproposta tra gli inediti di questa nuova versione. L’introspezione pervade poi il crescendo di “Voglio Di Più”, in cui il cantautore napoletano si racconta tra problemi esistenziali e le sue aspirazioni di musicista. Anche in questo caso illuminante è lo splendido bozzetto per soli piano elettrico e voce, nel quale spicca una prova vocale superba del cantautore napoletano.
Più adesa alla tradizione musicale partenopea è la tessitura melodica di “Appocundria” in cui brilla alle congas Karl Potter, ma ancor più sorprendente è ascoltare la versione embrionale di questo brano, suonato quasi fosse un flamenco. Il funky di “A Me Me Piace ‘O Blues” è l’occasione per ribadire l’amore per il sound americano, senza però dimenticare le sue radici: “Ma po nce resta ‘o mare/e ‘a pacienza ‘e suppurtà’/’a gente ca cammina/miezo ’a via pe sbraità’/i’ vengo appriesso a te/pecchè so nato ccà”. “E So’ Cuntento ‘e Stà’” è un'altra splendida canzone d’amore, ma irresistibili sono le dodici battute blues di “Nun Me Scoccià”, in cui spicca un assolo di chitarra pregevolissimo con tanto di pedale wah-wah. Che dire poi di “Alleria”, la cui tessitura jazzy avvolge un testo intensissimo dal punto di vista lirico, in cui Pino Daniele descrive il bisogno di sorridere, dopo aver sofferto tanto. A racchiudere il senso del disco arriva poi “A Testa In Giù” con il verso: “Il feeling è sicuro/quello non se ne va/lo butti fuori ogni momento/è tutta la tua vita e sai/di essere un nero a metà”, ma c’è ancora tempo per un incursione nelle sonorità latin del trascinante scat di “Sotto ‘O Sole”, che chiude il disco. Ad impreziosire ulteriormente questa “Special Extended Edition” sono da ultimo anche i due inediti ovvero il gustoso strumentale “Hotel Regina”, e “Tira ‘A Carretta”, scritta per la colonna sonora del film “La Mazzetta” di Bruno Corbucci.
Alla pubblicazione di questa “Special Expanded Edition” è seguito un tour celebrativo per “Nero A Metà”, nel corso del quale Pino Daniele, accompagnato dalla stessa band del 1980, oltre ai classici del suo repertorio, ha riproposto l’album per intero, facendosi affiancare in alcune serate anche da alcuni ospiti d’eccezione e dall’orchestra, come nel caso del memorabile concerto all’Arena di Verona. Lo scorso 16 e 17 dicembre non aveva mancato di toccare la sua Napoli con due concerti andati sold out, durante i quali aveva voluto al suo fianco Clementino e Rocco Hunt, due stelle nascenti della new wave in chiave rap del Neapolitan Power. In quell’occasione, alla fine del concerto li aveva salutati dicendo: “Grazie a questi due mascalzoni per tutta questa energia. Sono grandi artisti del futuro”, parole che, dopo la sua prematura scomparsa, suonano oggi come il passaggio di un testimone. Pino Daniele è stato, ed è una pietra angolare per più generazioni di musicisti, ma soprattutto sarà sempre la voce di quella Napoli che ama ed odia le sue contraddizioni, e che da esse trae linfa vitale per la sua incrollabile speranza.
Salvatore Esposito