Storie Di Cantautori: Olden, VonDatty, Roberto Fedriga, Marco Masoni, Carlo Ozzella & Barbablues

Olden - Sono andato a letto presto (Autoprodotto/Goodfellas, 2014) 
“Sono andato a letto presto” - secondo disco del cantautore perugino Olden, vero nome Davide Sellari - è un tuffo nella tradizione canora del nostro paese. Che non è necessariamente uno sguardo a ritroso: in questo caso riflette piuttosto una sorta di rassegna filtrata dallo sguardo di un artista giovane, con un approccio spontaneo, una scrittura lineare e una buona capacità di costruire immagini originali, evocative e rappresentative di uno stato creativo importante. Di una creatività fervida, nel quadro della quale Olden riesce a sviluppare e fissare storie quotidiane, comuni, generali, ma anche profonde, intimistiche, personali. Si tratta di un disco che rinfresca un patrimonio condiviso di suoni, di atmosfere, di temi, oltre che di forme. Un patrimonio i cui tratti sono riconoscibili nelle grandi narrative musicali che coincidono con le varie scuole cantautorali (in “Perla nera”, il primo singolo estratto dall’album, alla chitarra c’è Juan Carlos “Flaco” Biondini”, il quale, tra gli altri, ha collaborato con Francesco Guccini, Claudio Lolli, Roberto Vecchioni). Il materiale storico di riferimento è tanto, complesso, differenziato, anche se riconducibile a linee generali comuni e “tradizionali”. Ma ascoltando “Sono andato a letto presto” si intuisce che Olden - il cui nome d’arte ci può rassicurare quanto a indipendenza, profondità e visioni - ha ben presente le trame a cui attingere. Trame che seguono il filo della canzone italiana - non possiamo discostarci troppo da questa categoria - ma che ne irradiano il riflesso in uno spazio meno identificato, senza dubbio legato a suggestioni più ampie: dal folk melodico (“Un successone”) ad alcune forme espressive popolari, che riecheggiano nell’uso della fisarmonica (“Perla nera”), fino alla descrizione dettagliata - che a volte assume il profilo di un racconto breve compiuto - di un’immagine, di una sensazione, di uno stupore. Che si trasfigurano in una scrittura profonda, equilibrata, sia sul piano testuale che musicale (“Perugia”). In generale il disco ha un andamento piacevole, che coincide con la scelta stilistica di lasciare la dimensione descrittiva in primo piano: la parola, sorretta da pochi accordi, allungati in un’armonia asciutta, attraversata in alcuni passi interessanti dalla tromba e dal violino (“La casa che non c’è”). 

Daniele Cestellini 

VonDatty – Madrigali (Autoprodotto, 2014) 
VonDatty è un giovane cantautore (classe 1991) di Tivoli con in testa l’idea di una musica espansa, un interessante grado di sperimentazione e l’utilizzo di soluzioni melodiche “aperte”, sciolte, agili. Aperte e libere, ricche di accenni a una ricerca evidentemente in fieri ma che ha già raccolto frutti importanti. Che ha già individuato una linea di riferimenti personali, dove risuona uno stile ambiguo: acido e trasognato, elettrificato e minimale, ironico e introspettivo, serio e incoerente, curato ed estemporaneo. La scaletta del disco si sviluppa dentro un arco sonoro spesso inaspettato, dove gli strumenti si incastrano con la giusta irriverenza verso le forme estetiche più convenzionali (“L’ingranaggio”), disegnando il profilo di un racconto musicale fluido, in cui gli elementi più rappresentativi sono - oltre alla voce e ai testi ipnotici e rarefatti - le chitarre elettriche (“L’amore malato”) e i sax baritono e soprano (“Blueberry”). Nonostante l’ascolto sia spesso condizionato dai testi verbali (e ci si perda nel groviglio di parole, cercando di sciogliere i nodi che le stringono), si può apprezzare la capacità dell’artista di individuare, nelle liriche, linee melodiche piacevoli. Le quali coincidono con l’assembramento di un suono originale e differenziato (ukulele, fiati, guitalele), che in alcuni casi richiama un paesaggio sonoro retrò (“Maschere d’inchiostro nero”), compresso tra uno sperimentalismo vagamente psichedelico (“Il gioco delle ombre”) e una tensione introspettiva e cupa che affida a lunghe parti musicali un’atmosfera noise, crepuscolare ma con ampie aperture melodiche (“Disoriente”). 

