Fin dai primi anni Novanta la musica malgascia è entrata nel mappamondo sonoro world music con la sua molteplicità di stili, ritmi, strumenti e inflessioni. Con “Feedback Madagascar” si apre una finestra sui suoni dell’isola dell’oceano Indiano, grazie a un progetto che prevede che la metà dei ricavi del disco siano devoluti a Treemad, un programma realizzato da Feedback Madagascar, un’organizzazione benefica scozzese. Già attiva da vent’anni nel Paese africano, dove lavora in team con l’ONG malgascia Ny Tanintsika, l’ente benefico intende sostenere le comunità locali e l’ecosistema isolano – magnifico esempio di biodiversità – nel breve e nel lungo periodo. Difatti, oltre ad affrontare problemi più immediati come la malnutrizione e l’alto tasso di mortalità infantile, e a promuovere interventi di sostegno all’istruzione, allo sviluppo agricolo e alle piccole imprese industriali, Treemad si prefigge di piantare milioni di alberi nell’isola. (www.treemad.org). Il disco propone un bell’affresco della musica elettro-acustica malgascia, da nord a sud dell’isola. Sedici tracce, più un’ultima registrazione che attraversa quattro aree del Paese, raccogliendo e mixando suoni di diversi biosistemi. Ad aprire l’album è “Madagasikara” di Rossy, autore, cantante e fisarmonicista, da anni proiettato nell’arena internazionale dalla Real World, nonché eletto di recente deputato al parlamento isolano. Nella musica degli Oladad (“Miantsokely”), invece, i suoni horija del popolo Betsileo si sposano con la cultura rap. Si passa poi alla scattante musica mangaliba degli Hazolahy, imperniata sull’uso di cordofoni locali, sorta di mandolini di varie fogge. Non meno coinvolgente la canzone di un altro personaggio che ha acquistato notorietà in Europa: Eusebe Jaojoby, che da sempre utilizza i ritmi in 6/8 del salegy, la danza più popolare nel Paese. Nel suo brano “Somaiko Somano” le chitarre poggiano su un ritmo incessante, arricchito da voci che cantano in responsorio. Senz’altro merita di essere conosciuto il chitarrista elettrico Dedake (“Menakiteky”), alfiere della tsapiky, una dance music in 4/4 della regione di Tulear, nel sud-ovest, che da ritmo rurale è stato adattato a organici elettrici, subendo l’influenza del rock e degli stili popular urbani (soukous, afrobeat, ecc.), come è nel caso di Mam’be, ma conservando il potere di fare ballare nel corso di cerimonie e rituali. È da trent’anni sull’onda anche il gruppo ZMG (voci, kabosy, chitarra, basso, fisarmonica, percussioni e batteria). Potenza vocale nelle performance di Mima & Shao Boana e della dirompente nuova stella Tence Mena, dalla quale ascoltiamo uno dei primi brani della sua carriera (“Magnaraha Zah”). Si avvertono influenze della musica delle township sudafricane nel suono elettrico di Zambey, mentre propone una polifonia garbata il trio Tiharea, il cui canto è un appello ad aiutare il popolo del sud dell’isola, un territorio povero, privo di risorse, colpito dalla siccità e da sciami di locuste, che hanno prodotto danni terribili alle coltivazioni agricole. È l’ultrasettantenne Raprosy, suonatore di lokanga, un violino a tre corde, a rappresentare ancora la hoorija, musica tradizionale degli altipiani, ma la sua non è figura di anziano depositario che si sottrae alle collaborazioni con la scena contemporanea: già visto accanto ai Oladada, qui è affiancato dal vocalist Raoul (al secolo Raosolosolofo Razafindranoa) alle prese con percussioni elettroniche. Non aprono nuove frontiere musicali, ma propongono accomodanti atmosfere gli Akon’i Mania. Sempre sul versante danzereccio si muove l’apprezzatissimo Khaleba. Invece, si rivela davvero irresistibile l’afflato bluesy della coppia strumentale kabosy e armonica imbracciati dall’ottimo one-man-band Jean Emilen. Altro esponente del taskipy è Claude Teta, autore e chitarrista provetto, proveniente da una famiglia di musicisti: la sua intimistica “Any Aminao Any”, registrata all’aperto, apre la strada al soundscape che chiude questa bella antologia del mosaico sonoro della grande isola rossa.
Ciro De Rosa
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