Rete Co’Mar è un collettivo napoletano con idee interessanti. Si presenta innanzitutto immerso in una rete di relazioni definite sul piano sociale e politico. E si affida, per rappresentarne alcune declinazioni, a una strumentazione – a una costruzione generale dei brani e, in definitiva, alla definizione di un linguaggio – non propriamente (o, per meglio dire, esclusivamente) rappresentativa di Napoli, la città da cui proviene e in cui interagisce. Mi sembra importante sottolineare questa sfumatura (che potrebbe, invece, sembrare pleonastica), sebbene il contesto culturale napoletano, più di altri, ci abbia abituati a una proposta differenziata, consegnandoci, attraverso una storia musicale e una serie ciclica di “rinascimenti” espressivi e stilistici, soluzioni, rappresentazioni e suoni spesso inaspettati e non convenzionali. Il disco di esordio di Rete Co’Mar, intitolato “Tutti fuori”, è un legaccio stretto intorno a questi elementi, allo stesso tempo equilibrati, armoniosi, e divergenti. Ritroviamo il dialetto, che ci “rassicura” in un quadro di rappresentazione territorialmente definita e un orientamento musicale che – attraverso tutte le dodici tracce di cui è composto l’album – tocca molte influenze stilistiche, che definiscono, nel loro insieme, un sound vivo, dinamico e originale. “Dove vai” è un buon esempio di questa piacevole mescolanza: è un brano compatto sotto il profilo del ritmo (la linea di batteria si insinua fin dal prologo recitato), articolato negli arrangiamenti (che comprendono anche alcune sonorità elettroniche), racchiuso in uno stile vagamente e ironicamente progressive, dove tutti gli strumenti, le modulazioni e le alternanze delle voci, spostano la produzione della band su un piano più sperimentale. Anche “Core carnale” – cantata in dialetto, a differenza dell’altra – si configura come una rappresentazione originale. Qui alle percussioni è affidato un andamento di atmosfera e di sospensione, introdotto dalla linea melodica ipnotica del piano, dentro una sovrapposizione di suoni eterei (chitarre, contrabbasso, fiati) che si protrae fino alla fine del brano. Questo tappeto di vapori sostiene una voce profonda e forte, che deflagra, nei due ritornelli che puntellano l’esecuzione, in una forte estensione, fino ad asciugarsi e a rarefarsi lentamente insieme agli altri elementi. Di tutt’altro tono è “Polvere leggera”, uno dei brani più profondi dell’album, nel quale convergono probabilmente gli elementi più rappresentativi del linguaggio del gruppo. Soprattutto perché si tratta di una canzone che ha una chiara corrispondenza con il territorio napoletano (e qui torniamo alla definizione della rete di relazioni). In particolare con Scampia (il sottotitolo è “’O carnaval de Scampia”), la figura di Felice Pignataro e ciò che rappresenta nell’ambito di alcune produzioni espressive napoletane – e di come queste si siano definite dentro una prospettiva politica non solo di contestazione, di militanza, ma anche di socializzazione, arte figurativa e, in generale, produzione culturale. Il brano si articola attraverso sezioni che si sovrappongono morbidamente una sull’altra. Fino a quando, appena prima del finale, entrano le “tamburate” e il contesto sonoro del carnevale, cadenzando il coro “’O carnaval de Scampia/ ‘O carnaval de Feliz Pignatao”.
Daniele Cestellini
Tags:
Campania