Daniele Cestellini 

Roberto Fedriga – Roberto Fedriga (Autoprodotto, 2014)
“Avevo un'idea per il mio disco d'esordio: ciò che avevo in testa è stato tradotto in musica senza filtro, e questa è sicuramente la cosa più importante. Ogni mia canzone ha una storia a sè. Spesso sono vere e proprie fotografie messe in musica. In altri casi l’ispirazione viene dal cinema o dalla letteratura. Mi piace poter pensare a questa contaminazione di arti che si intrecciano per nutrire l’ispirazione”, così Roberto Fedriga, cantautore bergamasco classe 1984, presenta il suo disco di debutto, lavoro nato dalla spontaneità e dall’immediatezza dell’ispirazione, ma anche dall’esigenza di esternare le passioni e la propria visione musicale. Partendo da riferimenti musicali precisi che spaziano dal folk rock angloamericano alla canzone d’autore italiana, da Tim Buckley a Tom Waits, da Nick Drake a John Martyn, fino a toccare l’immancabile Vinicio Capossela, Fedriga ha messo insieme dieci brani dalle strutture jazzy scarne ed essenziali, basate sostanzialmente sull’intreccio tra chitarra e fiati, senza disdegnare qualche incursione nel rock come nel caso di “Punto Di Non Ritorno”, per altro uno dei brani meno riusciti del disco. Nel complesso il disco risulta godibile con brani pregevoli come la poetica “Arababy” in cui il cantato di Fedriga si muove sinuoso sulla linea melodica, o la suggestiva “Letto D’Edera” nella quale sonorità world si mescolano al jazz, o ancora l’intrigante “Woyzeck”, tuttavia si ha l’impressione che il cantautore bergamasco non sia ancora riuscito ad esprimere compiutamente tutto il suo talento, con diverse belle intuizioni che solo raramente vengono colte a pieno. 

Salvatore Esposito 

Marco Masoni - Il Multiforme (paesaggi catartici e operette morali) (AMS Records/BTF, 2014)
Noto per aver fondato agli inizi degli anni Novanta il gruppo prog Germinale, Marco Masoni, giunge al debutto come solista con “Il Multiforme (paesaggi catartici e operette morali”, disco nel quale ha raccolto dodici brani, che sintetizzano in maniera molto efficace la sua visione musicale, estrinsecata negli anni proprio attraverso i suoi interessi diversificati e le sue competenze come musicista, produttore, direttore artistico e manager. Significativa in questo senso è anche la copertina del disco, che riproduce in un collage le sue passioni musicali dai Pink Floyd ai Beatles, dai Genesis a Frank Zappa, fino a toccare Lucio Battisti e Franco Battiato, ma la vera sorpresa arriva con l’ascolto. Arrangiato con la complicità di Edoardo Magoni, il disco è stato inciso con la collaborazione di alcuni ottimi musicisti tra cui spiccano: Maurizio Di Tollo (Maschera di Cera), Jacopo Giusti (Fattore Zeta) e Lorenzo Ughi. Masoni, nella sua cifra stilistica, mescola canzone d’autore e musica prog dando vita a spaccati sonori senza dubbio interessanti, come nel caso degli echi battistiani che emergono in “Tutti in colonna (la vita non è)” e “Maggio D’Improvviso” o la suite “Catarsi” che abbraccia rock, prog e psichedelia, o ancora l’intensa ballad “Sa Domo De Su Re Domo De Su Re”. La seconda parte del disco non è avara di altre piccole perle come nel caso dell’ironica “Il suicidio di 500 pecore” o del rock “Predoni”, anche se piuttosto incolori ci sembrano “Mi ha detto Bob Dylan” e “Theodore Il Poeta”. “Il Multiforme (paesaggi catartici e operette morali)” è dunque un disco di un musicista maturo, di solida esperienza, il cui istinto però a volte tende a prendere il sopravvento offuscandone in parte il talento. 

Salvatore Esposito 

Carlo Ozzella & Barbablues – Il Lato Sbagliato Della Strada (Avakian Productions, 2013) 
L’ormai lunga lista di epigoni italiani di Bruce Springsteen si è arricchita da qualche tempo di un altro nome, ovvero quello di Carlo Ozzella, bancario di professione e rocker per passione, ben noto per essere stato il leader della cover band del rocker del New Jersey 7th Street Band, e che giunge al suo debutto discografico come solista con “Il Lato Sbagliato Della Strada”. Inciso con la sua Barbablues Band, il disco presenta tredici brani autografi, composti in italiano e in inglese, che mescolano potenti dosi ispirative del Boss con influenze tutte italiane che vanno rintracciate nei Rocking Chairs come in Graziano Romani, per finire con Ligabue. Durante l’ascolto il disco presenta ottimi arrangiamenti, così come per nulla banali sono le strutture melodiche dei brani, tuttavia nel complesso la sensazione è quella di essere di fronte ad un opera prima con tutti i limiti del caso. Laddove infatti le passioni musicali la fanno da padrone, a farne le spese è l’originalità che latita in diversi brani. Nel complesso però a lasciarsi preferire sono i brani in inglese dove Ozzella sembra avere più mordente e incisività nel fraseggio, mentre sostanzialmente incolori sono quelli in italiano, che sembrano sempre sul punto di perdersi. “Il Lato Sbagliato Della Strada” è dunque un buon primo passo per la carriera artistica di Carlo Ozzella e dei suoi Barbablues, e siamo certi che in futuro sapranno mettere a frutto meglio tutte le loro potenzialità. 



Salvatore Esposito
Nuova Vecchia